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SAeT: Primo rapporto sulla corruzione in Italia

Il SAeT (Servizio Anticorruzione e Trasparenza) ha presentato al Parlamento italiano lo scorso mese di febbraio il suo primo rapporto. 

Ne risulta che lo stato della lotta alla corruzione nel nostro paese è a dir poco sconfortante: siamo completamente impreparati. 

Il SAeT è operativo dal 2 ottobre del 2008 presso il Ministero della Funzione Pubblica guidato dal ministro Renato Brunetta, ha sostituito l’Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto alla corruzione, soppresso il 25 giugno 2008.

L’Alto Commissario poteva contare su un organico di 57 unità, compreso quattro consulenti, a fronte di un organico previsto dalla pianta organica di 88 persone; 
il SAeT invece è composto da 19 unità, compreso un magistrato e due consulenti part-time.

Il suo modello organizzativo è definito Hub&Spoke, che letteralmente significa "mozzo di una ruota": cioè si cerca di utilizzare il piccolo nucleo anticorruzione (Hub) facendogli intrecciare una serie di relazioni con altri enti specifici e diversi (Spoke), quali università, ministeri, centri di ricerca, agenzie ed autorità di polizia.

Per sua stessa ammissione, come si legge nel rapporto presentato, un primo problema che questo team di investigatori anticorruzione si trova a dover affrontare è la scarsità di risorse finanziarie sulle quali contare.

Il rapporto tenta però un’analisi dettagliata dello stato della lotta al malaffare facendo emergere una situazione inquietante.

Per prima cosa si analizzano le denunce presentate alle autorità competenti (polizia giudiziaria, carabinieri, guardia di finanza etc.) dal 2004 al 2008, e viene alla luce che il 32 per cento di esse riguarda il reato di truffa aggravata per il conseguimento illecito di erogazioni pubbliche (art. 640 bis c.p. per il quale è previsto la reclusione da uno a sei anni); il 15 per cento riguarda i reati per danno all’integrità economica della P.A. (art. 316 bis e 316 ter c.p. con pene che vanno dalla reclusione da sei mesi a tre anni).

Lo stesso rapporto precisa che il reato di truffa aggravata al fine di ottenere erogazioni pubbliche va inquadrato nell’attenzione crescente della criminalità organizzata volta a trarre un illecito vantaggio dai finanziamenti pubblici: e sembra in tal senso irrisoria la sanzione prevista dallo stesso art. 640 bis del codice penale.

Le denunce per i reati connessi al fenomeno corruttivo sono state in tutto, nel 2008, pari a 3.197 con 10.846 persone denunciate, le telefonate di denuncia al SAeT nel corso di questi pochi mesi nei quali ha iniziato la sua attività sono state 15, si è passati dalle 46 segnalazioni del 2005 alle 186 del 2008: poca cosa insomma rispetto alla percezione del fenomeno da parte dell’opinione pubblica.

Per la prima volta, però, si è iniziato ad applicare un metodo statistico che dovrebbe portare ad una maggiore comprensione del fenomeno.

Nel rapporto si legge: <<Conosciamo solo una "corruzione scoperta", quella che deriva dalle denunce delle autorità competenti; non avendo un modello per la valutazione del rischio non conosciamo il sommerso>>.



Si stima che il sommerso sia pari almeno a 50-60 miliardi di euro all’anno, ma è una cifra approssimativa, non basata su di un modello scientifico di valutazione: se la cifra è però verosimile significa una tassa corruzione pari a 1000 euro a testa, compreso i neonati, oltre il danno sul piano della morale e della fiducia.

Gli elementi necessari indicati nel rapporto per una vera azione di contrasto sono: volontà politica, pressione dell’opinione pubblica e nuovi strumenti per analizzare, valutare e trattare il rischio.

C’è una netta discrepanza tra il rischio corruzione percepito dalla popolazione e quello percepito invece dai dipendanti pubblici: se nella P.A. non si percepisce tale rischio allora non si può neanche contrastare il fenomeno.

Non si può far leva solo sulla "corruzione scoperta" della quale si conoscono il numero delle denunce, la tipologia dei reati, il numero delle persone coinvolte, le regioni dove sono stati commessi.

Non si conosce la sua dimensione economica, i costi, l’entità delle risorse sottratte, i settori nei quali la corruzione si manifesta di più (sanità - grandi opere - lavori pubblici - finanziamenti europei - università); non si conoscono le tipologie di enti pubblici coinvolti (regioni - comuni - province - enti pubblici economici); non conosciamo le funzioni aziendali più esposte (ufficio acquisti - concorsi - prestazioni di servizi - erogazioni di fondi); non sappiamo nulla circa i profili personali dei soggetti coinvolti (politici - funzionari - dirigenti - semplici impiegati).

Non ci sono studi statistici in merito che possano fare luce di un mondo pieno di ombre e di silenzi, pieno di gente disposta a farsi corrompere.

Facendo leva sulla sola "corruzione scoperta" emergono dati gia conosciuti, per esempio che tra le prime cinque regioni italiane per denunce quattro sono meridionali, Sicilia, Campania, Calabria e Puglia: la sola rappresentante del settentrione in questa becera classifica è la Lombardia. 

Ottimo abbinamento tra mafia ed affari.

I dati però sono sorprendenti se si analizza il numero di denunce per oni mille impiegati pubblici: allora la classifica cambia; eccetto la riconferma della Calabria, trovano spazio regioni impensabili come Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Molise e Basilicata.

Alla fine di questo sconsolante rapporto, non ci resta che sperare nell’onestà di questi diciannove uomini: troppo poco, troppo poco!

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