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Rosella Postorino e "L’estate che perdemmo Dio"

Rosella Postorino giovane scrittrice di talento già nota al grande pubblico con il romanzo La stanza di sopra ( Neri Pozza 2007) ha pubblicato un nuovo romanzo L’estate che perdemmo Dio ( Einaudi Stile Libero) che è un romanzo ben scritto e coraggioso.

Parla di ’ndrangheta - anche se il termine non compare mai - come piaga sociale in grado di decidere la vita sia di chi tocca e sia di chi sfiora per caso.
Il romanzo si costruisce sui ricordi di una bambina di nome Caterina che è la protagonista e questi ricordi invitano i lettori ad una riflessione onesta e a tratti anche amara sulla complessità del Sud dell’Italia da cui si fuggiva e da cui ancora si fugge.

Ho incontrato Rosella Postorino che gentilmente ha offerto la sua disponibilità per questa intervista

Il romanzo L’estate che perdemmo Dio presenta una bella storia, ben scritta. C’è l’incrociarsi di due viaggi, uno di andata verso l’Altitalia da parte della famiglia, e uno di ritorno verso Sud da parte di Salvatore, il padre di Caterina che è la protagonista.

 

Ha mai pensato che questo romanzo possa diventare presto un film? Quale colonna sonora sceglierebbe?

 Sì, credo che ci sia abbastanza materiale per farne un film: c’è una storia molto italiana, tanti personaggi e, a quanto mi dicono i lettori che mi scrivono, piuttosto forti. E c’è una certa tensione drammatica, soprattutto. Immagino una colonna sonora di musica pop, nel senso di musica popolare tradizionale (in dialetto, per esempio) e nel senso di canzone leggera italiana, magari legata agli anni in cui il libro è ambientato, fine anni Ottanta (penso a Bella d’estate di Mango, per esempio). Lo immagino un film pieno pieno di rumore e, di colpo, di silenzio.

 

Dopo aver letto L’estate che perdemmo Dio restano nel lettore le immagini degli Atene Doria, di Magica Emy, del Corriere dei Piccoli, di Lady Oscar, di Kiss Me Licia e delle figurine Miralanza. Sono coordinate temporali? Dove ha trovato ispirazione per scrivere tutto ciò che è semplice e geniale?

 Sì, sono esattamente coordinate temporali attraverso le quali il lettore può essere calato dentro il tempo del romanzo, dentro l’atmosfera della fine degli anni Ottanta, così come la ricorda un bambino. Non do mai indicazioni spazio-temporali precise, nel libro. Ma ci sono indizi disseminati qua e là che il lettore può cogliere. Come il sequestro di Cesare Casella, prigioniero in Aspromonte dal 1988 al 1990, per esempio. Come ho trovato l’ispirazione? Tutto quello che ho fatto è stato ricordare che cosa fosse quel periodo per me. La convivenza dell’arcaismo, della famiglia allargata di stampo tradizionale e semirurale, con l’ascesa inarrestabile delle televisioni private, dell’immaginario manga, dei prodotti di consumo popolare: agli occhi di un bambino, semplicemente il suo mondo “naturale”, il suo eden.

 

Ne L’estate che perdemmo Dio leggiamo: "Durante il viaggio che fece da spartiacque tra la vita precedente e la vita futura, Caterina non sapeva dove stesse andando."

Lei ha mai vissuto un viaggio come uno spartiacque?

 Sì, ho vissuto moltissimi viaggi come spartiacque. Ogni volta che ho lasciato una vecchia vita per una nuova, ogni volta che ho tradito l’amore per cercare la felicità, che non può prescindere dalla libertà.

 

Nel romanzo si parla di ’ndrangheta. In che modo, secondo Lei, è cambiata la camorra, la mafia, la ’ndrangheta negli ultimi vent’anni?

 Nel romanzo si parla di ’ndrangheta, ma in realtà non se ne parla. Nel senso che non mi interessava scrivere un romanzo sociologico, o un poliziesco che usasse degli schemi codificati per incastrare un tema sociopolitico (e, Saviano insegna, soprattutto socioeconomico) dentro una trama. Io volevo parlare di come questo problema sociale intervenga pesantemente nelle vite di persone normali, di persone comuni, soltanto sfiorandole. Nelle loro vite private. Di come nascere in una terra controllata dalla ’ndrangheta possa significare non avere modo di sottrarsi, se non partendo e perdendo tutto, se non rinunciando alla propria esistenza, accettando di tradire gli affetti e la propria identità. Di come sia impossibile non essere collusi, se in quel territorio decidi di vivere, di rimanere. Perché la sola rassegnazione è connivenza. E la pretesa di felicità di Caterina, contro la rassegnazione e il fatalismo della sua famiglia allargata: quello è un atto sovversivo. Ecco, da questo preciso punto di vista, credo che nulla sia cambiato.

 

A proposito di organizzazioni mafiose, Travaglio in un articolo dell’Unità ci informa che il governo ha affidato i lavori per la ricostruzione delle zone terremotate d’Abruzzo al socio di tre soci del mafioso don Vito Ciancimino. Che ne pensa?

 Penso che sia uno dei tanti paradossi del nostro paese a cui piano piano stiamo imparando ad assuefarci, come se davvero pensassimo di non avere alternativa. Non produciamo più anticorpi, e sebbene non sia direttamente colpa nostra anche questo significa essere collusi.

 

Cambiamo argomento. In quale luogo preferisce scrivere?

 Davanti a una finestra.

 

Se dovesse tornare indietro nel tempo, in quale periodo della sua vita tornerebbe anche per un solo giorno?

 A 18 anni, quando ho scoperto davvero l’amore, quello che mette in gioco, che destabilizza, che ribalta le visioni. A 22 anni, quando stavo in Erasmus e vivevo con ragazzi provenienti da tutto il mondo, ma proprio tutto: Nepal, Corea, Vietnam, Iran, Turchia, Giappone… E convivere, pieni di curiosità e persino ammirazione per la cultura dell’altro, ci sembrava possibile: ci sembrava un privilegio.

 

Quali sono i suoi libri preferiti? Me ne dica almeno tre.

 Il Viceconsole di Marguerite Duras. Malina di Ingeborg Bachmann. I diari di Sylvia Plath. L’ordine naturale delle cose di Antonio Lobo Antunes. Mentre morivo di William Faulkner. Schooling di Heather McGowan. Le poesie del disamore di Cesare Pavese. Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini… mi fermo? Andrei avanti ancora a lungo.

 

Lei si aspettava tutta questa popolarità? Cosa è cambiato nella sua vita?

 Quello che mi interessa non è la popolarità. Vorrei solo che i miei libri fossero letti e che la loro lettura aprisse dibattiti sulle cose del mondo e sulle cose della letteratura, che non coincidono: o solo a volte, in certe vite. Come nella mia.

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