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Ritrovarsi nel Caos

La modernità: di che si tratta? Quando è cominciata? E’ ancora attuale?

Vi sono parole che, per ragioni indagabili, estrudono dalla bidimensionalità della carta per prendere forma nel mondo quadrimensionale - o pentadimensionale, o decadimensionale per quel ch’è noto, considerato che il cervello umano intende tre sole dimensioni - della realtà vivibile.
 
Trattasi di vocaboli che divengono vera e propria materia - dal lat. mater, tronco dell’albero - tangibile e manipolabile, al punto che i più finiscono col darne il significato per risaputo come si è soliti fare con quanto si può toccare - e distruggere - con mano.
 
Il tutto avviene secondo quell’umano processo che permette di parlare del trascendente come fosse empirico, comprovato. Quanto viene dato per risaputo, non essendo scrollato da critiche, finisce per condensarsi in qualcosa di roccioso, d’impermeabile, ed è questo un habitus che ha permesso alle ideologie più ghiribizzose d’instaurarsi anzitutto nell’intelletto umano e poi in fastosi edifici.
 
E’ ormai d’uso comune additare la modernità come fosse cosa tangibile, con una tale abilità nel lasciar intendere che si conosca precisamente di cosa si blatera, eppure sono dell’avviso che - come malauguratamente avviene per altre parole - pochi ne conoscano la vera essenza.
 
La delucidazione è indirizzata anzitutto ai coetanei, vittime di quel luogo comune che vuole gli under 30 pro-motori - ed anzi esaltatori, esasperatori - del lifestyle moderno, dimenticando come siano questi i primi ad ignorarne le origini ed a male interpretarne i valori. Definire moderna la società contemporanea è anzitutto una inesattezza cronologica.
 
La modernità segnatamente occidentale che ancora si addita dall’alto di sontuose basiliche inizia nell’ultimo decennio del 1800 con l’avvento della seconda rivoluzione industriale.
 
Furono l’innovazione tecnologica e scientifica - ed in primo luogo la rapida diffusione dei trasporti e delle comunicazioni - ad esporre l’animale uomo ad una realtà straniera ed estranea incentrata su routine, idiomi e presupposti diversi, determinandone una irrevocabile alterazione nel modo di percepire lo spazio ed il tempo e, addirittura, accelerandone la Storia.
 
Parallelamente al progresso fiorirono nuove prevedibili ideologie come quella del positivismo, la convinzione che fece della scienza l’unica disciplina in grado di spiegare la realtà, degenerando in quella che molti definirono una religione scientifica. La quale per la sua pacatezza, e pur condividendone alcuni punti salienti, poté differenziarsi da quell’illuminismo di stampo decisamente più rivoluzionario.
 
Tralasciando le inquietudini che videro il concepimento di capolavori come Tempi moderni di Chaplin e Metropolis di Lang - le quali profetizzavano un uomo soggiogato alle macchine - il reale rovescio della medaglia fu rappresentato dal sorgere di ideologie avare quali, fra tutte, l’imperialismo, il capitalismo e l’industrialismo.
 
Termini inquietanti confluiti in una parola solidale di cui quotidianamente si abusa per propagandare con l’inganno una realtà di uguaglianza, libertà e fraternità: globalizzazione.
 
Ancorché l’epoca contemporanea condivida buona parte delle prerogative dell’ormai inattuale epoca moderna - il rapido sviluppo tecnologico, il positivismo divenuto logico e l’accumulo sfrenato di capitali per conto di singoli - la consapevolezza della pericolosità di una modernità incontrollabile ed automatica - gestita da automi, da macchine - demarca visibilmente il punto di confine fra le due epoche e i due differenti zeitgeist: moderno e postmoderno.
 
E’ di Eco una delle definizioni più divulgative del postmodernismo:
“La risposta post-moderna al moderno consiste nel riconoscere che il passato, visto che non può essere distrutto, perché la sua distruzione porta al silenzio, deve essere rivisitato: con ironia, in modo non innocente.”
Ravvisando in un passato che condiziona la fonte dello spleen, dell’insoddisfazione moderna - come pure dimostrò Nietzsche nella seconda delle considerazioni inattuali - il postmoderno sperimenta ogni stratagemma per renderne innocua la presenza, ironizzandolo e schernendolo.
 
Alla lotta per l’indipendenza dalla Storia segue la valorizzazione della pluralità e dell’interpretazione oggettiva della realtà preferibili alla singolarità e all’interpretazione soggettiva.
 
Considerare la pluralità significa rendere più complessa la realtà dal momento che l’interpretazione prevederà un numero maggiore di variabili.
 
Lungi dal lasciarsi terrificare dalla complessità il postmodernismo confessa che la maggior parte dei sistemi esistenti in natura è di tipo non lineare - non scomponibile in una somma di sotto-problemi indipendenti fra loro - e ne studia le meccaniche al fine di produrre previsioni, sebbene non in tempo utile.
 
Travalica dunque la trappola semplicista delle distinzioni dualistiche, come quella del Bene contrapposto al Male - della quale io stesso sono caduto vittima nello scritto Chiaroscuro - e oltrepassa persino il pensiero illuministico proponendo una epistemologia della complessità risultante in una collaborazione tra scienza e filosofia.
 
Il matematico Douglas Hofstadter disinnesca la trappola del dualismo con la seguente frase:
"Forse la descrizione più concisa dell’illuminazione è: trascendere il dualismo. [...] Il dualismo è la divisione concettuale del mondo in categorie. [...] La percezione umana è per sua natura un fenomeno dualistico, il che rende quanto meno ardua la ricerca dell’illuminazione."
-tratto da "Gödel, Escher, Bach: an Eternal Golden Braid", capitolo IX
 
Nell’epoca contemporanea la complessità, in special modo quando affidata ad una rete di elaboratori elettronici vasta quanto un campo di rugby, non spaventa più nessuno.
 
L’introduzione della cosiddetta teoria del caos ha reso possibile la previsione di sistemi umanamente imprevedibili - detti caotici - quali, ad esempio, la traiettoria del fumo sprigionato dall’accensione di un fiammifero. Comportamenti caotici sono riscontrabili in matematica, fisica, chimica, biologia, dinamica di popolazione, informatica, ingegneria, economia, finanza, filosofia, politica, psicologia e robotica.
 
Il postmodernismo deve dunque considerare che ogni piccola azione può originare risultati imprevedibili, come dimostra un’applicazione pratica della teoria del caos, il romanzato effetto farfalla - o attrattore di Lorenz. L’origine del curioso nome si deve alla sperimentazione di Lorenz, il quale dimostrò che il battito d’ali di una farfalla in Brasile avrebbe potuto scatenare un tornado in Texas.
 
Appare evidente come l’introduzione di teorie come questa - si pensi alla relatività di Einstein, ai quanti impazziti di Heisenberg, alla spietata selezione naturale di Darwin, all’ipotesi Gaia - abbia determinato una rivalutazione - talvolta un sovvertimento - dei principi millenari ereditati dalla tradizione.
 
Perciò il postmodernismo impara a non considerare alcun sistema come assoluto - neppure lo stesso postmodernismo - poiché questo arresterebbe la libera ricerca, come analogamente ebbe a dire Feuerbach al riguardo della filosofia hegeliana.
 
E’ questa non assolutizzazione che allontana - e addirittura rende avverso - il postmodernismo alle ideologie che al contrario esigono assolutizzazioni. Strizza l’occhio, dunque, al contraddittorio relativismo alla Montaigne - logicamente contraddittorio - e prende le distanze da Chiesa ed Esercito, quei "gruppi artificiali" che Freud affratellò per la presenza di un capo assoluto - il Cristo nella Chiesa e il comandante nell’Esercito - "che ama allo stesso modo tutti i membri della collettività".
 
La società postmoderna è altresì, con le dovute eccezioni, una "società aperta", come spiegò Popper:
"La società aperta è aperta a più valori, a più visioni del mondo filosofiche e a più fedi religiose, ad una molteplicità di proposte per la soluzione di problemi concreti e alla maggior quantità di critica. La società aperta è aperta al maggior numero possibile di idee e ideali differenti, e magari contrastanti. Ma, pena la sua autodissoluzione, non di tutti: la società aperta è chiusa solo agli intolleranti."
-tratto da "La società aperta e i suoi nemici", Vol. I
 
Da ultimo, dopo aver finalmente riconosciuto la matrice umana - e tutt’altro che divina - dei Vangeli, come ha scritto lo storico del Cristianesimo Charles Guignebert:
"I Vangeli sono scritti di propaganda, destinati a organizzare e autenticare, rendendola verosimile, la leggenda rappresentata nel dramma sacro della setta ed a confermarla alle consuetudini della mitologia dell’epoca."
la società postmoderna deve trattare con la "morte di Dio" tuonata da Nietzsche, con la fine di ogni illusione, con la caduta degli idoli invisibili, e fronteggiare quel nichilismo passivo che ne deriva - non inteso nel senso agostiniano, o ratzingeriano, di ateismo - consistente nell’accettazione della finitezza umana.
 
E’ questa una società in cerca di quel nichilismo attivo volto a superare il nichilismo passivo rivalutando la vita e ricercando nuovi valori senza ricorrere a verità preconfezionate. E’ l’umanità a un passo dallo Übermensch nietzschiano, nonché il successivo livello evolutivo.
 
Con un occhio puntato alla clessidra dell’esaurimento delle risorse l’uomo e la donna postmoderni devono considerare tutto questo e porsi interrogativi nuovi, domandarsi se il surriscaldamento globale sia causato dall’uomo, se la pena di morte sia eticamente accettabile, se gli animali debbano essere utilizzati come cavie da laboratorio, se le sigarette debbano essere de-legalizzate, se i telefoni cellulari siano da ritenersi dannosi, se alle coppie omosessuali debba essere concesso il matrimonio.
 
Riaffiorano alla memoria le parole di un Dostoevskij che, nel racconto "Memorie dal sottosuolo", ammonì:
"Vi giuro, signori, che aver coscienza di troppe cose è una malattia, una vera e propria malattia. [...] Infatti, il diretto, legittimo, immediato frutto della coscienza è l’inerzia, cioè il cosciente starsene a mani conserte."
Così si diviene attenti a ventiquattr’anni, ed anzi vecchi, come scrisse Hemingway in "Addio alle armi":
"No. È il grande inganno, la saggezza dei vecchi. Non diventano saggi. Diventano attenti."
Il giovinetto ch’è vissuto in noi muore di una morte tacita, con tutte le sue ideologie e la sua propensione a lottare, e all’uscio compare un vecchio dubbioso, prudente, e consapevole d’essere cibo per vermi.

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