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Icaro innamorato, o della disfatta dell’amore

L’immaginazione: vento ed acqua dell’ardore amoroso.

Una delle leggende più rievocate della Grecia antica è innegabilmente quella legata a Dedalo ed Icaro. Il mito — dal greco mythos, racconto — narra che Minosse, re di Creta, dopo aver chiesto a Dedalo di costruire un labirinto ove recludere il mostruoso Minotauro, e temendo che questo ne rivelasse i segreti, vi fece imprigionare anche l’inventore assieme al figlio Icaro.
 
Deciso a fuggire, Dedalo fabbricò delle ali artificiali — costruite con delle penne e incollate al corpo con della cera — e ne fornì un paio anche a suo figlio. Ogni raccomandazione che Dedalo rivolse ad Icaro risultò vana: il ragazzo, spiccato il volo, giunse prossimo al sole che sciolse la cera provocandone la letale caduta in mare.
 
In un celebre dipinto Matisse attornia il protagonista della mitica vicenda — ritratto nel momento della caduta — con un cielo stellato, rivisitando l’originale che volle lo svolgersi dell’incidente alla luce del sole. Sul petto di Icaro, all’altezza del cuore, brilla una curiosa macchia rossa.
 
E’ ipotizzabile che l’artista intendesse evidenziare come nessuno sia più solito rivolgersi al sole — rivelatosi una banale accozzaglia di esplosioni nucleari — e come lo sguardo dell’uomo moderno sia proiettato ora verso le stelle; non più raccoglitrici di desideri al plenilunio ma traguardo fisico di una gara scientifica cominciata qualche secolo addietro.
 
Verosimile è anche l’ipotesi del tentativo di rappresentare la caduta di un uomo disilluso da quel sentimento amoroso che un tempo lo proiettò fra gli astri permettendogli di toccare il cielo con un dito, e che ancora pulsa in petto - seppur ridimensionato - in quella macchia rosso vivo.
 
Ho motivo di credere che l’opera dipinga quel disincanto, quello smarrimento esistenziale che caratterizza l’uomo moderno, e che conduce gli uni all’orba rincorsa alle religioni e gli altri al più disinteressato nullismo. E’ proprio questa disillusione che Luca, un ragazzo di 24 anni, affronta nell’amara lettera "Cercasi una donna d’altri tempi disperatamente" che di seguito propongo:
"Avrei voluto dedicare questa lettera all’amore ma, tra noi giovani, non esiste più. Siamo disillusi e rassegnati all’impossibilità di amare, all’incapacità di vivere un sentimento con coraggio, forza e serenità. Siamo attratti dai rapporti turbolenti, conflittuali, dalle storie infinite che ci logorano e distruggono. Siamo infelici e ci crediamo innamorati solo e quando sentiamo che una cosa non ci appartiene, come dei bambini che “disegnano le cose belle che non hanno”. Siamo gli amanti delle bugie, i fidanzati dell’infedeltà: ci amiamo, ci odiamo, ci lasciamo e riprendiamo ma abbiamo sempre meno energie e forze da investire. Siamo sempre innamorati ma non amiamo mai. Le rose, le promesse, i sogni sono spariti così come la voglia di essere complici, sinceri e di avere fiducia l’uno nell’altro. Non c’è più un punto d’incontro: noi uomini vorremmo essere compresi, apprezzati, desiderati e protetti. Le nostre donne invece sono sempre in crisi: sono belle, emancipate ma al tempo stesso sono piene di dubbi, fragili e insicure. E così, nelle coppie moderne si intravedono incomunicabilità, insofferenza, diffidenza, mancanza di rispetto. L’uomo non è più cavaliere, ma forse perché la donna ha perso la sua dimensione di Dama. Non è più angelicata, pura e intoccabile. Non ci viene voglia di corteggiarla perché è accessibile e concreta nelle sue ambiguità, debolezze e paure. Non è più una divinità. Prima le donne ci facevano perdere la testa, ora la pazienza."
Ed è la stessa disillusione a permeare la (ri)sentita risposta di Lorella, 37 anni:
"Sono abbastanza stupita di leggere un 24enne che desidera la donna d’altri tempi. Avrei pensato fosse più logico ne parlasse un uomo più anziano, visto che la nostalgia fa strani scherzi. Allora mi chiedo chi sia la ‘donna d’altri tempi’ a cui si fa riferimento. Quella di 50 anni fa? Di un secolo fa? C’è un tempo specifico? Io non credo che le donne, come tutti gli esseri umani con un preciso ciclo biologico da rispettare, fondamentalmente siano cambiate. Dentro di loro hanno gli stessi desideri, stessi sogni, stesse virtù e stessi difetti, leggi Jane Austen e lo capisci bene. Forse è il comportamento che è cambiato, la libertà nell’esprimerlo e la possibilità di scegliere la propria vita. Certo tutto ha un prezzo. Se la donna cambia il comportamento, l’uomo, la sua dolce metà, l’agognato altro lato dell’universo, che già non la capiva prima, adesso sbatte la testa contro il muro oppure, ahimè, diventa gay. Però sono d’accordo con Luca su una cosa. C’era qualcosa negli ‘altri tempi’ che era vivo e forte e pare che ora ci manchi terribilmente. Forse è quello straordinario coraggio nell’esprimere i propri sentimenti, quel prepotente impulso a violare i divieti e il conformismo perché solo così ci si può sentire felici e vivi, la pacatezza e la forza dell’anima che lotta per qualcosa che sente suo ed è giusto. Dunque anche io sogno un uomo d’altri tempi, l’uomo che non deve dimostrare la propria forza e per questo cede il passo, è gentile, ti offre il braccio. L’uomo che fa di tutto per superare gli ostacoli, per dimostrarti quanto ti ama e non si preoccupa di sembrare un idiota perché, avendo il coraggio e la fermezza delle proprie convinzioni, lui è."
Lamenti d’un epoca che fu — mai vissuta personalmente — all’insegna di un preconfezionato si stava meglio quando si stava peggio.
 
Da una lettura meditata si evince come entrambi ricorrano a stereotipi collaudati per delineare quell’Amore - forse più idolo che ideale - per mezzo del quale colmare la propria vuotezza interiore.
 
L’ammissione di Luca: "Siamo sempre innamorati ma non amiamo mai", sottintende la ricerca di un ideale consapevolmente astratto la cui esistenza è impossibile al di fuori del mondo delle idee.
 
Luca ha certo ragione nel dire che si ama solo quando non si possiede interamente, come rivelò Marcel Proust nell’eminente capolavoro "Alla ricerca del tempo perduto":
"Si ama solamente ciò in cui si persegue qualcosa d’inaccessibile, quel che non si possiede."
Ma è di un ideale che parla quando, anziché all’amata, si rammarica di non aver potuto dedicare la lettera "all’amore" - personificando il sentimento - come lo è anche la divina "donna d’altri tempi" cui nostalgicamente fa riferimento, la quale non ha improvvisamente smesso d’essere divina ma, più probabilmente, non lo fu mai.
 
E’ altresì di un ideale che parla Lorella quando descrive il gentleman d’altri tempi che, paradossalmente, "non deve dimostrare la propria forza" e tuttavia deve fare "di tutto per superare gli ostacoli", ricorrendo anche alla forza laddove necessario.
 
Quanto alla perduta volontà di "violare i divieti e il conformismo" cui pure accenna Lorella va rilevata l’impossibilità di riconoscere, nel tempo presente, cosa è conforme e cosa non lo è: oggigiorno si finisce sovente per conformarsi nel tentativo di contrastare il conformismo.
 
Al di là del ricorso allo stereotipo di matrice stilnovista che vorrebbe la donna una creatura divina, irraggiungibile, o a quello del cavaliere medievale dalla eroiche gesta — per non menzionare quello dell’uomo che "diventa gay" perché non intende la donna — entrambi sembrano concordare sull’esistenza di un problema di fondo: lo svuotamento interiore, la noncuranza, l’apatia, il disinteresse dell’animale uomo moderno a voler approfondire, scoprire e rivelare.
 
Condivisibile lamento di una donna che solo recentemente ha ottenuto quella libertà di parola da sempre riconosciuta per natura all’uomo — come voluto da 5 secoli di interpretazione letterale di Scritture come la seguente:
"[...] le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso di parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea."
-tratto dalla prima lettera di San Paolo ai Corinti 14, 34-36
 
e di un uomo che nostalgicamente rammenta quella donna misteriosa proprio in quanto abituata a tacere, gli sfoghi di Luca e Lorella additano all’esterno un impasse che è anzitutto profondamente interiore.
 
La donna, che solo recentemente ha rivelato il vero volto - poiché, come ha dimostrato il femminismo, solo recentemente le è stato accordato il permesso di farlo - si è palesata all’uomo in una irresolutezza ed una insicurezza inaspettata e tutt’altro che divina. Analogamente l’uomo, da sempre sognato dalla donna come incarnazione di nobili virtù quali coraggio, perspicacia e forza si è rivelato in tutta la sua umana limitatezza e caducità.
 
La radice dell’abbaglio è da ricercarsi, evidentemente, nell’immaginazione, da cui l’Amore stesso è composto, come ricordano le parole di Voltaire:
"L’amore è una tela fornita dalla Natura e abbellita dall’immaginazione."
E’ un delizioso - ma pericoloso - frutto dell’immaginazione quell’Amore pervenutoci attraverso la letteratura e attraverso l’arte in genere: dall’amato considerato "uguale agli dei" della poetessa Saffo alle irraggiungibili Beatrice e Laura dei rispettivi Dante e Petrarca, a Renzo e Lucia del Manzoni, a Tristano e Isotta, a Tancredi e Clorinda, a Romeo e Giulietta, senza tralasciare Cenerentola, Biancaneve e affini.
 
Il moderno senso comune ospita un’immagine stereotipata dell’amata/o che contrasta irruentemente col reale, ed i risultati deludenti sono riscontrabili in lettere come quelle esaminate.
 
Nel vano tentativo di cercare l’Amore ideale abbiamo dimenticato il giovamento dello stare insieme corporeo, dell’avere accanto una persona con cui condividere i momenti più imbarazzanti, con cui discutere i propri punti di vista, con cui affrontare le proprie insicurezze, con cui guardare al futuro.
 
Siamo precipitati al suolo come l’Icaro di Matisse, disincantati e col cuore ancora ardente di una speranza illusoria.

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