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 Home page > Tribuna Libera > Quando la retorica sale: il discorso di Biden su Israele

Quando la retorica sale: il discorso di Biden su Israele

Gli israeliani hanno pianto, guardando le dichiarazioni di Biden agli americani. Un discorso pieno di tanta, tanta retorica dove non c’è stato un accenno alle sofferenze che la popolazione palestinese patisce per la cancellazione della loro identità dal 1948, data sancita come “Nabka”, la “distruzione” del loro passato, la cacciata dalle loro terre.

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Quello che si può ascoltare in quelle parole è solamente un inno alla grandezza dell’America, una esaltazione della sua politica estera che, dalla fine della guerra fredda, ha dato solo tragedie. Ma la metà del partito di Biden è pronto a rivoltarsi contro di lui se ci darà un sostegno “eccessivo”.

La notte prima della visita del Presidente americano a Tel Aviv, c'è stata un'esplosione mortale in un ospedale di Gaza. I governi arabi hanno rapidamente abbracciato l'affermazione di Hamas secondo cui dietro l'attacco c'era Israele e i manifestanti sono scesi nelle strade di tutto il Medio Oriente. Ma Biden ha appoggiato la versione israeliana che accusava un fallito lancio di razzi da parte di un gruppo militante. (Bloomberg)

Magen Inon è un padre israeliano di tre figli residente a Londra, insegnante e titolare di un dottorato in filosofia dell'educazione

“Ho perso i miei genitori nell'attacco di Hamas. La mia famiglia vuole la pace, non la vendetta per la loro morte”

“desidero parlare di quella che credo sia l'eredità dei miei genitori. Le persone di entrambi i lati del confine hanno buone ragioni per odiarsi a vicenda. Questo viene utilizzato da coloro che si nutrono di odio.
 Ma questa non può essere l’unica opzione. La mia famiglia non cerca vendetta. I miei genitori trattavano le persone in base alle loro azioni, non alla loro affiliazione a qualche gruppo. Veniamo confortati da persone di ogni ceto sociale, indipendentemente dalla loro religione, etnia o genere. Anche amici intimi della comunità beduina hanno perso i propri cari nell'attacco.

“Il nostro futuro condiviso si basa sulla convinzione che tutti gli esseri umani sono uguali e meritano rispetto e sicurezza. È così che sono cresciuto e così sto crescendo i miei figli. A lungo termine, e anche se molto lontano, l'unico vero futuro è quello della speranza e della pace. Per favore, fermate la guerra”.
The Guardian

Amnesty International ha condannato la direttiva emessa l’8 gennaio dal nuovo ministro israeliano per la Sicurezza nazionale, Itama Ben-Gvir, che definisce la bandiera palestinese simbolo del “terrorismo” e istruisce la polizia a rimuoverla dai luoghi pubblici.

La direttiva avrebbe l’obiettivo di impedire “l’incitamento” contro Israele, mentre secondo Amnesty International rappresenta un grave attacco al diritto alla nazionalità e a quelli alla libertà d’espressione e di riunione pacifica.

Inoltre, si tratta dell’ennesimo provvedimento adottato negli ultimi tempi dalle autorità israeliane per ridurre al silenzio il dissenso e limitare le proteste, comprese quelle in favore dei diritti della popolazione palestinese, tra i quali la crescente repressione sulla società civile palestinese e l’aumento degli arresti e delle detenzioni amministrative contro gli attivisti palestinesi.

“Da decenni la bandiera palestinese è simbolo di unità e resistenza contro l’occupazione illegale israeliana ed è usata nel mondo in segno di solidarietà verso la popolazione palestinese. È profondamente ironico che le autorità israeliane, per giustificare la loro direttiva, facciano riferimento all’incitamento, quando è proprio quel provvedimento ad alimentare l’odio razziale e ad acuire le divisioni. Si tratta di una delle tante misure, assunte nell’ambito del sistema israeliano di apartheid, che hanno l’obiettivo di minimizzare la presenza e la visibilità dei palestinesi e ridurre al silenzio le loro voci”
(Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord).

In Germania, il ricordo inquietante dell’uccisione di sei milioni di ebrei europei da parte dei nazisti durante l’Olocausto ha particolarmente suscitato tensioni. "La nostra storia, la nostra responsabilità per l'Olocausto rende nostro dovere in ogni momento difendere l'esistenza e la sicurezza di Israele", ha detto ai legislatori il cancelliere tedesco Olaf Scholz.
Oltre a vietare le proteste, le autorità educative di Berlino hanno anche considerato di vietare agli studenti di indossare la Sciarpa kefiah palestinese e adesivi come "Palestina libera".
È veramente deprimente quando valori umani, come quelli sopra citati, vengono impiegati per produrre altre persecuzioni, soprusi e ingiustizie rivolte in un’altra direzione. Il tutto per rimanere “coerenti” con il mainstream della politica dei più forti.

Oggi sono in corso manifestazioni in tutto l’occidente. I manifestanti di Londra dicono di aspettarsi che quasi 200.000 persone marceranno a sostegno degli abitanti di Gaza. "Chiederemo un cessate il fuoco e la fine della violenza, la fine dell'assedio israeliano e l'invio immediato di tutti gli aiuti umanitari a Gaza", ha detto al TIME un portavoce della Palestine Solidarity Campaign.

La catastrofe (Nakba) che il popolo palestinese ha vissuto a seguito della guerra del 1948 e della creazione dello stato di Israele è iniziata con una visione.
Nel 1895, due anni prima della convocazione del primo Congresso Sionista, Theodor Herzl, il fondatore del movimento sionista, descrisse nei suoi diari il piano per espellere i Palestinesi. "Cercheremo di dare spirito alla “popolazione senza un soldo” oltre il confine procurandogli occupazione nei paesi di transito, negandole qualsiasi occupazione nel nostro paese. . . Sia il processo di espropriazione che di rimozione dei poveri devono essere eseguiti in modo discreto e circospetto”.
“Per quanto riguarda i ricchi
(aggiungeva) verrebbero comprati. Lasciamo che i proprietari di beni immobili credano che ci stanno imbrogliando, vendendoci cose per più di quanto valgono. Non stiamo per rivendere nulla” (Herzl 1960: 88)

Socrate ha notoriamente fatto riferimento al problema morale nel suo Dialogo con Eutifrone: “Non credo che abbiano il coraggio di dire o sostenere che se stanno sbagliando non dovrebbero pagare una penalità. Quello che dicono, credo, è che non stanno sbagliando

E’ così che ci si salva la faccia!
 

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