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Netanyahu si appella alla Bibbia per giustificare le sue atrocità.

Mentre i cittadini di Gaza piangono la morte di oltre 9.000 persone, di cui 3.760 bambini per opera dell’esercito israeliano, il presidente Benjamin Netanyahu, giurando che Hamas dev'essere eliminato o in qualche modo reso inoffensivo anche a costo di fare a pezzi Gaza, ha “legittimato” le sue atrocità citando la Bibbia.

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"Le richieste di cessate il fuoco sono in realtà richieste a Israele di arrendersi ad Hamas, di arrendersi al terrorismo, di arrendersi alla barbarie. Non accadrà mai.
Signore e signori, la Bibbia dice che c'è un tempo per la pace e un tempo per la guerra. Questo è il tempo per la guerra
".

E, finalmente, ci siamo arrivati: dopo tutte le azioni dello Stato riguardanti il “problema Gaza” già dal 1967, e la decisione sconsiderata di rafforzare Hamas con lo scopo di dividere il movimento nazionale palestinese tra islamisti con sede a Gaza e nazionalisti laici in Cisgiordania, Netanyahu ora si appella alle sacre scritture come lasciapassare al suo corridoio di follia incontrollata.

Ma prima di ricorrere all’avallo della provvidenza divina, Bibi (o chi per lui) il 29 Ottobre aveva postato un messaggio su X, sostenendo che “in nessuna circostanza e in nessun momento il primo ministro era stato avvertito dell’intenzione di Hamas di entrare in guerra… tutti i funzionari della difesa, compresi i capi dello Shin Bet (Servizio di Sicurezza), credevano che Hamas fosse scoraggiato e cercavano un accomodamento. Questa è stata la valutazione presentata più e più volte al primo ministro e al gabinetto da tutti i funzionari della difesa e dalla comunità dei servizi segreti fino allo scoppio della guerra.”

Dopo questo scarico di responsabilità Benny Ganz, ministro e membro del Gabinetto di Guerra, rispondeva pubblicamente che il Primo Ministro “deve ritrattare le sue osservazioni di ieri sera e smettere di occuparsi di questo problema... la leadership richiede dimostrazione di responsabilità. Qualsiasi altro tipo di parola o azione danneggia la resilienza e la forza della nazione”.

Il tweet veniva immediatamente cancellato e il suo autore ammetteva: “ho fatto un errore” aggiungendo, però, “insieme vinceremo”.
La sopravvivenza politica per un personaggio è troppo importante, ancor più se questo personaggio narcisista, come Netanyahu, ha a cuore, innanzi tutto, la sua immagine.
E allora, quando il suo scaricare la colpa sugli altri gli si ritorce contro in maniera spettacolare, occorre trovare un’altra strategia, e l’unica è quella di far intervenire la “volontà divina” alla quale non ci si può sottrarre; un escamotage al quale l’uomo ha sempre fatto ricorso, compresi gli stessi rappresentanti in terra della volontà di dio.

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tweet netanyahu

Come tutti sappiamo, nello Stato di Israele la maggioranza è ebraica. Il conflitto territoriale, violento, con arabi e palestinesi dura dal 1947 ed ha assunto anche un carattere religioso: Hamas (fondamentalisti sunniti palestinesi, appoggiati da Iran e Hezbollah libanese) e coloni (fondamentalisti ebrei) i quali sostengono che il territorio di Palestina/Israele è stato dato loro da Dio.
E poi, lo Stato di Israele anti-Iran, il quale è in accordo, ormai, con Paesi musulmani del «blocco saudita».

Nell’anno 2014 veniva ufficialmente proclamato il Califfato, guidato da Abu Bakr Al-Baghdadi. Un Governo monarchico, la cui identità sociale e politica si basa sulla predicazione del profeta Maometto.
Il dato che emerge da quegli anni è la problematica difficoltà a riportare concettualmente le trasformazioni geopolitiche in atto in quella regione, in quanto esse subiscono un dinamismo ad una velocità incredibile, se ci si rapporta alla storia passata; soprattutto perché è dettata da paradigmi politici che si fondano su presupposti religiosi.

Questa visione, la quale si incardina su tali presupposti che credevamo superati in Occidente, almeno fino a poco tempo fa, porta il mondo a scontrarsi in “territori” che non trovano dialogo perché basati su impostazioni in contrapposizione l’una con l’altra; questo porta ad una “geografia dell’incertezza”.

La Pace di Westfalia del 1648 aveva permesso di coniare il termine Stato, come sinonimo di status, stabile, fermo, statico il quale era basato sul riconoscimento reciproco di un’autorità sovrana.
La geografia dell’incertezza non consente più, di confrontarsi con una realtà giuridica territoriale sovrana, e lo farà sempre meno perché ad ogni crisi, ogni volta, fa seguito un cambiamento geopolitico, a cui segue una successiva nuova fase di incertezza.

Nell ‘estate del 1993 il politologo statunitense Samuel P. Huntington pubblicò il famoso libro The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order (trad. Italiana “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale) dopo l’apparizione dell’omonimo articolo sulla rivista Foreign Affairs, al quale seguì un secondo saggio per rispondere alle critiche che erano state mosse alla sua rivoluzionaria teoria.

“Gli anni successivi alla Guerra fredda videro l’inizio di mutamenti drammatici nelle identità dei popoli e nei simboli che le incarnavano. Il quadro politico mondiale iniziò a essere riconfigurato in base a criteri culturali”.
Su questo assunto Huntington sviluppa la sua teoria in base alla quale “nel mondo post-Guerra fredda, le principali distinzioni tra i vari popoli non sono di carattere ideologico, politico o economico, bensì culturale”. E sotto la categoria “culturale” l’autore include soprattutto quella religiosa.

“Nell’epoca che ci apprestiamo a vivere, gli scontri fra civiltà rappresentano la più grave minaccia alla pace mondiale, e un ordine internazionale basato sulle civiltà è la migliore protezione dal pericolo di una guerra mondiale”.

Il suo libro ricevette numerosissime critiche, ovviamente, in quanto andava a frantumare l’impianto teorico che sosteneva la visione oramai consolidata dell’equilibrio internazionale.
Ma se la critica è una sorta di leva di Archimede con cui i critici sperano di muovere il mondo, dev’essere davvero un dispositivo meraviglioso, ovunque ci si trovi, per spingerla verso il basso!

Ma è dove si trova il critico nello spazio sociale, che è il punto di maggiore conseguenza nello stimare l'efficacia della critica.
Nel 1993, appena dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, il mondo si apprestava a passare ad un equilibrio unipolare che non avrebbe più seguito la logica del bipolarismo.

A distanza di trent’anni la teoria di Samuel P. Huntington si è dimostrata più che giusta, e ad ogni anno che passa gli eventi catastrofici che si verificano sulla scena mondiale ce lo confermano sempre di più.
 

 

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