Primarie: indagini e conflitti d’interessi
Quello che il PD non dice di Bersani, Renzi e Vendola
Quello che il PD non dice di Bersani, Renzi e Vendola
Dall'indagine per abuso di ufficio su Vendola agli affari e alle amicizie di Bersani con la più grande e torbida finanza italiana ai guai di Renzi con la Corte dei Conti per presunti danni erariali di milioni di euro. Ecco quello che il PD non racconta delle primarie per il candidato premier.
Curiosamente - ma a ben guardare neanche tanto - tra le regole di partecipazione alle primarie del centrosinistra ne mancano due che, nel clima di "antipolitica" imperante, ci sarebbero state molto bene. La prima è che un indagato non può candidarsi alla guida del Paese; la seconda è la totale trasparenza nei finanziamenti che si ricevono.
Sarebbero due regoline di buon senso che darebbero anche un segnale di cambiamento importante nella bistrattata politica nostrana: gli elettori delle primarie, chiamati a eleggere un candidato premier con alte probabilità di vittoria alle elezioni politiche, avrebbero il pieno diritto di votare una persona non coinvolta in inchieste, specie se "pesanti". Allo stesso modo, sapere chi finanzia cospicuamente una campagna elettorale permette di intuire quali "grandi interessi" il candidato premier sarà tenuto a "tutelare".
Prendiamo i tre principali contendenti: Bersani, Renzi e Vendola.
Il primo non ha indagini pendenti a suo carico e, anche sul piano comunicativo, si presenta come un semplice e onesto galantuomo: basti pensare che inizierà la sua campagna elettorale dalla pompa di benzina appartenente al padre (a Bettola, Emilia Romagna). Eppure i suoi sostenitori storici, da Comunione e Liberazione alle coop rosse, sono tutt'altro che popolani indigenti. Lui stesso l'ha ammesso scherzando: "Se votassero solo i ricchi, vinceremmo sempre noi. Ci ha fregati il suffragio universale". Sarà per questo che Bersani ha avuto a che fare, negli anni, con tutte le più grandi operazioni finanziarie d'Italia, anche le più torbide.
A cominciare dall'operazione che nel '99 ha portato Telecom nelle mani di Roberto Colaninno, di cui Bersani è stato un grande sposor verso D'Alema, allora a capo del Governo di cui il nostro faceva parte. "Evvai!", esultò quando, dopo che il governo impedì a Telecom di poter resistere all'Opa lanciata da Olivetti, i "capitani coraggiosi" si impadronirono dell'azienda.
Nel 2004 Bersani va con Fassino dall'allora governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, a proporgli la fusione tra la Bnl e il Montepaschi, che salta e a cui subentra Unipol. La voce di Bersani non è stata registrata nelle intercettazioni, ma le sue telefonate e i suoi rapporti con i "furbetti" si trovano annotati nelle agende del segretario di Fiorani. Più tardi, è stato anche con l'appoggio di Consorte che Bersani è riuscito a diventare segretario del PD.
Un altro amico di Bersani che in vita non ha mai avuto bisogno di fare la fila alla Caritas è Marcello Gavio, l'imprenditore (già latitante nel '92 per accuse di corruzione da cui è stato assolto, socio di Ligresti e delle Autostrade e proprietario di aziende con manager condannati per finanziamento illecito) - con cui il segretario del PD "ha da sempre un ottimo rapporto" - che appena due anni prima della nomina di Bersani a ministro dello Sviluppo Economico ha tentato la scalata alla Serravalle sotto l'occhio vigile dei magistrati che, in cerca di tangenti, avevano messo i telefoni sotto controllo. Scoprendo che Gavio è riuscito ad averla vinta grazie soprattutto all'intervento di Filippo Penati, sponsor di Bersani alle primarie che lo hanno consacrato segretario del partito.
Penati, allora presidente della Provincia di Milano, usò, in aperta opposizione col sindaco Albertini, le casse della Provincia per aiutare Gavio nell'impresa. Tutto merito di Bersani: è stato lui, come risulta dai brogliacci delle intercettazioni, a mettere Penati in contatto con Gavio. Prima facendo pressione sul primo affinché telefonasse all'altro, poi addirittura organizzando un'incontro "in modo riservato", in un albergo di Roma.
Più tardi fu coinvolto anche nel caso Parmalat, il cui reponsabile della tesoreria, Franco Gorrreri (già presidente della Banca del Monte di Parma e vicesegretario Provinciale del Psi) - ha raccontato Calisto Tanzi - avrebbe finaziato Bersani "per conto del gruppo". Lui, interrogato dai magistrati nel 2005, ha smentito "con riserve": "Posso affermare di non aver mai rinvenuto il nome di Gorreri tra i contributori. Non posso essere altrettanto categorico per le precedenti campagne elettorali". Alla fine il pm fa archiviare le accuse relative ai finanziamenti illeciti, nonostante dalle casse di Parmalat siano usciti 12 milioni di euro destinati ai partiti.
Non ha invece potuto smentire di avere accettato, tra il 2006 e il 2007, 98 mila euro da Emilio Riva, patron dell'Ilva di Taranto. Tutto lecito e documentato. Ma all'epoca Bersani era Ministro dello Sviluppo Economico. Quei soldi - intascati personalmente - possono aver influenzato Bersani, principale responsabile di un settore strategico come quello industriale?
Il "generoso regalo" di Riva ha alzato il velo su una pratica - quella dei "finanziamenti privati" - che andrebbe regolata. E se è vero che quel dono venne fatto ormai sei anni fa, è vero anche che siamo autorizzati a domandarci se ci siano altri industriali - o manager di grandi aziende - che pagano centinaia di migliaia di euro una campagna elettorale. Questo vale per Bersani come per tutti gli altri, ovviamente. Chi finanzia le primarie di questi signori? Chi paga viaggi, palchi, ospiti, cene, catering e quant'altro?
Veniamo a Renzi. Il sindaco di Firenze - autonominatosi "rottamatore" della vecchia politica - nell'estate del 2011 è stato condannato in primo grado, insieme ad altre venti persone, dalla Corte dei Conti toscana per danno erariale e al pagamento di 14mila euro. Il procedimento si riferisce a quando era presidente della Provincia di Firenze, ed è oggettivamente poca roba.
Tuttavia il quotidiano Stampa Toscana riportava un mese fa la notizia di nuovi, e ben più seri, guai riguardanti sempre la gestione della Provincia di Firenze: il consigliere provinciale del PdL Guido Sensi ha infatti diffuso i documenti ufficiali della Corte e del Ministero dell'Economia con i quali l'attuale candidato alle primarie del centro-sinistra è stato "messo in mora" per alcune irregolarità nella gestione finanziaria dell'ente. E stavolta le cifre si gonfiano di zeri:
Gli ispettori del Ministero dell'Economia e delle Finanze, Luciano Cimbolini e Quirino Cervellini - riporta il quotidiano - sono stati inviati dal vice procuratore generale Acheropita Mondera Oranges a visionare le carte della Provincia e hanno operato dal 10 gennaio all'11 febbraio 2011. Dai rilievi dei due funzionari sono emerse 15 ipotesi di responsabilità amministrativa per un valore complessivo di 3.864.935 euro, dei quali 1,5 direttamente imputabili al sindaco di Firenze (secondo quanto estrapolabile dai documenti resi pubblici da Sensi). In particolare, Renzi sarebbe responsabile di «gravi illegittimità nell'attribuzione di alcuni compensi a carattere indennitario» e «dell'illegittima attribuzione di quattro incarichi di direzione generale». Sostanzialmente, si tratterebbe di stipendi illecitamente gonfiati e assunzioni irregolari.
Per questi fatti al momento Renzi non è indagato, né vi sono ipotesi di reato. Tuttavia è lecito domandarsi se questa generosa gestione del denaro pubblico sia compatibile con il ruolo che Renzi vuole ricoprire. E a ciò si aggiungano le accuse del dipendente comunale fiorentino Alessandro Maiorano, che ha reso pubbliche molte fatture (guardale) della giunta provinciale guidata da Renzi: tra i quasi 20milioni di euro spesi emergono anche biglietti aerei, vini pregiati, pasticcini, bouquet di fiori e notti in hotel di lusso.
Non è migliore la situazione di Nichi Vendola. Il governatore pugliese, ex comunista e beneficiario dello stipendio più alto tra quelli dei presidenti di regione, è indagato per concorso in abuso d'ufficio per una vicenda legata al concorso per la nomina a primario di Paolo Sardelli, responsabile del reparto di chirurgia toracica all'ospedale San Paolo di Bari. Come se non bastasse è indagato anche per abuso d'ufficio, peculato e falso per una transazione di 45milioni di euro non conclusa tra Regione Puglia e l'ospedale "ecclesiastico" Miulli. Vendola ha dichiarato ieri alla trasmissione Agorà: "Se vengo condannato, è chiaro che mi ritiro dalla vicenda delle primarie. Tra qualche giorno andrò a giudizio con rito abbreviato chiesto da me, e lo faccio con la coscienza totalmente serena''.
Questo è quanto. Mentre si discute sulla leadership del centrosinistra, le regole delle primarie sorvolano su fatti anche piuttosto gravi. E così, mentre i cittadini chiedono un'inversione di marcia alla politica e una gestione più etica del bene comune, tra i tre candidati emergono storie non sempre limpide.
Perché il Partito Democratico non ha regolamentato i profili giudiziari dei candidati alla guida del Paese? E perché, in barba alla trasparenza, non è dato sapere chi finanzia le campagne elettorali dei tre uomini del centrosinistra?
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