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Paolo Borsellino | La sigaretta quasi sempre accesa…

Un giudice perspicace e con un alto senso del dovere, questo era Paolo Borsellino, una persona normale, ma tenace e senza tentennamenti, la sigaretta quasi sempre accesa, unico vizio a cui non riusciva a rinunciare

Il 21 maggio del 1992 Paolo Borsellino rilasciò un’intervista a due giornalisti francesi, Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo. L’inchiesta acquistata da Canal plus, allora in affari con la Fininvest di Silvio Berlusconi, rimase inspiegabilmente in archivio fino al 2000, quando il direttore di Rai News24, Roberto Morrione, incaricò Sigfrido Ranucci e Arcangelo Ferri di occuparsi dell’anniversario della strage di Capaci e di via D’Amelio. Fu l’attuale conduttore di Report a trovare la registrazione nell’archivio personale del giudice ed a pubblicarla.

Riguardando quell’intervista, nulla faceva presagire che da lì a poche settimane sarebbe stato vittima di un attentato mafioso. Mentre parlava sembrava un po' imbarazzato, forse perché si era impegnato a non fumare oppure perché era così, riluttante e restio come lo sono spesso i siciliani quando devono parlare in pubblico. Non c’erano tensione o timore nelle sue parole, nei suoi sguardi e nel sorriso accennato dopo un’ultima battuta. L’esposizione è lineare e chiara, essenziale, senza affettazione, quella di un uomo delle istituzioni, che non si fa remore ad usare gli appunti quando non ricorda con precisione una data o un nome. L’accento è quello tipico dei palermitani, la voce è rauca, una diretta conseguenza della nicotina. Alle domande più ‘allusive’ risponde con la diffidenza tipica dei meridionali quando qualcuno vuole indurti a fare affermazioni avventate e comunque non confermate dai fatti. In quell’intervista, pur sapendo di essere nel mirino della Mafia e che l’irreparabile sarebbe potuto succedere in qualunque momento, avrebbe potuto rilasciare affermazioni ‘imprudenti’, ma non lo fece, anzi ha pesato le parole prima di pronunciarle ed ha fatto brevi pause che a volte dicono di più di qualunque discorso.

Un giudice perspicace e con un alto senso del dovere, questo era Paolo Borsellino. Una persona normale. Umile, ma tenace e senza tentennamenti. La sigaretta quasi sempre accesa.

Amare e preoccupate sono invece le sue parole nell'intervista rilasciata a Lamberto Sposini dopo la starge di Capaci: "La morte di Falcone mi ha lasciato in uno stato di grave situazione psicologia perché non si tratta solo di un collega o di un compagno di lavoro ma del più vecchio dei mie amici che è venuto meno … Ho temuto nell’immediatezza in una drastica perdita di entusiasmo nel lavoro che faccio, fortunatamente ho ritrovata la rabbia per poterlo fare … Ricordo Ninni Cassarà che mi disse… convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano, l’espressione … io vorrei ripeterla ora, ma vorrei farlo in modo più ottimistico ho sempre accettato le conseguenze del mio lavoro ... perché ho scelto ad un certo punto della mia vita di farlo e sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli … La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in estremo pericolo è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio … e so che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuare a fare senza lasciarci condizionare dalla sensazione o financo dalla certezza che tutto questo può costarci caro".
Non ha detto tutto, non avrebbe potuto, quello che sapeva lo avrebbe riferito prima ai giudici, ma inutilmente aspetterà di essere convocato, la Mafia e chissà chi altro glielo hanno impedito.

Fonte rainews.it e archivioantimafia.org

Foto da articolo21.org

Questo articolo è stato pubblicato qui

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