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"¡No Pasarán José Luis!". In morte di Sampedro, scrittore e ideologo degli Indignados

Ha ordinato infine un Campari. Dopo averlo sorseggiato ha detto di cominciare a sentirsi meglio e si è congedato con “muchas gracias a todos”. Così si è spento José Luis Sampedro a Madrid all’età di 96 anni. Ma se fosse stato realmente un dandy non avrebbe chiesto esplicitamente che la notizia del suo funerale venisse divulgata solo dopo la sua stessa cremazione. Perché non gli era mai piaciuto il circo mediatico allestito alla morte di un personaggio famoso. Neanche si può definire come uno scrittore veggente nonostante uno dei temi centrali della sua opera narrativa, la dignità, fosse arrivato negli ultimi anni a dominare il lessico del dibattito quotidiano.

Sampedro ha attraversato (quasi) un secolo di vita e letteratura spagnola tenendo sempre fede alle poche idee, ma in compenso fisse, che hanno animato la sua etica. La dignità quale parte più intima di una personalità che accompagna la stessa nel cammino verso l’hacerse lo que se es, verso la formazione e la maturazione dell’Io più profondo. La dignità come autenticità, come integrità “è tutto ciò che ci resta qui dentro. È il nostro ultimo centimetro, ma in quel centimetro siamo liberi” (vedi V for Vendetta). Nemmeno è stato mai il tipico intellettuale chiusosi nella proverbiale torre d’avorio dalla quale giudicare, pontificare e sentenziare su tutto senza bagnarsi nella stessa baia degli altri mortali. José Luis imparò dalla Guerra Civil che l’impegno politico dell’individuo è imprescindibile in quanto l’animale sociale non smette d’influenzare ed essere condizionato dalla società nella quale si muove.

Sempre disponibile al dialogo e al confronto, Sampedro è stato poi bravo però a non cadere nella nuova estetica intellettuale da salotto televisivo, dispensatrice di soluzioni e verità assolute. Non a caso nella giovane generazione spagnola è arrivato a personificare l’immagine del saggio della tribù, del vecchio erudito che democraticamente esprime i suoi ponderati punti di vista sulla base di una lunga esperienza vitale. Quando nel 2011 scrisse il prologo per Indignez-vous accrebbe ancor di più la sua notorietà finendo per essere riconosciuto come tra gli ideologi dei movimenti del 15m e di Democracia real ya! (conosciuti come Indignados). Sampedro ebbe modo di ripetere così l’urgenza di una rivoluzione che fosse prima di tutto culturale per poter ridare centralità all’uomo quale individuo dotato di dignità e diritti e re-intronizzarlo al posto che oramai da troppo tempo è occupato dal denaro: “Es cuestión de dignidad; no se puede ser cómplice del poder inhumano ni se puede callar. Hay que estar con el dolor real, el que muerde la carne: el sufrimiento del hombre humillado y el niño hambriento”.

La sua personalità intellettuale double-face gli ha permesso inoltre di trattare queste tematiche anche dal punto di vista dell’economista (autodefinitosi tercermundista), suo principale impiego. Si è infatti sempre dichiarato quale uomo di frontiera e la prima che ha sempre affrontato è stata quella insita nelle sue viscere, tra il narratore e l’economista, alla quale è riuscito a dare un equilibrio non auspicato. Di frontiera in frontiera si è sempre poi mosso, data la sua professione (nel Banco Exterior e come professore universitario, anche all’estero) e la sua vena creativa. La sua opera ha infatti esplicitato l’esigenza di spazi, la necessità del viaggio, dapprima come evasione da un sistema chiuso (Franco) e dopo come dilatazione di tematiche e argomenti a una dimensione globale. Nei suoi racconti e romanzi e opere teatrali, Sampedro ha usufruito del pastiche e della rivisitazione postmodernista per tratteggiare le contraddizioni del mondo e i suoi fenomeni socioculturali. Ci ha parlato della possibilità di un mondo diverso in Congreso en Estocolmo (primo romanzo pubblicato nel 1952); del mondo mitico e selvatico degli estinti gancheros in El río que nos lleva; del bigottismo e della falsa moralità in El caballo desnudo; della scoperta dell’imparare a ricevere di un nonno grazie ad un nipote appena nato in La sonrisa etrusca (suo maggior successo, tradotto anche in italiano); del dramma delle minoranze in El amante Lesbiano, della decadenza e del despertar in La senda del drago.

Sampedro ha seguito così di pochi giorni il collega in armi (ideologiche) Stéphane Hessel, scomparso anche lui come scompare lo zio buono, quello che c’è sempre stato e che sempre si è prodigato per un mondo migliore. Entrambi nati nel 1917, hanno condiviso l’esperienza di un impressionante secolo XX, la convinzione dell’importanza dell’impegno politico contro l’indifferenza, la fiducia nei giovani e nella loro capacità d’indignarsi (ancora): “¡Indignaos! Luchad, para salvar los logros democráticos basados en valores éticos, de justicia y libertad prometidos tras la dolorosa lección de la segunda guerra mundial. Para distinguir entre opinión pública y opinión mediática, para no sucumbir al engaño propagandístico”. Il convinto umanismo di questi ha trovato la soluzione alla crisi e alla decadenza del sistema mondiale nelle virtù insite spontaneamente nell’uomo, quali la fratellanza, il rispetto, la solidarietà e la libertà, basi per una ricostruzione più giusta ed egualitaria della società.

Il messaggio della letteratura di Sampedro è stato quindi sempre ottimista perché fiducioso nell’essere umano e nella decadenza di un sistema che provoca ingiustizia e violenza. Chissà se infine in qualche targa commemorativa che verrà posta alla sua memoria non venga proposta la frase che Sampedro stesso si augurava di leggere: “¡Que ustedes lo pasen bien!”. 

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