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Nasce l’Osservatorio sui cronisti minacciati dalle mafie

Viene presentato al festival del giornalismo di Perugia, nella gremita sala del Teatro Pavone, l’Osservatorio della Fnsi e dell’Ordine dei giornalisti che dovrà vigilare sui cronisti al fronte contro le mafie.

Tra i protagonisti della conferenza, il corrispondente dell’Ansa da Palermo Lirio Abbate, minacciato dalla mafia e quindi sotto scorta, Peter Gomez, David Lane giornalista dell’Economist, Ivan Lo Bello, presidente della Confindustria Sicilia, sempre in prima linea nella battaglia al pizzo e Angelo Agostini, direttore de "I problemi dell’Informazione", rivista trimestrale che si occupa di media e comunicazione.

Ad aprire il confronto, Lirio Abbate che ricorda come spesso la mafia diventi la "longa manus" dei personaggi politici e che in Sicilia si contano ben 8 cronisti assassinati.
Citando il libro "I Complici", sulla latitanza di Provenzano (scritto insieme a Peter Gomez), sottolinea anche il ruolo di un importante azienda, la Calcestruzzi S.p.a., accusata più volte di collusioni mafiose e per l’utilizzo di cemento depotenziato (testimonianza di come la criminalità non sia una piovra misteriosa da fiction ma incida concretamente, in peggio, sulla vita dei cittadini).

Ivan Lo Bello paragona il pizzo chiesto agli imprenditori alla censura dei giornalisti che scrivono di mafia. Ricorda la sua iniziativa, lanciata nel 2007, che punta ad espellere dalla Confindustria siciliana coloro che non denunciano e si arrendono all’arroganza del potere mafioso. La regola è chiara: "Se stai con noi non paghi, o denunci, altrimenti esci fuori dall’associazione".

Lo Bello parla di "azione più forte" dello Stato negli ultimi anni, dopo le terribili stragi e l’isolamento subito da Libero Grassi, lamentando però ancora "una sostanziale indifferenza e tolleranza verso il pizzo" in molte parti della Sicilia.

Angelo Agostini rileva un rapporto che elenca più di 40 cronisti minacciati in diversi modi nel biennio 2006/08. Notizie che sui giornali finiscono spesso in 2-3 righe in una breve di cronaca.

Da queste inquietanti statistiche, e su proposta di Alberto Spampinato (fratello di Giovanni Spampinato, ucciso a Ragusa dalla mafia nel 1972) è nata l’idea di un Osservatorio che difenda i giornalisti ed informi correttamente il paese.

Il momento più intenso della tavola rotonda è stato l’intervento di Peter Gomez, che con grande passione ha evidenziato come molte inchieste ormai non escono più sui giornali ma solo sui libri. Cita un episodio singolare legato alla storia di Bernando Provenzano. Nel 1996 è presidente della Regione Sicilia tal Giuseppe Provenzano, arrestato negli anni 80 dal pool anti-mafia perchè commercialista della moglie del boss corleonese.


L’imputato viene in seguito assolto per insufficenza di prove, ma la sua "occupazione" resta confermata. Dunque, si chiede Peter, al di là dell’esito processuale, "un partito politico ha mai espulso qualcuno per contatti mafiosi"?

Un altra vicenda poco chiara riguarda il centro-sinistra e la figura di Mirello Crisafulli, potente politico Ds nella provincia di Enna. Nel 2000 la procura di Caltanissetta lo inchioda con le telecamere mentre incontra e bacia il boss Bevilacqua, reduce da 11 anni di galera.

Crisafulli è anche il suo avvocato. I due si vedono e discutono di appalti. La procura apre l’inchiesta ma dopo archivierà, perchè non è emerso il concorso esterno in associazione mafiosa. L’incontro però resta documentato dalle telecamere nascoste.

Morale della favola? Crisafulli nel 2006 si candida al quarto posto nella lista per la Sicilia Orientale ed entra in parlamento con l’Ulivo. Dal 2008 è in Senato con il Pd.
Compagni che sbagliano si dirà.

Illuminante è il discorso di David Lane, giornalista dell’Economist, autore nel 2005 de "L’Ombra del Potere", che ha vinto una causa dopo che Berlusconi l’ha citato in giudizio. Adesso sta preparando un nuovo libro che è un viaggio nella mafia del sud.
Le sue parole sono semplici, quasi ovvie, ma in Italia suonano ancora radicali:
"Se il 90% delle tv è controllata da una persona, è normale che nasconde le cose brutte e vuol far vedere quelle belle".

Ricorda come nel novembre del 2002 i magistrati di Palermo siano andati a Palazzo Chigi per porre alcune domande al presidente del consiglio, che allora "si avvalse della facoltà di non rispondere": "In un paese anglosassone, un politico del genere non sarebbe stato eletto".

Infine una stoccata a Giulio Andreotti, colpevole di associazione mafiosa fino al 1980 (reato prescritto), che ora sta in Senato e ha ricevuto una laura honoris causa dal Vaticano: "Uno che ha amici mafiosi in Gran Bretagna non sarebbe mai chiamato statista".

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