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"Mia suocera beve". Prosegue il viaggio di De Silva nel mondo precario di Malinconico

Diego De Silva si è ritrovato nel giro di un attimo dall’essere il cantore di un’infanzia (e adolescenza) difficile grazie a libri come “Certi Bambini”, “Voglio Guardare” e “Da un’altra carne”, fino a ritrovarsi icona letteraria di quella enorme schiera di avvocati precari che faticano a sbarcare il lunario alla fine del mese. Prima grazie a “Non avevo capito niente”, il libro che lo ha portato nella cinquina finale dello Strega oltre a vincere il "Premio Recanati" e il "Premio Napoli", poi con il sequel “Mia suocera beve”. Un cambiamento di stile, prima di tutto, passando da ambientazioni e storie più drammatiche a un registro più ironico, a cui il protagonista di questa piccola saga, l’avvocato precario Vincenzo Malinconico, si presta alla perfezione. Ma ci sono anche alcune costanti che caratterizzano la bibliografia di De Silva. La precarietà della vita (e degli affetti) è una di quelle, che si dipani nella vita dei bambini di cui sopra, piuttosto che nel lavoro di Malinconico. Poi c’è Napoli (sebbene l’autore sia napoletano solo di nascita, ma ha vissuto e vive a Salerno), e la camorra, presente nella vita di Malinconico, sebbene in maniera più grottesca rispetto a quella che chiede a Rosario, il protagonista di "Certi bambini", di ammazzare in metropolitana. E’ la camorra di Mimmo ‘O Burzone, che Malinconico si ritrova a difendere in “Non avevo capito niente”, ed è in maniera un po’ più tragica il “Matrix” (che ricorda i personaggi pop camorristici di Gomorra) -soprannome affibiatogli dal protagonista stesso - boss della camorra e protagonista della prima parte di “Mia suocera beve”.

Ma in tempi di plastici in tv e "grandi" casi di cronaca nera che tengono milioni di persone incollate al televisore per scoprire “chi è stato”, non ultimi quelli di Sarah Scazzi e di Yara Gambirasio, De Silva, che del raccontare quello che gli succede attorno non può farne a meno, introduce l’elemento reality e della mediazione televisiva della realtà, filo conduttore di tutto il libro.
 
Malinconico, infatti, si ritrova invischiato in un sequetro di persona perpetuato da parte di Romolo Sesti Orfeo, un ingegnere informatico, che vuole vendicare l’uccisione di suo figlio da parte di Matrix, il quale, sebbene ricercato, vive tranquillamente nel suo quartiere e fa la spesa come tutti. Ma l’ingegnere decide che a ridare dignità a suo figlio (ucciso dalla camorra, quindi agli occhi di molti potenziale camorrista) può essere solo la tv. E, all’arrivo dei primi giornalisti e della polizia, impronta una diretta tv che terminerà in maniera tragica, nonostante un Malinconico, nel frattempo scelto dall’ingegnere come avvocato di Matrix, stranamente protagonista.
 
Insomma Malinconico grazie alla mediazione delle telecamere entra nelle case italiane e si becca i suoi 15 minuti di notorietà... ma nel frattempo la sua vita privata va a rotoli. E’ in crisi con la sua compagna, l’avvocatessa Alessandra Persiano, la più bella del tribunale, il rapporto con i figli è altalenante e si scopre che sua suocera (la madre della sua ex, Nives) ha un cancro. Il “filosofo involontario” e “rimugginatore a scoppio ritardato” Malinconico si ritrova ancora una volta, quindi, a scontrarsi e affrontare la vita e i problemi reali e quotidiani che però non sembrano risolversi completamente quando terminiamo il libro. Finale aperto? Chissà, per ora De Silva si tiene vago dicendo che chiuderà la trilogia solo se ne avrà voglia...
 
Gli abbiamo fatto qualche domanda via mail
 
Il titolo "Non avevo capito niente" è stata una scelta "travagliata". Stavolta il titolo originale quale doveva essere? E come mai Mia Suocera beve? Come mai dedicare il titolo alla suocera?
No, stavolta il titolo è stato quello fin dall’inizio. Mi faceva ridere molto: è questa la ragione.
 
Prima di “Non avevo capito niente” avevi già pensato alla serialità del personaggio? Almeno in potenza?
Non ne avevo alcuna idea. In un certo senso, Malinconico è cresciuto un po’ per i fatti suoi.
 
Completerai la trilogia?
Solo se me ne verrà voglia.
 
Il reality del supermercato si contrappone a quello del personaggio, a quello che ci fa esclamare “E’ vero!” o “anche a me succede/è successo”... come costruisci il personaggio, la storia? Come è nato Malinconico?
Malinconico è frutto di un gioco con la prima persona. Tutti i miei romanzi precedenti sono scritti in terza, che per forza di cose ti obbliga a tenere una distanza di reticenza dalle storie che racconti (come per evitare di scivolare nel pettegolezzo). Al contrario, la prima persona consente molte più licenze, sconfinamenti e deviazioni.
 
Che fine hanno fatto i bambini che per tanto tempo hanno “etichettato” la tua scrittura? Sono diventati i figli adolescenti di Malinconico e Nives o sono diventati Malinconico stesso?
Bella, questa. Mi piace. In fondo Malinconico è un bambino che sta invecchiando.
 
Cosa si prova ad essere il simbolo letterario degli avvocati precari?
Un inaspettato investimento di simpatia da parte degli avvocati precari.
 
Il tuo libro è uscito nel pieno della storia di Avetrana. L’ennesima storia, l’ennesimo luogo “avvolto nel cerchio magico del male” come ha detto Raimo sul Sole 24 Ore, e l’ennesima storia che assume un senso maggiore perché mediato da una telecamera. Pochi giorni dopo c’è stata una polemica sulla morbosità del turismo del crimine. Orde di turisti che pretendevano di abbattere quella mediazione. Qual è la differenza tra la casa dei Misseri vista al tg piuttosto che dal vivo?
Non saprei, non ho visto la casa dei Misseri live. Però mi sembra che lo schema narrativo del delitto di Avetrana, almeno per come è stato raccontato dai media, ricordi parecchio la struttura dei reality, con tutti quei ricambi di colpevoli, comprimari e nuove entrate che si alternavano di settimana in settimana. Un po’ come le nomination, insomma.
 
C’entra qualcosa lo zapping televisivo nell’alternanza continua di piani narrativi?
No, ho semplicemente cercato di alternare il privato di Malinconico con la surreale avventura del supermercato. Mi sembrava un buon sistema per creare una doppia suspence, ma non so se l’esperimento ha funzionato.
 
Ricordo che una volta dicesti che raccontare storie d’amore sembra facile ma in realtà è difficilissimo. Il tuo è un romanzo in cui svariate forme d’amore si incrociano. Quante difficoltà hai incontrato a raccontarlo? Quale tra le diverse storie del racconto (amore, reality, malattia, lavoro) è stata la più difficile da costruire?
Certamente quella del supermercato. Il tema era delicatissimo, ed è stato difficile trattarlo senza inciampare nella retorica. In questo, è stata la voce di Malinconico a sorreggermi.
 
La Camorra è un tema ricorrente nei tuoi romanzi, impossibile non ricordare la scena dell’omicidio in “Certi Bambini”, e ovviamente torna anche in questo tuo nuovo ciclo. Insomma come si può affrontare un argomento come questo in un romanzo del genere?
Cambiando prospettiva. Non usare soltanto il registro criminologico.
 
Sempre a proposito di camorra, si sente nel libro la presenza anche di Saviano, dal Matrix con cui Malinconico etichetta il camorrista nel supermercato fino al: “Che io so. E ho le prove” (Saviano più di Pasolini, dato il contesto)... è un’impressione?
Una giusta impressione.
 
Scrittore, ma anche sceneggiatore. Ultimamente hai sceneggiato Gorbaciof, diretto da Stefano Incerti, con Toni Servillo. Metterai mano anche a un’eventuale sceneggiatura della tua saga, semmai ci sarà una trasposizione sullo schermo?
Beh, spero proprio di sì. A meno che mi dicano: “No, tu no”.

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