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Il mio ultimo giorno da direttore di AgoraVox Italia

Da lunedì non sarò più direttore di AgoraVox Italia. Dopo 5 anni, di cui uno e mezzo da direttore, AgoraVox non sarà più la mia casa lavorativa, il mio secondo pensiero (il primo è una bimba di 2 anni e mezzo) appena sveglio. Lascio uno dei progetti giornalistici più interessanti di questi ultimi anni, un progetto nato per dare voce alle tantissime persone che non avevano un posto in cui esprimersi, a quelli che volevano poter scrivere e leggere storie che non sempre trovavano nell'informazione mainstream. Un'idea a volte riuscita, a volte meno, ma che abbiamo perseguito, e perseguiremo anche in futuro, sempre con ostinatezza.

Oggi, parlare di citizen journalism sembra una cosa ovvia. Ma di acqua, social network e primavere arabe ne sono passati sotto i ponti da quando Carlo Revelli chiamò prima Francesco Piccinini e poi me a gestire lo sbarco in Italia di quella che in Francia era ed è ormai un'istituzione (istituzione che ha fatto tremare personaggi importanti, da Strauss Khan all'ex ministro alla Cultura Mitterand).

Era il 2008, Twitter era ancora per pochi eletti, su Facebook ci scambiavamo più post personali che news, la Primavera araba ancora non era in essere, intanto, però, c'erano stati dei preludi all'importanza che il fattore citizen avrebbe avuto sull'informazione. Un fattore che l'avrebbe cambiato nel profondo da lì a qualche anno. Oggi siamo qua a parlare di foto e video citizen di cui l'informazione si nutre ogni giorno. Cerchiamo – e non sempre ce la facciamo - di trovare un equilibrio a questo dualismo, anzi, a quello che molti vedono come un dualismo, ma che noi abbiamo sempre visto come un'opportunità per i media più grandi (o mainstream o chiamateli come preferite).

Ci crediamo noi e ci hanno creduto migliaia di persone che in questi anni hanno costruito il giornale. Perché è chiaro che AgoraVox è le persone che ogni giorno scrivono, mandano video e foto da tutta Italia e dal mondo e da chi, semplicemente, ci scrive per incoraggiarci o criticarci. Persone che ci hanno aiutato a crescere e che speriamo abbiamo aiutato a trovare una voce, un pubblico, un posto – piccolo o grande, dipende – in quello che è il mondo dell'informazione.

Abbiamo seguito il Processo d'appello a Dell'Utri quando in tribunale erano due i giornalisti (che poi si sono moltiplicati per 100), stiamo seguendo il MUOS in Sicilia, abbiamo seguito l'ILVA, i lavori e le proteste contro la TAV, ma anche la geopolitica, i fatti di cronaca, lo sport, la moda. Abbiamo affiancato cittadini e professionisti dell'informazione nei nostri speciali a difesa della libertà d'informazione (affiancando te e Chomsky) e abbiamo cercato, cerchiamo e, sono sicuro, cercheremo in futuro di darvi sempre più spazio.

In questi 5 anni ho conosciuto gente fantastica: qualcuno l'abbiamo assunto, con qualcuno sono diventato amico, con qualcun altro ci scambiamo spesso mail, con altri ho litigato, con qualcuno non mi sono capito, ma tutti mi hanno insegnato qualcosa. Ho imparato (o avuto conferme di) quanto sia importante confrontarsi quotidianamente con chi la pensa all'opposto, cosa non sempre semplice, ma fondamentale per la crescita personale e professionale. Ho imparato a incassare critiche secondo me ingiuste e ad accettare quelle doverose. Ho imparato ancora di più l'importanza del chiedere scusa quando si sbaglia, del dare il giusto risalto a chi, giustamente o meno, chiede spazio per qualcosa per cui si è sentito leso. Ho scoperto situazioni, fatti, che forse non avrei mai scoperto.

Ho scoperto, insomma, cosa significa fare questo mestiere stupendo.

Sono passati 5 anni, quindi, e forse è giusto che a un certo punto si cambi, per sé, certo, e anche per il giornale. Perché ogni tot è giusto che arrivi chi porta nuove idee, un entusiasmo diverso, forze nuove.

Però permettetemi di fare una cosa che può sembrare scontata ma non lo è: i ringraziamenti.

Quello a Carlo Revelli che ha avuto fiducia in due ventiseienni a cui ha dato le chiavi della stanza dei bottoni. Una persona splendida che mai e poi mai ha messo bocca nelle mie/nostre decisioni (e, credetemi, non è cosa da poco), anche quando non era d'accordo con alcune cose. Che ha sopportato due napoletani (diventati uno un anno fa), lui juventino nel midollo. Assieme a lui, sullo stesso gradino, c'è il ringraziamento a Francesco Piccinini - che materialmente m'ha portato a Parigi a condividere questa esperienza – col quale condivido un'amicizia decennale e col quale ho condiviso le nottate appresso al giornale, le domeniche in redazione, le feste inesistenti, i carichi quando eravamo solo io e lui gomito a gomito, le delusioni e le tantissime soddisfazioni di un lavoro ben fatto.

Emanuele Midolo, che da un anno e mezzo è al mio fianco ed è il caporedattore del giornale, col quale vale il discorso fatto con Francesco. Urgenze, soddisfazioni, festività saltate, e un'amicizia che si è fortificata in questi anni, da quando era uno stagista ad oggi che gli toccherà l'onere e l'onore di continuare a mantenere saldo il timone. Quindi un ringraziamento ma anche un in bocca al lupo a lui e a chi lo affiancherà dopo.

Giorgio Mennella, il nostro project manager, ma soprattutto amico e compagno di scrivania e viaggi. Una persona che molti di voi non conoscono ma che è fondamentale perché sia possibile stare qua a scriverci, informare e ringraziarci.

E poi l'ultima arrivata, ma presenza fondamentale al giornale e a Scampia, Roberta Cipollaro, la nostra community manager e persona splendida che mi ha sopportato oltre ogni limite.

Poi due menzioni speciali. La prima va a Federico Pignalberi, che ha cominciato con noi a 16 anni, uno dei nostri più giovani reporter, e persona che è sempre stata presente, diventando a tutti gli effetti parte integrante della redazione e a tutti i ragazzi che sono passati per la redazione, da stagisti, tirocinanti etc che sono stati importanti per la nostra crescita e speriamo anche noi per la loro.

La seconda alla redazione francese tutta.

Last but not least, ovviamente, un grazie a tutti voi che credete in questo progetto e lo dimostrate scrivendo, ma anche solo leggendoci.

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