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Marines urinano sui cadaveri: la banalità della violenza

Ieri, 11 gennaio, ricorreva l'anniversario dell'apertura del carcere di Guantanamo. La prigione di massima sicurezza è stata teatro delle macabre sevizie da parte dell'esercito statunitense, immagini deplorevoli che hanno fatto il giro del mondo.

In questi giorni ha iniziato a circolare in rete un video che mostra quattro marines intorno ai corpi di tre talebani, uccisi in Afghanistan, probabilmente in uno scontro a fuoco.

La dinamica è sempre la stessa: i militari deridono i cadaveri, ridono e scherzano fra di loro, si sente un soldato dire, rivolto ad un cadavere: "Ti auguro una buna giornata, amico" mentre uno di loro urina sopra i corpi senza vita.

Il corpo dei Marines ha subito precisato che "l'autenticità del video non è stata ancora verificata", ma assicurano che "la questione sarà investigata a fondo".

"Un atto barbaro" che però non influenzerà il già difficile colloquio in atto in questi giorni tra talebani e americani finalizzato allo scambio di prigioneri, questo il pensiero espresso da un portavoce talebano.

Non è la prima volta che si vedono queste cose, vero, Guantanamo ne è un esempio, ma anche le SS che accatastano tra il fango e la neve i cadaveri nei campi di concentramento lo sono; anche Primo Levi ci racconta la tragica leggerezza con cui i suoi aguzzini deridevano le vittime: "la memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace".

La derisione del cadavere del nemico è rituale costante nelle dinamiche della guerra: Achille lega il cadavere di Ettore al suo carro e lo massacra girando intorno alle mura di Troia, sono atti di superiorità, da un lato: il vincitore pratica il proprio trionfo profanando il corpo del rivale caduto, da un altro punto di vista però, tali pratiche manifestano più complesse pulsioni dell'animo umano, deridere il corpo rivale rafforza i legami elitari di un gruppo (i protagonisti di questo genere di azione ridono e si compiacciono tra di loro, sempre), legami che vengono corroborati allontanando sempre di più "l'altro", il nemico, lo straniero.

E' difficile uccidere i propri simili, è traumatico; renderli distanti, invece, fa diventare le cose più semplici. Ecco perché, per tornare a Primo Levi, ogni guerra è da condannare, nella guerra l'individuo si perde nel gruppo, l'uomo ha bisogno di diventare bestia, deridere il rivale caduto è il rito da consumare affinché la violenza diventi piacere e la macchina bellica possa continuare a lavorare senza intoppi.

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