Manovre economiche del governo: qual è la strategia?
A leggere le manovre già passate e quelle in essere (la licenziabilità liberalizzata anche per la PA) sembrano scritte senza un disegno preciso o quantomeno dettati da disegni oscuri diversi da quelli annunciati ad ogni piè sospinto.
E' chiaro a tutti, ormai, che il taglio delle pensioni con la lotta alla precarietà non c'entra nulla, né tantomeno con il debito pubblico. Ossia c'entra nel senso che sarà il salario differito dei lavoratori a finanziare le casse dello Stato, che l'abolizione dell'articolo 18 chiamata pomposamente "flessibilità in uscita" altro non è che libertà di licenziabilità individuale senza se e senza ma e che con la Crescita nulla a che fare. E la famosa flessibilità in ingresso che doveva preservare dagli abusi è rimasta tutta invariata con l'aggiunta di una nuova forma (e siamo a quaratant'otto), quella dell'apprendistato. E tutto questo fa il paio con il famoso articolo 8 del collegato lavoro legiferato dai loro precedessori Sacconi e Berlusconi, che di sicuro porterà a trasformare i sindacati da strumento a difesa dei lavoratori a strumenti a sindacato aziendale di mercato, un sindacato di mercato, sempre più di “servizi”intermediario di quei residui servizi che si salveranno dai tagli al welfare. Ma non è finito .
Ma parliamo delle pompose Liberalizzazione. Queste in maniera molto propagandistica e ideologica si sono tradotte in un attacco su quei settori di lavoratori autonomi di “prima generazione”, e su settori soprattutto della distribuzione e della logistica, provvedimenti che fondamentalmente servono a produrre concentrazione, ingrandimento delle imprese, ingresso delle grande imprese della logistica in questi settori con una salarizzazione di fatto, se non formale, dei piccoli produttori con il loro piccolo capitale. La proletarizzazione dei ceti medi produttivi. In termini marxisti.
Un ulteriore pezzo grosso arriverà: i tagli e le ristrutturazioni, mai da separare perché vanno insieme, con la spending review i tagli sulla sanità e alla spesa statale per i servizi sociali erogati dagli enti locali ai vari livelli, dove il pezzo grosso è comunque quello della sanità, e poi si prevedono interventi su scuola e pubblico impiego, che non saranno salvati dall’ondata ristrutturatrice. Nel frattempo si sono procurati l'alibi della legge sul pareggio di bilancio in Costituzione che li preserverà da possibili spinte legaliste per l'aumento della spesa pubblica per servizi e welfare.
Gli ammortizzatori sociali: anche qui si è puntato a eliminare le varie tipologie di cassa integrazione, in realtà si è conservata la cig ordinaria per le resistenze non solo e non tanto sindacali quanto in questa particolare contingenza soprattutto confindustriali, e anche per le preoccupazioni rispetto alle possibili conseguenze sociali. Anche qui la direttrice è chiara: eliminare l’indennità di disoccupazione e la cassa integrazione, in cambio di cosa? Assolutamente fumo, fumo senza arrosto.
Il tutto ormai in un contesto in cui la scusante è il debito pubblico. Ma che di pubblico non ha nulla visto che l'avanzo primario è in crescita e che il bilancio al netto delle spese per interessi è in netto attivo. Allora il debito, come ormai tutti gli economisti affermano, è debito privato, è debito della bilancia dei pagamenti e debito di importazioni rispetto all'export. La spese per il welfare è nettamente al di sotto rispetto alle entrate e il taglio di questa è solo per fare cassa. Ma allora qual'è la strategia?
Sicuramente alcuni risultati sono evidenti:
- abbattere ogni residua capacità di difesa non individuale del lavoratore e della lavoratrice;
- abbassare i salari, perché quando sei ricattabile e licenziabile individualmente è ovvio che la pressione aumenta.
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