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Le questioni irrisolte della politica italiana nei 150 anni di Unità

Il 17 marzo prossimo festeggerò l’Unità Nazionale, nonostante tutto.

Il modo nel quale si è realizzata l’Unità ha lasciato in vita alcune questioni ereditate dai vecchi regimi pre-unitari e ne ha create delle altre, che a distanza di 150 anni ancora pesano in maniera devastante sulla vita civile, economica e politica degli italiani. Ma prima di entrare nel merito di queste costanti dell’era unitaria, è opportuno ribadire le ragioni del valore dell’unità nazionale, che principalmente sono due.

1 – con la proclamazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1861, finisce un periodo tristissimo, durato tre secoli e mezzo, nel quale gli staterelli pre-unitari erano merce di scambio nei conflitti tra spagnoli, francesi, tedeschi, austriaci e ultimi inglesi, e la penisola era il luogo privilegiato dove questi popoli guerreggiavano. Con l’Unità, l’Italia non recupera quel ruolo di avanguardia planetaria che aveva nel 1400. In questo secolo essa era la parte più ricca e avanzata del pianeta, con il Rinascimento aveva posto le basi di quella che poi diverrà la rivoluzione scientifica ed era giunta alle soglie della rivoluzione industriale. Tuttavia recupera un peso politico che le consentirà di tenere testa agli altri popoli europei.

2- L’unità ha segnato l’avvento del liberalismo e la fine dei regimi assolutisti dei quali era ricoperta la penisola, fatta eccezione per il Piemonte, unica monarchia costituzionale.

Vi sono altri motivi a conferma dell’immenso valore dell’unità nazionale, come ad esempio il recupero di un ruolo della cultura che nel 600 e 700 sembrava scomparso, ma riteniamo sufficienti i primi due e più opportuno passare all’esame di quelle componenti permanenti di questi 150 anni che avvelenano la vita degli italiani.

A)- La prima e forse più devastante costante della vita sociale e politica dell’Italia unita si sostanzia nel sentimento vasto, diffuso, profondo di estraneità degli italiani al proprio Stato, alle proprie istituzioni.

In Francia – ma il discorso può essere esteso ad altre nazioni europee – il passaggio dall’assolutismo al regime liberale, dal feudalesimo al dominio della borghesia, avviene con il concorso del proletariato urbano e delle masse contadine. Il 14 luglio (festa nazionale dei francesi) il proletariato parigino da l’assalto alla Bastiglia e segna la fine dell’assolutismo, nel mese e mezzo successivo i contadini francesi danno l’assalto ai castelli e si impadroniscono delle terre, è la fine del feudalesimo e del latifondo. Non si tornerà mai più indietro e quando nel 1792 i Prussiani entrano in Francia con l’intento di restaurare l’Ancien Règime un esercito di leva, numericamente inferiore e poco addestrato, ma con il sangue agli occhi, respinge a Valmy quello che era considerato all’epoca il miglior esercito del mondo. I nuovi cittadini salvano il loro Stato.

In Italia una piccola e rapace borghesia (419.000 erano gli aventi diritto al voto per censo alle prime elezioni politiche) tiene rigorosamente fuori dal processo unitario le masse contadine (il 75% della popolazione). Unica eccezione la Sicilia, qui i contadini con la speranza di ottenere la terra dei latifondi accorrono in massa con Garibaldi , costituendo l’80% dell’esercito che combatterà sul Volturno la battaglia finale con i borbonici. Ma invece della terra ottengono – là dove come nel catanese si erano spinti un po’ oltre – solo fucilate. A tutto ciò si aggiunse il ruolo nefasto del Vaticano che incitava le masse contadine alla rivolta contro il nuovo Stato. Nessuna battaglia di Valmy c’è nella nostra storia risorgimentale, ma solo Lazzari, Sanfedismo e Brigantaggio. Il latifondo scomparirà definitivamente dall’Italia incredibilmente solo nei primi anni 50 del 900.

Giolitti pensava di risolvere il problema dell’estraneità degli Italiani al proprio Stato con l’ampliamento del suffragio elettorale (quasi universale solo nel 1912), ma il diritto di voto non comportò alcun cambio sostanziale del regime di vita delle classi subalterne. Mussolini, dopo aver largamente utilizzato l’antipolitica (che è la prima espressione di questa estraneità) provò a dare agli italiani il senso di appartenenza con la retorica patriottica e con una politica estera aggressiva, ma per riempire la pancia ci vogliono i maccheroni e non le chiacchiere, dicono a Napoli. Con la resistenza e la Costituzione del 1948 si sarebbe potuto finalmente avviare a soluzione il problema dell’estraneità degli italiani al proprio Stato, ma non fu così, tutto fu sacrificato sull’altare della lotta “comunismo – anticomunismo”, fino al crollo di tangentopoli. Quest’ultimo fenomeno invece di ispirare un mutamento di rotta, alimentò a dismisura il sentimento di ostilità verso la politica e le istituzioni. Sentimento poi abilmente sfruttato da Berlusconi.

B) – Quello di un elevato livello di corruzione costituisce la seconda costante della nostra vita politica (Sergio Turone 1992), che va di pari passo con il rifiuto da parte del ceto politico dei controlli di legalità sul proprio operato. L’unità fu realizzata, infatti, senza affermare realmente il principio costituzionale della separazione dei poteri e in particolare della giurisdizione. La politica divenne onnipotente (Carlo Giuseppe Rossetti 2001). Il nuovo Stato unitario ereditò la legge piemontese del 18 novembre 1859 n.3781, con essa la magistratura inquirente era sottoposta al ministro della giustizia (è quanto si vorrebbe riproporre oggi).

Questa condizione di subalternità alla politica è durata ininterrottamente fino al 1958, anno in cui finalmente, implementando il principio costituzionale di autogoverno del potere giudiziario, nasce il Consiglio Superiore della Magistratura, ma ci vorrà ancora un decennio prima che la prassi giudiziaria si scrolli di dosso ogni timore reverenziale verso il potere politico. Dopo tangentopoli, il ceto politico non potendo rimettere in discussione il principio costituzionale dell’autonomia ha pensato bene di eliminare quanto più possibile la legislazione di controllo e soprattutto di “sgangherare” la macchina della giustizia (Bruno Tinti 2009).

C) – il clientelismo è stato per 150 anni uno strumento principe di governo. Quote di bilancio dello Stato erano assegnate ai vari maggiorenti politici locali che le utilizzavano in maniera clientelare per creare consensi e per tenere insieme le varie parti del paese. Il meccanismo fu utilizzato anche dal fascismo, i vari ras locali svolgevano un ruolo rilevante nel mantenimento del consenso mediante l’uso dei fondi pubblici, ma anche con un clientelismo spicciolo fatto di permessi, autorizzazioni,licenze, ecc... Dopo la guerra con la DC il clientelismo raggiunse vette ineguagliate e non solo al Sud. Il PCI dove poté non si comportò tanto diversamente.

D) – Corruzione, clientelismo e voto di scambio sono il terreno di incontro e di osmosi tra il potere politico e i poteri criminali. Questo rapporto qualifica l’altra costante della nostra vita nazionale: la criminalità di tipo mafioso. Intreccio e penetrazione nello Stato che, in tutta l’Europa occidentale, sono avvenuti e avvengono solo in Italia.

Nel 1863 Marc Monnier, nel suo libro inchiesta sulla camorra napoletana, così scrive: “tutti quei bravi dei mercati di Napoli non si contentavano di rubare pochi soldi ai sempliciotti: erano addivenuti uomini politici. Nelle elezioni proibivano tale o tal’altra candidatura, confortando co’loro bastoni la coscienza e la religione degli elettori. Né si contentavano di inviare un deputato alla camera, e sorvegliarne da lungi la condotta; spiavano il suo contegno, si facevano leggere i suoi discorsi, non sapendo leggerli da se medesimi”. Dopo Monnier abbiamo avuto il prefetto di Reggio Calabria 1869, Leopoldo Franchetti 1876, Pasquale Villari, Giustino Fortunato, Pasquale Turiello coevi di Franchetti, il questore di Palermo Ermanno Sangiorgi 1898/9, l’inchiesta Saredo 1901, Cesare Mori 1928/9, la commissione parlamentare Pafundi 1962, quella Cattaneo 1972 … fino alla commissione Violante,tutti hanno certificato, in un modo o nell’altro, il permanente rapporto mafie-politica. Oggi discutiamo del “Papello”, della “ trattativa”, della condanna a Dell’Utri, a Cuffaro e alla richiesta di arresto per Cosentino respinta dalla camera dei deputati.

E) – Il divario economico Nord – Sud è un’altra costante della vita italiana. Al momento dell’unità esso era valutato in questo modo: ad ogni cento lire di Pil pro-capite prodotte al Nord corrispondevano 80 lire al Sud. Sul finire del secolo parte la fase del decollo industriale, fase completata nel 1910, e il divario comincia a crescere. Tale crescita continua nel periodo fascista e nella prima metà degli anni 50 il rapporto diventa di 51/52 a 100. Ai tempi di tangentopoli il divario è all’incirca uguale (Carlo Trigilia 1992), oggi è cresciuto ancora un po’ . le politiche meridionaliste avviate dalla DC negli anni 50 hanno spinto la crescita dell’economia del Sud, ma anche il Nord è cresciuto e il divario è rimasto.

In uno studio del CENSIS, nel 2003, su “Impresa e criminalità nel Mezzogiorno”, la primaria responsabilità del mancato livellamento economico è attribuito alla presenza della criminalità di tipo mafioso (con i corollari di corruzione, clientelismo e voto di scambio).

F) – La storia unitaria italiana procede per regimi. E’ la tesi di Massimo Salvadori e Sergio Romano. Al regime monarchico/liberale si è sostituito quello fascista, a quest’ultimo quello cosiddetto “partitocratico”, per venire a noi e al “berlusconismo”.

Caratteristica dominante, comune, è che le forze politiche di opposizione sono delegittimate a governare dalla maggioranza. Nel regime monarchico/liberale repubblicani e socialisti non erano legittimati a governare, con il fascismo non lo era nessuno. Con la Repubblica solo la DC e i suoi alleati erano legittimati a governare, i comunisti assolutamente no! Se mai avessero vinto le elezioni si sarebbe aperta una crisi istituzionale con una possibile guerra civile.

Il crollo del muro di Berlino e la fine del PCI non comportò la fine di questo ostinato ostracismo. Berlusconi si muove nello stesso solco, chiunque gli si oppone, sinistra riformista o radicale, giornalisti o magistrati altro non sono che comunisti e come tali delegittimati.

Corollario del procedere per regimi della nostra storia politica è che, fatte alcune limitate eccezioni temporali (i 7 anni e mezzo di “Prodi”, la partecipazione del PCI nel governo di unità nazionale nell’immediato dopoguerra e quella parziale del PSI in posizione subalterna nei governi democristiani), mai la sinistra ha potuto governare l’Italia. In 143 anni dei 150 il nostro paese è sempre stato governato dalla destra, a volte quella autoritaria, altre volte quella moderata. Non ci si lasci ingannare dal vezzo tutto italiano dei partiti di destra di autodefinirsi di centro (e ancora lo fanno). Dopo il fascismo definirsi di destra era di per se negativo e solo il MSI aveva il coraggio di farlo. Oggi con “Futuro e Libertà” si comincia a distinguere tra destra autoritaria e destra moderata.

Tempo fa in un corposo articolo sul quotidiano La Repubblica (del quale non ricordo più la data), Massimo Salvadori pose la questione : la sinistra italiana (in tutte le varie forme che ha assunto in questi 150) mai è riuscita ad organizzare una proposta politica per sfruttare le ricorrenti crisi “di regime” e arrivare al governo del paese!

Il perché di questa specie di maledizione non è stato ancora svelato! L’unico politico della sinistra che ha ripreso – fuggevolmente – questo tema è stato Veltroni, ma senza avanzare ipotesi chiarificatrici. Poi la cosa è caduta nel dimenticatoio.

150 anni di “estraneità”, corruzione, clientelismo, rapporti mafie – politica, divario Nord/Sud ed esclusione dal governo dei partiti che di volta in volta hanno rappresentato i ceti popolari, sono le costanti della nostra storia politica unitaria, ma tutto questo sembra non interessare granché, in primo luogo alla sinistra ; che ancora una volta di fronte alla manifesta crisi della destra autoritaria (berlusconismo) sembra incapace di porsi come una valida alternativa di governo. Vuoi vedere che, al crollo del “berlusconismo” e dopo una fase di assestamento, finisce col vincere nuovamente la destra moderata?

Intanto, nell’indifferenza generale dei leader politici di sinistra, cresce il leghismo al Nord come al Sud , minaccia mortale per la nazione italiana..

Per quanto mi riguarda sono e resterò italiano e il 17 marzo esporrò, in segno di festa, la bandiera tricolore dal balcone di casa mia ed invito tutti gli italiani a fare altrettanto.

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