Le critiche ai No tav ed il contesto scartato
E' comparso oggi sul Corriere della Sera un articolo di Giangiacomo Schiavi che "commenta" il video incriminante dove si vede un giovane manifestante denigrare ed attaccare verbalmente uno dei poliziotti che presidiava l'autostrada A32 a lungo occupata dai No Tav.
In molti, moltissimi, hanno manifestato oggi piena solidarità al poliziotto vittima degli insulti. Tutto il Pd si è spinto anche oltre, riporto da Repubblica:
I vertici del gruppo Pd in Senato, Anna Finocchiaro, Luigi Zanda e Nicola Latorre, hanno chiesto al comando generale dell'arma dei carabinieri di "poter stringere la mano in segno di solidarietà e di ringraziamento al carabiniere che ieri in val di susa è stato vigliaccamente insultato da un dimostrante privo di onore".
In parole povere, il merito del poliziotto consiste nel non aver reagito alle "provocazioni" del giovane. Il discorso del manifestante si muove fondamentalmente su due piani, da un lato critica l'impari relazione di potere tra i due soggetti, da un altro (conseguentemente) offende il militare ("pecorella..."). L'impari relazione di potere di cui sopra risiede, fondamentalmente, nel fatto che il poliziotto può identificare il giovane ma non è possibile il contrario:
Non hai un numero, un nome, niente? Sai che sei un illegale? Dovresti avere un numero di riconoscimento, io così non so chi sei, ma tu sai chi sono io... io non so chi sei, dovresti farti riconoscere, sei un agente
La questione dell'impossibilità di riconoscere gli uomini in divisa è molto vecchia, se a Genova (come a Roma, in Val Susa, ma anche a Seattle e in tanti, troppi altri posti) ciò fosse stato possibile, alcuni dei numerosi uomini di stato rei di aver ripetutamente abusato del loro potere caricando, ferendo e minacciando sarebbero -almeno- stati puniti per le loro aggressioni e per le loro provocazioni.
In virtù della differenza di rapporto appena espressa, in un contesto di enorme tensione visti i precedenti (tutti i soprusi subiti negli anni, le cariche e gli sgomberi del 3 luglio scorso, sino all'illegale azione di ieri nei pressi della baita che si trova su un terreno di proprietà dei No Tav), il giovane manifestante si sfoga dando della "pecorella" al poliziotto, dicendogli che non ne vale la pena di sparare considerando i sempre più magri stipendi delle forze dell'ordine, tra l'altro pagati anche da lui.
Questi sarebbero gli inumani insulti che hanno scatenato indignazione e condanna nei (migliori) articoli che ho letto a riguardo; poi c'è (ma non è l'unico) l'articolo di Schiavi.
Il problema, uno dei problemi, è che una telecamera, quando inquadra, compie una selezione sulla realtà. Il giornalista precisa subito quale porzione di mondo intende riprendere:
Non domandatevi nient'altro, adesso, non pensate all'Alta velocità o alla difesa della valle, fermatevi su una sequenza che più di ogni altra mostra dove può sfociare la cieca cattiveria di questi giorni in val di Susa.
Il che vuol dire, rigirando il discorso ed esplicitando quanto non detto, ma sottinteso e suggerito: tu che leggi il mio articolo, qualsiasi lettura vuoi dare dell'accaduto, annulla il contesto, non pensare agli eventi che hanno portato questa gente ad occupare questa strada, guarda solo quello che ti mostro. La cieca cattiveria diventa allora a senso unico (nonostante l'impari rapporto), tutto il resto non conta nulla.
Di generalizzazione in generalizzazione l'articolo continua così:
E' difficile non riandare ad altri tempi, alle inquietudini di altre stagioni, agli incubi, alla violenza, alla gratuità di certe minacce, e non si può evitare di pensare a Pierpaolo Pasolini, alla sua invettiva in difesa di altri uomini in divisa, quei poliziotti che più di quarant'anni fa a Valle Giulia, a Roma, vennero presi a botte dai sessantottini con le facce di figli di papà e lo stesso occhio cattivo. Oggi, quarant'anni dopo, facciamo nostre le parole del poeta davanti a questo tracotante no Tav che si abbandona all'insulto nei confronti del giovane carabiniere: «Quando ieri a valle Giulia aveva fatto a botte con i poliziotti, io simpatizzavo per i poliziotti. Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono dalle periferie, contadine o urbane che siano...
Ora, tralasciando il fatto che sbagliare il nome del poeta di cui si vogliono fare proprie le parole (è "Pier Paolo", non "Pierpaolo") non tira certo acqua al proprio mulino, la frase di Pier Paolo Pasolini è inserita in un contesto innervato dal pensiero del poeta e necessariamente contingente ad un momento storico, si tratta ancora una volta del contesto che viene scartato e gettato alle ortiche.
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