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La strana ricetta di Confindustria per l’Italia

Poche ma confuse idee. Si resta un po’ sconcertati a leggere il Progetto delle imprese per l’Italia emesso dall’Associazione degli Industriali.

Ci si aspettava, innanzitutto, una quasi esclusiva attenzione alle tante difficoltà che frenano lo sviluppo dell’attività imprenditoriale (chi poteva indicarle meglio del sindacato di categoria degli imprenditori?); ed invece una buona parte del documento tracima in argomenti fiscali e di interesse amministrativo, che con il problema della crescita economica del Paese ben poco c’azzeccano. Ad esempio non si vede la relazione fra la mancata ripartenza dell’economia dopo la crisi della finanza internazionale ed argomenti come il regime pensionistico o le cessioni di patrimonio pubblico per ridurre l’esposizione finanziaria dell’erario.

Sui rapporti, poi, fra l’attività d’impresa e la politica regna una certa qual confusione. Non si capisce se il Paese si deve muovere nella direzione di un’ampia applicazione del free market oppure se devono persistere e rafforzarsi interventi di tipo dirigistico, come le Autority. Queste ultime assumono nel documento un ruolo di deus ex machina per il buon funzionamento di settori-chiave, come quello del trattamento dei rifiuti e della distribuzione dell’acqua: quando le cose non quadrano, facciamo intervenire le Autority. Nessun accenno su quello che, non gli imprenditori ma i cittadini, sia se consumatori sia se utenti di pubblici servizi, vedono come necessario: una chiara distinzione fra settori dove il pubblico mercato può e deve svolgere funzione regolatrice dell’attività economica e settori dove monopoli e/o cartelli di produttori rendono necessario un intervento normativo. Per comprendere bene questo punto il lettore provi a prendere un traghetto per una qualsiasi destinazione oppure a sottoscrivere una polizza RC auto.

Il punto del documento di Confindustria che desta maggiori perplessità è l’ipotesi di riforma fiscale con l’introduzione di una patrimoniale per far fronte, in larga parte, ad interventi in favore del mondo del lavoro. Nel patrimonio il documento inserisce, accanto agli asset immobiliari, anche gli asset mobiliari, ma nulla dice sugli avviamenti delle attività professionali, commerciali ed industriali, che costituiscono un importante fetta dei patrimoni privati e la cui tassazione è, allo stato dei fatti, ardua se non addirittura impossibile.

Comunque sia di ciò, ci troviamo in quello che Rawls chiama quinto settore di governo o settore di scambio: partendo da una data situazione (i.e. la forte difficoltà di crescita dell’economia), il cittadino deve decidere se affrontarla o meno ricorrendo alla leva fiscale (che la manovra sia a saldo zero non cambia le cose, anzi le aggrava: la leva fiscale dovrebbe agire sulla ripresa economica togliendo a qualcuno quello che da a qualche altro). In tal caso è da applicare, sempre secondo Rawls, il criterio dell’unanimità di Wicksell, ossia si devono assumere decisioni largamente condivise: "Usare l’apparato dello Stato per costringere alcuni cittadini a pagare benefici non richiesti e desiderati da altri è altrettanto poco giustificato che costringerli a rimborsare ad altri le spese personali di questi ultimi".

Sono due le domande da porsi dinanzi alla ipotesi di riforma fiscale di Confindustria:

a) La maggioranza dei cittadini, delle famiglie è favorevole all’ipotesi di riforma fiscale avanzata?

b) Da detta riforma fiscale, si trarranno vantaggi maggiormente distribuiti sulle categorie sociali più fragili?

A questo proposito va detto che, accanto alle categorie sociali più forti (imprenditori, dirigenti, colletti bianchi, tute blu e così via) esistono anche categorie sociali più fragili (disoccupati, casalinghe, studenti, pensionati e così via). Ebbene, una proposta come quella avanzata dagli industriali dovrebbe essere accettata da una larga maggioranza e, per obbedire a criteri di giustizia distributiva, dovrebbe risolversi in un beneficio economico maggiore proprio per le categorie più deboli.

Il documento di Confindustria fa poco o nulla per convincere il lettore sulla prospettiva che sottende: poche e confuse idee sono quelle che appaiono in esse esposte al semplice cittadino.

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