• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > La società cambia se cambiano le persone

La società cambia se cambiano le persone

Quando si parla di “crisi”, genericamente ci si riferisce alla crisi economica. Qualcosa di parzialmente tangibile. Parzialmente perché, ad onor del vero, la stessa crisi economica è determinata da criteri spesso intangibili. Si “tocca” la crisi, quando qualcosa nel nostro sistema sociale viene a lacerarsi, come ad esempio la capacità economica di una buona parte dei cittadini di una nazione.

Ovviamente, nei periodi storici maggiormente toccati da una crisi economica, la società civile – pur se con tempistiche diverse – giunge a ribellarsi, affibbiando di volta in volta metodicamente, ogni colpa al “sistema”, parola facile dal contenuto complesso, che dovrebbe indicare nella mente di ognuno il sistema di gestione socio-economico e politico del Paese.

Si ottiene così una reazione comune di sdegno, rabbia e ribellione, che rimangono però invariabilmente statici e sterili, dal momento che la massa non è in grado di comprendere come il cambiamento di sistemi -resi ancor più complessi, ad esempio, dal livello di corruzione della dirigenza di un Paese- è possibile solo ed esclusivamente attraverso un processo di cambiamento e ripensamento della stessa società civile. Più semplicemente: la società può cambiare a patto che siano le persone a cambiare.

Purtroppo però, per sua natura e per tradizione storica, l’essere umano è maggiormente abituato a delegare ad altri la conduzione quasi integrale della propria esistenza, cosa che se da un lato rappresenta la normale gestione di nazioni in regime di democrazia o anche in regime di dittatura, dall’altro rappresenta l’ostacolo maggiore ad una reale presa di coscienza della vita di ognuno. Se deleghiamo sempre ad altri la maggior parte degli ambiti sociali della nostra esistenza, non possiamo poi sdegnarci se coloro che abbiamo delegato ad oltranza e palesemente hanno profittato di questa delega, possano poi essere di fatto gli stessi a trarci d’impaccio.

Sarebbe come chiedere al proprio assassino di correre a costituirsi e prendere su se stesso ogni responsabilità per ognuno degli errori che abbiamo coscientemente compiuto in vita.

Prendersi la responsabilità di esistere è alla base di ogni esistenza cosciente. Ciò presuppone la grande capacità di esistere piuttosto che coesistere in un macro sistema. Esistere è altro dal coesistere. Si può normalmente esistere in un macro sistema pur esistendo malgrado esso. L’individuo è tale nel momento in cui riconosce la propria unicità. Contrariamente, è solo un granello in un macro sistema che, ovviamente, tende ad abbattere il criterio stesso di individuo.

Ciò non significa che dobbiamo mirare ad un maggior individualismo, che ritengo colpevole di molti degli sfasci socio relazionali che viviamo attualmente e che vanno a collocarsi fra le modalità da ripensare al fine di riottenere un sistema sociale vivibile e condivisibile. Significa, semmai, rendersi liberi dal concetto di controllo e gestione esterna al nostro stesso esistere. Se Io sono cosciente della mia esistenza, farò in modo che la mia esistenza venga innanzitutto rispettata da me stesso e, a cascata, da tutto il macro cosmo che mi circonda e mi fa esistere.

Scagliarsi quindi incoerentemente contro coloro che sfasciano l’esistenza, sia essa individuale o di comunità, è del tutto inutile oltre che dannoso ad un reale processo di cambiamento dell’intera società civile.

Ripeto: per cambiare la società, è necessario che cambino le persone. Cambiare, significa intanto prendersi la responsabilità di esistere non solo in qualità di essere umano ma anche e soprattutto come elemento di una comunità estesa. Se io cittadino esisto ma coesisto all’interno della macrocomunità, devo essere responsabile per me stesso ma anche per i miei concittadini connazionali. Ecco che i miei comportamenti, ma anche e soprattutto la mia visione delle cose, si renderà tangibile e proattiva, contrariamente alla metodica del delegare, compreso il delegare le colpe ed i danni sofferti.

Il fatto che questo appaia essere un concetto visionario ed in qualche modo rivoluzionario, la dice lunga sul livello di anormalità sociale in cui siamo caduti. Per la maggior parte dei cittadini di una nazione come l’Italia infatti, prendere coscienza della propria responsabilità di esistere e di essere contemporaneamente cittadini che possano determinare fattivamente un cambiamento socio politico è quasi folle.

A parole, i dibattiti fra cittadini comuni parlano di questo. Ma nei fatti, nulla di questo accade. Non accade (non inizia ad accadere) perché fondamentalmente un grande cambiamento – che parte dal profondo della mente di ognuno – presuppone uno sforzo enorme che non è tangibile nell’immediato e di conseguenza non viene preso in considerazione da una massa abituata ormai ad essere condotta piuttosto che a condursi.

Meglio il meno peggio subito (…) che il molto meglio domani, è la risposta silenziosa ma unanime della nazione. Risposta le cui conseguenze sono sempre le stesse: il cittadino rigetta in qualche modo la propria scelta sapendo nel profondo essere la scelta peggiore. Una reale discrasia se si pensa che questa attitudine mentale blocca completamente l’azione. E rende impossibile la risoluzione dell’ormai secolare domanda: “Come uscire dal giogo del sistema”?

La risposta forse è troppo ovvia per poter esser presa in considerazione: dal sistema – quando esso sia da rinnegare collettivamente – si esce volendolo. Collettivamente.

Abituati ormai a considerare tutto in una forma resa difficile non dai fatti ma dalle opinioni, ecco che ci ritroviamo legati al nostro stesso terrore di restare vittime, senza capire fino in fondo di cosa e di chi. Accettare di liberarsi dalla prigionia dei nostri convincimenti è il primo passo per cambiare come persone e come sistema sociale.

La società cambierà non appena le persone accetteranno di cambiare. E non una per volta, ma collettivamente. Perché in collettività si vive e collettivamente è necessario mutare per riemergere, insieme, dal terrore del cambiamento ad un sistema migliorativo che non lasci dubbi, per una volta, sulla condivisibilità dei modi e dei metodi. Come sempre, sta ad ognuno di noi accettare il cambiamento. Per tutti.
Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.60) 27 novembre 2013 09:39

    Davvero interessante il suo articolo, è un progetto complesso e la sua realizzazione innesta il miglioramento di noi individui. Credo che l’approccio Societing permetta di rivalutare il nostro modo di agire. Siamo uomini che viviamo di vestiti firmati, di scalate sociali senza scrupoli ed escludiamo a priori l’importanza dei beni intangibili. Ed ogni volta che si disprezza la società attuale non si fa altro che disprezzare se stessi. Le comunità locali possono realizzare questo progetto, è dal basso che deve innestarsi il cambiamento!

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares