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La saggezza degli ultimi

Riflessione sulla umanità emarginata che popola le città. 

Il SASFID (Servizio Assistenza ai Senza Fissa Dimora) della Croce Rossa mi ha aperto gli occhi su un mondo che non conoscevo e di cui la maggior parte delle persone ha una visione parziale o distorta.

Il servizio, effettuato dai volontari, consiste nel girare di notte per portare indumenti e un pasto caldo ma sopratutto conforto ai derelitti della società e spesso, conoscendoli, viene da chiedersi se è la società che ha rifiutato loro o se sono loro che hanno rifiutato una società che ha perso la sua funzione principale di solidarietà e condivisione, ritrovandola tra le piccole aggregazioni che si creano spontaneamente per la strada.

Parlando con questi uomini e queste donne negletti, distesi a terra tra gli stracci, ma con uno sguardo che scruta il mondo con sorprendente lucidità, mi sconcerta a volte la saggezza e la consapevolezza che molti di loro dimostrano nel giudicare le vicende terrene.

Una saggezza profonda, istintiva, mai riscontrata nell'ambiente frequentato per lavoro, tra personaggi che occupano posizioni di rilievo, incaricati di decidere le sorti di molti di noi, e che spesso si rivelano dei meri esecutori, privi di profondità e di capacità di pensiero autonomo, guidati unicamente da interessi e ambizioni personali.

 

Il mondo della strada offre un campionario di umanità straordinario. Quasi tutti provengono da una vita “normale”, una volta avevano lavoro, famiglia, casa. Apparentemente, sono state le vicissitudini della vita, la perdita di un amore o del lavoro, l'abuso di droga o di alcool a rovinarli e a farli precipitare nell'abisso della “non-rispettabilità sociale”. Ma forse occorre una riflessione più profonda sulle cause che li hanno portati a deviare dal percorso che la maggior parte di noi accetta senza porsi domande.

Spesso sono le persone più intelligenti e sensibili a soccombere. “This world was never meant for one as beautiful as you” (questo mondo non è fatto per una persona bella come te) recitava Don Mc Lean nella canzone “Starry starry night” dedicata a Vincent Van Gogh.

Viviamo in un mondo governato da mediocri per mediocri e chi ha una mente libera e una intensa emotività ha maggiore difficoltà ad adattarsi. Erasmo da Rotterdam, nel suo Elogio della Follia, la dipinge come una dama dall’intelligenza superiore, che tesse un raffinato elogio di sé, elencando e deridendo uno per uno tutti i limiti, le meschinità e le bassezze che si nascondono sotto le pompose vesti di governanti, letterati e alti prelati. Purtroppo, sono proprio questi ultimi a giudicare e ad etichettare come pazzo e disadattato chi non si conforma.

 

Sulla scalinata della Chiesa di Santa Andrea della Valle, seduta su una coperta logora, incontriamo Fifì*, capelli corti brizzolati, tunica e pantaloni bianchi, un rosario tra le mani. Ci accoglie con un sorriso sornione:

- “Toglietevi quelle museruole, voglio guardarvi in faccia”.

Ci abbassiamo le mascherine, rimanendo a distanza.

- «Girano brutte parole in questo periodo» incalza lei «Distanziamento sociale! Che brutto concetto! Non mi piace per niente».

Ripenso al brivido che mi percorse la schiena quando lo lessi la prima volta in un sito governativo “misure volte ad assicurare il distanziamento sociale” e non posso fare a meno di annuire.

«Qualche giorno fa ero alla stazione Termini» prosegue lei «c'era un altoparlante che ripeteva ogni tre minuti “mantenete le distanze”. Ogni tre minuti, non sto esagerando! Sapete l'effetto che fa sul cervello sentire ripetere continuamente questa frase?» aggiunge battendosi l'indice contro la tempia.

Accetta il pasto che le offriamo ma vuole soprattutto parlare. Ci racconta le umiliazioni subite, la sua sofferenza dinanzi agli sguardi di riprovazione e le battute dei passanti.

«Poco fa dei giovani mi hanno derisa, hanno detto sghignazzando: “Guardate quella vecchia che recita il rosario!” E io gli ho risposto “Ieri ero come siete voi oggi, domani voi sarete come sono io ora”» ci riferisce con una certa soddisfazione, consapevole di averli messi a tacere.

Ci stacchiamo da lei a malincuore per proseguire il giro, si capisce che non vorrebbe lasciarci andare.

 

Qualche tempo fa, su quella stessa scalinata, sostava regolarmente una coppia: lei italiana, sulla cinquantina, corpo appesantito, capelli grigi arruffati, gambe gonfie, occhi vivaci; lui rumeno, sulla trentina, alto e asciutto, sguardo timido e confuso. Inseparabili. Sedevano tutto il giorno mano nella mano, le loro povere cose ammucchiate in sacchi di plastica appoggiati sul gradino accanto a loro. Avevamo tentato di convincere il giovane a recarsi nel centro sociale dove avrebbero potuto aiutarlo a trovare un impiego come meccanico, mestiere che aveva fatto in passato. Lui aveva esitato e scosso la testa mestamente.

-«Non posso. Se trovo un lavoro dovrei lasciarla sola tutto il giorno. Lei ha bisogno di me.» aveva sussurrato scambiando uno sguardo di tenerezza con la sua compagna e stringendole forte la mano.

Gli amori che nascono per la strada sono così, non seguono le logiche della società, non tengono conto dell'età o dell'aspetto fisico, sono sentimento e basta. Così come le amicizie.

 

Mentre parlavamo con la coppia, si era avvicinato un uomo distinto di mezza età, vestito elegantemente, che era poi rimasto ad osservarci incuriosito. Quando mi avviai verso il nostro pulmino, mi fermò e mi chiese:

-«Quei due senzatetto sono qui da diverse settimane. Cosa gli stavate dicendo?»

-«Gli abbiamo portato delle coperte e del cibo» risposi, alquanto sorpresa dalla sua domanda. «Lei abita da queste parti?» aggiunsi, convinta che fosse un residente del quartiere, infastidito dalla presenza dei barboni.

I miei colleghi nel frattempo si erano avvicinati, pensando fosse un mio conoscente, incontrato per caso.

L'uomo abbassò lo sguardo imbarazzato.

-«No, io sono come loro, vivo per strada»

Rimanemmo tutti gelati dallo stupore.

Ci raccontò la sua storia. Aveva un piccola attività che era fallita. Per aiutarlo i genitori avevano venduto la nuda proprietà della loro casa ma, alla loro morte, il nuovo proprietario lo aveva cacciato e si era così ritrovato senza lavoro e senza dimora. Percepiva il reddito di cittadinanza che però non gli consentiva di prendere in affitto nemmeno una camera e dormiva per strada.

 

Proseguiamo la nostra ronda e rannicchiato sotto un portone, troviamo Hector*, un gigante timido e gentile. Gli abiti che abbiamo portato sono troppo piccoli per lui. E' molto giovane. Non conosciamo la sua storia ma ha sicuramente qualche disfunzione che lo ha reso obeso. Ci dice che una signora gli ha appena detto che non può restare lì. Così si alza a fatica e inizia a raccogliere i suoi effetti personali, infilandoli in due grossi zaini che si carica sulle spalle. Poi si avvia alla ricerca di un riparo, facendoci un cenno di saluto con la mano, e ci si stringe il cuore nel vedere quella figura massiccia e goffa che si allontana solitaria e desolata nella notte.

La difficoltà maggiore è proprio il senso di impotenza e di frustrazione che coglie chi effettua questo servizio, provocato dalla consapevolezza di poter fare ben poco per alleviare le sofferenze e le difficoltà di questa umanità emarginata. Molti di loro, tuttavia, rifiutano il ricovero nelle strutture di accoglienza, anche quando arriva il gelo dell'inverno «Non posso essere rinchiuso tra quattro mura. La mia libertà non ha prezzo» protesta Dorian, sistemando i cartoni in cui si rifugia per la notte. E' ormai conosciuto nel quartiere e gli abitanti gli offrono cibo e coperte e si fermano spesso a chiacchierare con lui.

 

 

I senzatetto solitari hanno quasi sempre un cane, con il quale condividono tutto. Prima di chiedere cibo per loro stessi lo chiedono per il loro fedele amico, forse l'unico che li ama incondizionatamente senza giudicarli. Il rapporto che si instaura tra l'uomo e l'animale è commovente, si proteggono e si confortano a vicenda, dormendo abbracciati sotto la stessa coperta quando i morsi del freddo della notte si fanno sentire.

Ma, di solito, i senza dimora si aggregano dando luogo a piccole comunità solidali, costituite da individui di diverse etnie e nazionalità che convivono pacificamente e si aiutano tra loro. Le situazioni di conflitto o di violenza accadono, ovviamente, ma sono piuttosto rari.

 

Sotto ai ponti del Tevere troviamo un accampamento. I componenti della piccola comunità ci conoscono e ci vengono incontro festosi, emozionati come bambini esaminano gli indumenti che abbiamo portato alla ricerca della loro taglia, chiacchierando senza sosta. Nessuna regola di distanziamento sociale per loro. Non sono preoccupati. Affermano che l'epidemia da coronavirus è tutta una montatura per controllare le masse. «Se arriva, arriva, inutile pensarci, non possiamo farci niente, e poi di qualcosa si deve pur morire» commentano laconici. Di certo, i pericoli che corrono vivendo per strada sono ben più preoccupanti del Covid-19. Ci raccontano la loro giornata, i progressi di chi sta cercando di smettere di bere o di fumare, le speranze di chi cerca lavoro.

Sono felici quando li chiamiamo per nome, felici di sentirsi trattare come persone, non compatiti o giudicati, semplicemente accettati.

Una coppia riferisce che nella loro tenda hanno accolto una ragazza incinta che il compagno ubriaco aveva massacrato di botte. Quest'ultimo è stato fermato e cacciato dai membri del gruppo, e la ragazza si trova ora sotto la loro protezione. La vita della piccola comunità è regolata da questi semplici principi di convivenza solidale e di sostegno reciproco.

 

Ripensando ad alcune conversazioni avute con queste persone, che la società definisce reietti e disadattati, mi ritornano in mente i versi di un'altra canzone “The Sound of Silence” di Simon & Garfunkel: “The people bowed and prayed to the neon God they made but the words of the prophets are written on the subway walls and tenement halls” (la gente si inchinava e pregava il Dio del neon che aveva creato ma le parole dei profeti sono scritte sulle pareti della metropolitana - dove trovano rifugio i clochard nda- e negli androni delle case popolari).

Parole che trasmettono una immagine molto evocativa delle moltitudini ebete che si inchinano al Dio del progresso, del consumismo e del denaro da loro stessi creato, mentre la sapienza di antica memoria rimane patrimonio delle classi più umili ed emarginate.

Paradossalmente, la saggezza, la lungimiranza, il discernimento, non si trovano infatti nei palazzi del potere ma tra gente semplice che le vicissitudini della vita hanno resi più esperti e maturi, nel senso inteso da Fromm che considerava persona sana e matura quella in grado di intraprendere la via dell’essere, piuttosto che dell’avere.

 

 

 

*tutti i nomi sono di fantasia

 

 

 

 

 

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