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La lezione del fascismo e la ripetizione berlusconiana

Prepariamoci, soprattutto, ad accogliere degnamente il prossimo profeta, che magari arriverà proprio mentre staremo affrontando le massime difficoltà, innalzando un tricolore ed invitandoci a difendere la patria dai gialli o dai blu.

La definizione del fascismo come “autobiografia della nazione”, data da Piero Gobetti, resta insuperabile per precisione e sintesi, specie se si comprende appieno il significato del termine autobiografia; la nostra storia, fino al presente, che noi ce la raccontiamo.

Il fascismo, dunque, aveva per Gobetti radici nel nostro passato; non era un morbo estraneo (la crociana invasione degli hichsos) inoculato nel tessuto sano della nostra società, ma rifletteva la nostra di storia, di paese arrivato tardi e male all’Unità, che non aveva mai conosciuto rivoluzioni, ma solo un Risorgimento a guida regia, e che, ancora nuovo alla Democrazia, aveva sempre premiato il conformismo servile dei sudditi e sempre disconosciuto i cittadini.

Non fu solo italiano il fascismo, e di queste sua diffusione internazionale, l’interpretazione di Gobetti (che non poté vederla) non dà conto; bisogna aggiungervi, per comprenderla, il fascino che ebbe anche in altri paesi quella nostra controrivoluzione senza rivoluzione. Parve, anche a molti altri europei, la via da seguire per ristabilire un ordine sociale che la modernità, prima ancora che la fine degli imperi e la Rivoluzione sovietica, minacciava di cambiare per sempre.

Resta però che il fascismo propriamente detto (il franchismo, per esempio ha caratteri assai diversi) fu un fenomeno innanzitutto italiano ed ebbe, tra gli italiani, un successo straordinario. Fascisti furono tutti o quasi, specie dopo la proclamazione dell’Impero, nel 1936, quando il sole di Mussolini raggiunse il suo mezzogiorno; è una realtà che ci siamo poi negati, preferendo raccontarci l’esatto contrario, di essere stati tutti antifascisti, ed affidando alla Resistenza non solo il compito di riscattarci moralmente, ma di assolverci da ogni colpa e responsabilità; di passare una mano di bianco sul nostro passato.

Questo, la negazione della popolarità del fascismo e la trasformazione della resistenza, che fu di pochi e, nell’inverno 44-45 di pochissimi, in grande movimento di popolo, è il peccato originale commesso dalle forze politiche dell’Italia repubblicana: democristiani e comunisti, non spinsero gli italiani a riflettere sui propri errori né li invitarono ad analizzarsi per individuare quei grumi di fascismo che erano dentro quasi tutti loro.

Ci assolvemmo, insomma, come Comunità Nazionale, dopo un'atroce penitenza (le distruzioni e i morti della Guerra) ma senza nessun vero esame di coscienza e, quindi, senza nessun pentimento. E’ questo ad aver reso possibile il berlusconismo e, per certi versi, il leghismo; a far cadere tanti nostri connazionali in errori così simili a quelli del passato.

Il berlusconismo, specie quello tardo che è durato fino ad ieri, è stato una riduzione al minimo del fascismo; di questo condivideva le religione del Capo, la fede nell’uomo del destino, e molti dei caratteri reazionari, ma, e qui sta una delle differenze tra i due fenomeni, non tentava neppure di fornire una base ideologica alla propria azione.

Il berlusconismo mutuava dal reaganismo la propria retorica in campo economico, ma non proponeva nulla di nuovo; non si definiva in termini propositivi (il mito della Rivoluzione liberale non ha mai scaldato i cuori delle masse berlusconiane), ma si giustificava millantando un anticomunismo tanto anacronistico quanto presente nelle paure ataviche di tanta parte del nostro ceto medio; di quello che è stato il suo grande bacino elettorale.

Una piccola borghesia che vedeva già, nei primi anni ‘90, svanire il sogno di un eterno progresso economico e non sapeva darsene una ragione; che ha preferito continuare a pensare al pericolo comunista (tanto più tranquillizzante quanto più si faceva remoto) piuttosto che riflettere cu come potesse rispondere al pericolo vero, per il mantenimento del proprio benessere, rappresentato dalla mondializzazione.

Un ceto medio erede di quello che, come Luigi Salvatorelli scriveva nel 1923, nel “Nazionalfascismo”, frustrato nelle proprie aspirazioni materiali dalla crisi economica del primo dopoguerra, aveva trovato nel fascismo la propria rappresentanza.

Il berlusconismo ha avuto dunque la stessa base che fu del fascismo gentiliano, ma non ha proposto una propria via allo Stato etico né ha elaborato qualcosa di simile al corporativismo; sono germi ancora liberi, dispersi nella nostra politica e nella nostra società, con cui ci dovremo confrontare negli anni a venire, come ci dovremo confrontare con la forza che è la vera erede del fascismo “rivoluzionario”: la Lega.

Nietzche male orecchiato sta dietro a tanta retorica bossiana come dietro ai modi del fascismo più violento; la visione romantica dello stato-nazione in armi sottende sia l’espansionismo fascista che il secessionismo leghista. La Lega, addirittura, ripropone temi e ideali nazisti e che furono propri, dal neo-paganesimo alla difesa della razza, solo dell’estremo e peggiore fascismo.

Temi e ideali che continuano ad affascinare molti di noi; sogni ad occhi aperti in cui può essere irresistibile rifugiarsi, specie nei momenti di crisi. La sfida, mentre salutiamo la fine del berlusconismo, è quella di comprendere fino a che punto siamo diventati, tutti, un po’ berlusconiani: quanto siano diventati berlusconiani i nostri modi e il nostro linguaggio; il nostro modo di pensare e perfino i nostri sogni.

Pensiamo ai danni procurati da un ventennio di propaganda fascista fatta con i modesti mezzi di allora e cerchiamo di riconoscere fino a che punto ci hanno cambiato trent’anni di scientifico bombardamento televisivo berlusconiano delle nostre coscienze. Prepariamoci, soprattutto, ad accogliere degnamente il prossimo profeta, che magari arriverà, proprio mentre staremo affrontando le massime difficoltà, innalzando un tricolore ed invitandoci a difendere la patria dai gialli o dai blu.

Dopo la lezione del fascismo e la ripetizione del berlusconismo, adesso dovremmo sapere a che paese mandarlo.

Commenti all'articolo

  • Di Sergio Giacalone (---.---.---.18) 11 novembre 2011 12:45
    Sergio Giacalone

    Condivido Daniel, la tua è un analisi lucida, coraggiosa (tocca ancorta dirlo, ahimè, in questo paese ancora riccoi di sepolcri imbiancati) e ineffabilmente vera. Purtroppo la peggiore Italia di oggi è proprio il frutto dei gravissimi errori compiti nel delicato passaggio fra fascismo e libertà, primo fra tutti l’abolizione della forma monarchica di stato, intimamente legata alla nascita dell’Italia e per ciò stesso linfa vitale per il nostro spirito nazionale e l’orgoglio dell’ appartenenza. Perchè è vero che il fascismo con la guerra aveva esaurito il suo ruolo storico ed andava rimosso. ma si doveva fare come con le masse tumorali, salvaguardando il tessuto buono sottostante. Invece così non fu. la truffa referendaria che portò alla repubblica rese necessario, affinchè la repubblica stessa sopravvivesse, quel gravissimo colpo di spugna sul nostro recente passato che ci rese un popolo senza storia con le conseguenza che ancora oggi paghiamo: servivano nuovi falsi eroi (i partigiani e i partiti politici) e un facile capro espiatorio (Casa Savoia). Non fu difficile a chi era riuscito a raggruppare nelle proprie mani le leve del potere alterare in tal senso la realtà, al punto da stravolgerla, perpetrando questo misfatto durante i due decenni successivi, al punto da farci definitivamente smarrire e ridurci al popolo senza radici e dunque senza stimoli che oggi siamo diventati. Grazie, Daniel, per averlo ricordato così efficacemente.
    Sergio Giacalone

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.34) 11 novembre 2011 13:14
    Damiano Mazzotti

    Cazzo... in ITalia esistono ancora innovatori che vogliono innovare con la monarchia e la minarchia: il regno dei minorati mentali aristocratici.

    I Re di oggi sono i pronipoti dei truffatoir, dei ladri e degli assassini di ieri...

    Poi ogni tanto, per frutto del caso, ne nasce uno dei buoni...

    • Di Sergio Giacalone (---.---.---.18) 11 novembre 2011 16:15
      Sergio Giacalone

      Cazzo... quanto astio amico mio! Sono certo che in lei risiedano fondate ragioni per un punto di vista così assoluto e che rispetto, pur non condividendolo. D’altronde deve considerare che anch’io sono giunto alle mie conclusioni dopo un percorso non semplicissimo, provenendo, peraltro, da un’area di formazione politica che nulla ha a che fare con Re e Corone. Eppure il sentimento che mi lega al nostro paese e la pena a vederlo così malridotto mi ha portato a cercare i motivi di questa deriva. E li ho trovati in questa interruzione del percorso che ci legava al nostro risorgimento: l’Italia è nata monarchia perchè quella rappresentava la forma migliore per garantire l’unità di tutti quei figli di una stessa madre cresciuti in famiglie diverse che erano i popoli regionali. Come tale ritengo meriti un recupero, in quanto elemento essenziale delle nostre radici nazionali. Chiaramente la mia idea di monarchia è moderna e ha poco a che vedere sia con l’assolutismo che con i minorati aristocratici da lei citati: peraltro (e per fortuna) una classe dominante aristocratica non esiste più in nessuna delle attuali monarchie europee, figurarsi se possono esserci i presupposti che torni ad esistere in Italia! Detto questo mi rendo perfettamente conto di qunto risulti difficile comprendere le ragioni di una posizione come la mia, da sempre relegata ad un passato da dimenticare. Ma le posso garantire che a tirar fuori gli scheletri dell’armadio della repubblica italiana si prova un gran gusto e la voglia di riparare all’errore commesso nel 1946 diventa un imperativo di coscienza... Cordialmente 

  • Di (---.---.---.156) 11 novembre 2011 15:54

    Non riuscimmo a fare i conti col fascismo perchè era già in atto la guerra fredda che si evidenziò con l’amnistia firmata da Togliatti, con l’armadio della vergogna, e col controllo mafioso del territorio: strage di Portella della Ginestra. nonnoFranco

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