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La legge bavaglio e la P2 al Quadrato

Dopo la breve tregua delle elezioni il governo riparte con l’ennesimo tentativo volto ad imbavagliare l’informazione, ignorando del tutto la "questione morale", causa principale della malattia della seconda repubblica. In altre parole “la nausea” del cittadino comune.

La sensazione è di inquietudine, quella stessa inquietudine che mi prese anni fa leggendo le losche vicende della loggia massonica P2, quella di Gelli per intenderci, e delle losche manovre che da essa partivano per manipolare frange della politica e dell’economia del nostro paese. Torbidi affari fatti di tangenti, corruzione, interessi, vicende così sporche che portarono a varare una legge apposita proprio per regolare le associazioni segrete. Torbidi affari dicevamo, che trascinarono politici, imprenditori, faccendieri, affaristi nelle patrie galere. E l’inquietudine è la stessa perche le modalità, gli argomenti, ad anche alcuni protagonisti sono gli stessi. Nulla sembra cambiato, la sola differenza sta nel fatto che mentre allora la politica accettò quasi in silenzio il corso della storia, oggi l’arroganza del potere è così sfrontata che tenta di insabbiare, di minimizzare, di gettare discredito, di approvare leggi per limitare la trasparenza anziché facilitarla. Quando il coperchio è stato sollevato, ciò che ha indignato la politica non è la gran puzza che ne è uscita, ma il fatto stesso che sia stato sollevato, che qualcuno, la puzza, l’abbia fatta uscire. L’oscurantismo è tornato, come un replicante dal medioevo, armato questa volta di tutto punto. E questo mi inquieta molto, ma molto di più della puzza stessa.

La “macchina del fango” si è allora prontamente messa in moto attaccando il contenuto delle intercettazioni, tacciandole di essere “penalmente irrilevanti”, di violare la privacy, di essere solo un morboso gossip da rotocalco e, per giunta, con un enorme costo per la collettività. Accanimento insomma, sindrome della spia. Ma è più che evidente che dietro c’è il tentativo di nascondere la verità, un modo fazioso per tenere i cittadini allo scuro delle trame e degli scheletri della “rex publica” dimenticando che, proprio perché pubblica, è ai cittadini che deve rispondere. I politici che la rappresentano, la cosa pubblica, i managers ai vertici di aziende pubbliche, che vengono pagati con i soldi pubblici, sono personaggi pubblici, e come tali devono essere trasparenti, al di sopra di ogni sospetto, all’altezza delle responsabilità assunte, non solo perchè non devono infrangere le leggi, ci mancherebbe altro, ma anche moralmente ed eticamente. La questione penale spetta ai giudici, quella morale ai cittadini. Un comportamento eticamente inadatto al ruolo, offende le istituzioni nella stessa misura, sia in pubblico che in privato, anzi quest’ultimo è anche più odioso del primo. Nascondersi dietro la “privacy” per evitare la trasparenza, per sfuggire al giudizio è una vigliaccheria indegna di quel ruolo, come indegno è il tentativo di evocare censure o bavagli alla libertà dei cittadini di conoscere di che pasta sono fatti i propri rappresentanti.

E di esempi nella storia ce ne sono molti, su tutti la vicenda della prima azienda privata italiana che allontanò dal vertice uno dei suoi azionisti per comportamento indegno della posizione benché, forse, penalmente irrilevante. Più o meno la stessa cosa accadde ad un noto presidente Usa, sempre qualche anno fa. Chi non capisce questo o è in mala fede o è inadatto al ruolo, ergo cambi pure mestiere. Ma il vero disagio nasce dal fatto che per i politicanti della seconda repubblica la questione morale è un non problema, benché essi giurino sulla costituzione lealtà, moralità, etica, questo viene di fatto considerato un rito d’altri tempi, un’ inutile orpello, una fastidiosa escrescenza burocratica figlia di incrostazioni della memoria, tutto qui. D’altro canto chi paga una minorenne non si pone certo problemi morali, ed è da questo, proprio da questo che nasce l’inquietudine, la peste bubbonica della seconda repubblica, “la nausea” che affligge mortalmente il cittadino comune.

Claudio Donini per www.alfadixit.com

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