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La (in)cultura metropolitana

Ha senso oggigiorno parlare di “cultura” metropolitana? La risposta è sicuramente negativa: infatti, quello che apprezziamo quotidianamente non è il vero volto della vita cittadina, ma ne costituisce il riflesso propagandato dai media e dalla pubblicità, i quali ne enfatizzano la dorata parvenza risultante da accurate strategie pubblicitarie dettate esclusivamente dai relativi profitti finanziari. Non bisogna sottovalutare inoltre il fatto che attraversiamo un'epoca segnata dalla complessità e dalla relatività, entrambe suscettibili di distogliere facilmente l'attenzione dell'osservatore.

Quella metropolitana è una complessità operativa e tecnica e perciò capace di condividere poco o punto con la reale portata della vita quotidiana. La città si propone di conseguenza come il luogo elettivo per la attuazione delle sempre più complesse strategie tecnologiche, oltre che per la più esasperata specializzazione, al punto che quasi tutte le energie intellettuali risultino canalizzate in senso meramente neutrale e funzionalistico. La città privilegia infatti la competizione merceologica, nel senso di proporsi come vetrina adibita all'ostentazione dell'uomo tecnologico, con tutto il suo ingannevole spettacolo, al fine di esasperarne i falsi bisogni.

A prima vista, questa situazione può presentarsi affidabile e razionale, se non addirittura, secondo l'opinione prevalente, scientifica. Ma, a una meno superficiale analisi, essa evidenzia invece l'aspetto contraddittorio, parziale e riduzionistico della situazione, atteso che la realtà, quella autentica derivata dalla vita quotidiana, risulti essere invece ben più articolata.

La vita metropolitana si propone così in maniera univoca e capace di produrre soltanto pesanti ripercussioni negative sugli individui collocati ai suoi margini, oltre che su quelli virtualmente integrati nella sua perversa dinamica socioantropologica. Si apprezza infatti il ricorso di una stretta relazione tra il cartellone pubblicitario proponente il solito personaggio di successo, dall'espressione sempre allegra e vestito alla moda, e la persona comune, magari con l'aria annoiata e indifferente, con lo sguardo distratto rivolto verso quel cartellone attraverso il finestrino del tram.

Si desume agevolmente come la città renda l'individuo infelice rispetto all'ingannevole benessere economico ostentato. Essa induce di conseguenza all'apatia, alla solitudine, all'indifferenza, al cinismo, all'ansia e all'invidia, tutti indicatori di un preoccupante aggravamento della condizione esistenziale di imponenti settori della popolazione. Al riguardo, appare emblematica la condizione riservata ai bambini e alle persone anziane, entrambi parcheggiati davanti a uno schermo televisivo. Per essi non sono più disponibili spazi nei quali potersi esprimere liberamente. D'altra parte, è proprio questo il volto del nuovo totalitarismo neoliberista, il quale subordina persino l'interesse per la persona alla relativa capacità produttiva. Questa è purtroppo la “cultura” imposta dalla metropoli tecnologica, nella quale persino il dialogo con l'altro risente di tale difficoltà, la quale anonimizza, invecchia e...uccide!

 

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