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A luglio contatti tra Cina e Libia per la vendita di armi

Il governo cinese ha confermato oggi i contatti tra esponenti del governo di Gheddafi e alcune aziende produttrici di armi. Jiang Yu, una portavoce del ministero degli Esteri, ha di fatto ribadito quanto pubblicato il 2 settembre dal quotidiano canadese “The Globe and Mail”, negando però che ci sia stata alcuna vendita: “Le compagnie cinesi non hanno fornito prodotti militari alla Libia, né in maniera diretta o indiretta”.

La Yu ha anche aggiunto che i colloqui si sarebbero svolti all'insaputa del governo.

Il 16 luglio, a poche settimane dalla disfatta, alcuni uomini del Raìs sono arrivati a Pechino per incontrare i vertici di tre compagnie produttrici di armi, aziende controllate dallo stato. Sul piatto, l'offerta di oltre 200 milioni di dollari in armi, tra le quali autocarri equipaggiati con lanciarazzi, missili dotati di bombe a implosione, missili anticarro, e lanciarazzi terra-aria modello QW-18, talmente piccoli da essere utilizzati da un unico soldato, ma potenti da riuscire ad abbattere alcuni tipologie di aeroplani.

La vendita, in palese violazione dell'embargo sanzionato dalle Nazioni Unite in febbraio, embargo sul quale il gigante asiatico si è astenuto, sarebbe dovuta avvenire grazie all'intermediazione di Algeria e Sud Africa. Armamenti e munizioni già stoccate in Algeria sarebbero potuto essere trasferite immediatamente in Libia, visto che corrispondevano in parte alle richieste degli ufficiali di Gheddafi. Le tre ditte in questione sono la China North Industries Corp. (Norinco), la China National Precision Machinery Import & Export Corp e la China XinXing Import & Export Corp.

Graeme Smith, il reporter canadese autore dello scoop, ha affermato di aver recuperato il documento ufficiale del governo libico, attestante l'avvenuto incontro, a Tripoli, tra i bidoni dell'immondizia del quartiere Bab Akkarah, nei pressi di uno stabile dove hanno soggiornato ufficiali lealisti.

“Sono quasi certo che queste armi sono arrivate e sono state usate contro la nostra gente” ha dichiarato Omar Hariri, capo della commissione militare del Consiglio nazionale di transizione. Un altro portavoce militare, Abdulrahman Busin, interpellato dal New York Times ha aggiunto che le truppe ribelli sono in possesso di prove evidenti della violazione delle sanzioni, ovvero documenti e armi recuperate sul campo. Armi che non sarebbero solo cinesi, ma di “almeno altri 10 paesi”. Paesi che avranno poche chance di fare accordi commerciali con la nascente nuova Libia, ha aggiunto Busin. Grosso problema per la Cina, fino a prima dell'inizio della guerra terzo importatore del pregiato petrolio libico.

Il New York Times ha provato a riscontrare la notizia interpellando anche il Pentagono, il Segretariato di Stato e i servizi di intelligence Usa, senza tuttavia trovarne conferma. Un funzionario Nato a Bruxelles ha giudicato il documento probabilmente un falso, mentre membri della commissione Onu per le sanzioni alla Libia hanno affermato di non aver avuto segnalazioni e informazioni in merito.

La Cina non ha ancora ufficialmente riconosciuto il Consiglio nazionale di transizione e insieme alla Russia ha contestato l'invio di armi ai ribelli, misura potenzialmente in contrasto con l'embargo. Non è la prima volta che il governo di Pechino sembra fare il doppio gioco: negli anni '80 fornì armi sia all'Iran che all'Irak, in guerra fino al 1988, senza all'apparenza aver grossi problemi di carattere diplomatico con nessuno dei due

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