Francia: incostituzionale la schedatura di massa
Il 29 marzo è stata pubblicata sulla gazzetta ufficiale francese la legge relativa alla protezione dell'identità, definitivamente approvata dall'Assemblea nazionale il 6 marzo. La legge entra in vigore sensibilmente ridimensionata dopo il pronunciamento della Corte costituzionale che ne ha giudicato incostituzionali alcuni articoli a seguito del ricorso presentato da 120 tra deputati e senatori.
La suprema corte ha bocciato l'articolo 5 che prevedeva la creazione di un database centralizzato nel quale archiviare i dati contenuti nei chip elettronici in dotazione alle nuove carte d'identità, tra i quali anche le impronte digitali. Il database, divenuto noto all'opinione pubblica come “schedario delle persone oneste”, avrebbe potuto collezionare le informazioni personali di quasi tutta la popolazione francese ed essere consultato anche per esigenze di polizia amministrativa e giudiziaria. Per il Conseil Costitutionnel, ad un problema di interesse generale (la prevenzione delle frodi relative alle appropriazioni di identità altrui) il legislatore ha risposto con una soluzione sproporzionata che configura una reale minaccia per la privacy.
La legge sancisce la creazione di carte d'identità e passaporti biometrici muniti di chip elettronico contenente nome, cognome, sesso, luogo e data di nascita, domicilio, altezza e colore degli occhi, impronte digitali e fotografia. L'articolo 5, ora eliminato dal testo, stabiliva che “al fine di preservare l'integrità dei dati richiesti per il rilascio di passaporto e carta d'identità”, lo Stato dovesse prevedere “un trattamento dei dati a carattere personale per facilitarne la raccolta e la consultazione”. “Trattamento” gestito da ministero dell'Interno in maniera centralizzata. In sostanza, prefigurava la creazione di un archivio unico consultabile non solo per esigenze amministrative (rilascio o rinnovo documenti), ma anche per inchieste di polizia: in particolare per verificare l'identità di una persona sospetta di aver commesso infrazioni legate all'usurpazione di identità, o per reati di terrorismo o minaccia alla sicurezza nazionale. Sempre, tuttavia, a seguito dell'autorizzazione di un procuratore della Repubblica. “Considerando la natura dei dati registrati – si legge nella decisione della Corte - l'ampiezza del loro trattamento, le sue caratteristiche tecniche e le condizioni per la consultazione, le disposizioni dell'articolo 5 portano al diritto al rispetto della vita privata una minaccia che non può essere considerata come proporzionata allo scopo perseguito”.
La Corte è intervenuta anche su un altro aspetto della legge, l'articolo 3, che era sembrato a molti discutibile. I nuovi documenti potevano, nella formulazione originaria, essere dotati anche di un secondo chip facoltativo, contenente alcune informazioni in grado di consentire al titolare di “identificarsi sulle reti di comunicazione elettronica e di utilizzare la propria firma elettronica”. Il chip sarebbe stato utilizzabile per transazioni commerciali in rete e come strumento di autenticazione di documenti per via telematica. Ebbene, anche in questo caso, la Corte ha rilevato l'assenza di sufficienti tutele: non solo il legislatore non ha specificato la natura dei dati in questione, ma non ha neanche specificato in che modo e secondo quali condizioni tali dati sarebbero potuti essere utilizzati per l'identificazione dell'utente, né ha prefigurato utilizzi particolari, come nel caso di minori. Una formulazione troppo vaga, dunque, per un provvedimento che c'entra ben poco con l'iniziale esigenza dalla quale era nata la proposta di legge, e cioè la lotta ai furti di identità.
Plauso alla decisione della Corte da parte di quelle associazioni che si erano battute contro la proposta di legge. La Lega dei diritti dell'uomo considera utile l'opera della Corte che ha rifiutato di legittimare la creazione di un super archivio della popolazione come “risposta a una volontà di identificazione e di controllo sociale generalizzato”. Dello stesso avviso l'Electronic Frontier Foundation, che tuttavia contesta al Conseil una mancata presa di posizione sulla costituzionalità e sulla reale necessità dell'utilizzo di tecnologie biometriche, ovvero di quelle soluzioni tecniche finalizzate al riconoscimento di un individuo attraverso alcune informazioni fisiologiche, come appunto le impronte digitali o la forma dell'iride. “L'anno scorso, un dossier francese ha dimostrato che il 10% dei passaporti biometrici erano ottenuti in maniera fraudolenta – scrive la Eff – L'introduzione della biometria sta esacerbando piuttosto che risolvendo il problema delle frodi identitarie. Il governo francese ha a disposizione molte tecnologie di sorveglianza per controllare i movimenti della popolazione, come i tracciati dei cellulari, quelli delle navigazioni in internet e quelli relativi all'utilizzo di carte di credito. Deve prima provare di essere capace ad utilizzare queste stesse tecnologie per migliorare la sicurezza prima di spendere i soldi dei contribuenti per una nuova carta d'identità biometrica”.
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