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Carlo Saturno, le violenze e la “giustizia” della prescrizione

 

Carlo Saturno è morto il 7 aprile 2011. Aveva 22 anni ed era originario di Manduria in provincia di Taranto. Il 30 marzo era stato ritrovato nella sua cella nel carcere di Bari, impiccato con le lenzuola alla struttura del letto a castello. La sua agonia dura una settimana. I risultati dell’autopsia hanno confermato che il giovane è morto per soffocamento. Una “non-notizia” nell’Italia delle carceri-vergogna: l’ennesima vittima di un sistema di contenzione che invece di rieducare, annichilisce.

La sua storia ritorna oggi di attualità. Il 19 giugno i giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Lecce hanno dichiarato l’avvenuta prescrizione per i reati contestati – abusi su minori e violenze – a nove agenti di polizia penitenziaria, imputati per i presunti maltrattamenti avvenuti nel carcere minorile di Lecce tra il 2003 e il 2005. Carlo era passato da quell’istituto proprio nel periodo sotto osservazione. Aveva denunciato di aver subito violenze e si era costituito parte civile, ma ha tentato il suicidio pochi giorni prima di comparire dinanzi al giudice. La sua morte pregiudicò irrimediabilmente il prosieguo di quel processo. Ora, la prescrizione lo ha definitivamente chiuso.

L’istituto minorile di Lecce non è più in funzione, chiuso nel 2007, ufficialmente perché non a norma per la legge 626. Tra quelle mura, nel periodo che va dal 2003 al 2005, si sarebbero consumati dei maltrattamenti ai danni dei minori presenti. La vicenda venne alla luce nel 2006, grazie all’allora sottosegretario alla giustizia Alberto Maritati, il quale dopo aver ascoltato le testimonianze di alcuni operatori della struttura, decise di fare un esposto alla procura. Le accuse raccolte da Maritati descrivono uno scenario raccapricciante: un inferno con ragazzini denudati e picchiati in cella, costretti a dormire nudi senza materasso. E poi, denti che saltano e timpani perforati. Inspiegabile l’immobilismo del Dipartimento della giustizia minorile che, a detta dell’Osapp, sindacato della polizia penitenziaria, non avrebbe dato tempestivo seguito alle segnalazioni che già molto tempo prima sarebbero partite dall’interno della struttura.

Ad ogni modo, le indagini hanno portato nel novembre 2008 al rinvio a giudizio di nove agenti di polizia penitenziaria. Ma a causa della prescrizione non sapremo mai se sono stati colpevoli o innocenti. Non avremo una verità, perlomeno giudiziaria, su ciò che è accaduto nell’istituto minorile di Lecce. E forse si è fatta ancora più flebile la speranza di sapere cosa abbia spinto Carlo Saturno al suicidio. Se ci siano state, insomma, delle ragioni altre oltre alla comprensibile disperazione di un ragazzo con quelle esperienze alle spalle.

Stando alle testimonianze dei familiari, il ragazzo temeva quegli agenti che lo avevano picchiato fino a fargli perdere la vista ad un occhio. Queste le parole della sorella, Filomena, rilasciate nei giorni scorsi ad un sito di informazione locale:

“Ci diceva che lo picchiavano sempre, da un occhio non vedeva più per un pugno che gli tirarono lì dentro (per il distacco della retina, n.d.r.) Ci raccontò di quando con uno schiaffo gli ruppero il timpano di un orecchio e che la mattina dopo si ritrovò con il cuscino pieno di sangue nella sua cella. Era terrorizzato dalle guardie, da quel periodo non ne è più uscito, soffriva di ansia, attacchi di panico, prendeva le gocce”

Uscito dal minorile, Carlo passa poi per i carceri di Lucera, Taranto e infine Bari, dove entra nell’ottobre 2010 per furto. Il 30 marzo 2011, arriva un'altra violenta colluttazione contro degli agenti che vogliono trasferirlo di cella. Uno di loro ha la peggio, con un polso rotto e una prognosi di 35 giorni. Per questo episodio, Carlo viene arrestato in carcere per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Viene riportato in cella e dopo poco si suicidia. Oggi, rimane aperto un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio.

Accertare ciò che è realmente successo a Lecce avrebbe forse potuto far emergere degli elementi utili per far luce sulla sua tragica fine. Oltre, magari, a rendergli un po’ di giustizia. Si può escludere con certezza che il ragazzo non abbia subito pressioni, minacce o violenze di carattere psicologico per il suo ruolo di teste chiave nel processo contro gli agenti di polizia penitenziaria del carcere minorile di Lecce? Vista la sua posizione delicata, non sarebbe stato il caso di garantirgli una maggiore tutela?

C’è da dire che dal processo oggi arrivato alla prescrizione, è scaturito un altro procedimento a carico del capo delle guardie penitenziarie, Gianfranco Verri. A differenza del primo, in questo secondo procedimento, Verri è stato condannato in primo grado a 12 mesi di reclusione per le violenze ai danni di alcuni membri del personale: un medico, l’allora direttore e due educatrici.

Il 26 giugno è la giornata internazionale a sostegno delle vittime della torturaAntigone, associazione che si batte “per i diritti e le garanzie del sistema penale”, ha lanciato la petizione “Chiamiamola Tortura”, per l’introduzione del reato di tortura nell’ordinamento italiano, così come previsto dalla Convenzione Onu contro la tortura sottoscritta anche dall’Italia. Qui è possibile firmare l’appello e leggere le diverse proposte di legge presentate in questi anni.

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