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L’indifferenza

L’astensionismo che ha caratterizzato l’ultima consultazione elettorale può sembrare solo un problema politico, è reso indicativo dandogli connotazioni e motivazioni dinamiche come la reazione, la disaffezione alla politica, il disgusto per i continui episodi di corruzione, per l’assenza di un qualunque sacrificio economico da parte di una classe politica assenteista e incompetente.

Di materia per giustificare il fenomeno ce n’è in abbondanza ma si può anche allargare la visuale salendo più in alto e abbracciando un più vasto perimetro.

Sì, perché l’astensionismo si nota non solo quando non si deve decidere un presidente di Regione ma semplicemente (e in un certo senso è più grave e incomprensibile), quando si deve perorare un proprio insindacabile diritto, quando faticosamente un gruppo di disperati trascina un politico locale in un’assemblea pubblica perché dia delle risposte.

L’ultima occasione cui mi è capitato di essere invitato ha visto la partecipazione di circa l’un per cento scarso al primo incontro e meno al secondo di quella platea di persone arrabbiate e normalmente assetate di giustizia per motivi, non solo validi, ma addirittura esistenziali.

Il mugugno di gruppo è però costante, dilaga fuori al bar, all’ufficio postale, alle file all’ASL, ecc.

Le sole manifestazioni di dissenso riuscite ed efficaci, apparentemente, sono state quelle in cui erano difesi i perimetri sacri delle corporazioni contro quelle liberalizzazioni che avrebbero, nelle intenzioni, potuto creare posti di lavoro.

All’apparenza una rivolta strisciante sta montando giorno dopo giorno, i nervi sono sempre più a fior di pelle, i toni sono quelli che fanno presagire prese della Bastiglia e dintorni; ma, e questo “ma” ha lo stesso effetto di una lenta ma infinita colata di cemento, “ma” al momento di manifestare, di esserci, di snocciolare tutti gli argomenti a lungo sviluppati nei supermercati, nelle code, sulle panchine e in attesa eterna e disperata di un mezzo pubblico, la gente non c’è più, ha da fare, declina, delega in massa.

E su quest’attitudine a delegare si può aprire un capitolo: l’italiano delega per criticare dall’esterno, a posteriori, quando a ogni errore avrebbe avuto una soluzione, a ogni decisione avrebbe dato il suo contributo preciso ed efficace.

Dopo. Fuori dai giochi.

Perché le quattro giornate di Napoli sono state un’anomalia, è accertato! Se si dovesse ripetere, andrebbero a sparare ai tedeschi setto, otto di loro!

Si scherza ma è un po’ così. Il “mormoratore” da bar vuol tornare a casa, cenare, vedere la televisione, magari un bel dibattito politico dove qualcun altro ne dice quattro al personaggio che lui odia e si sente soddisfatto, vendicato, vittorioso.

Non sa che il dibattito politico in televisione, che ha, tra l’altro, creato una categoria “professionale” che non era mai esistita e ora campa di questo, gli “opinionisti”, è fatto proprio per questo: farci andare a letto convinti di aver vinto e risolto i nostri problemi mentre i problemi se li sono risolti solo quelli che hanno guadagnato cifre da capogiro “recitando” la propria parte al dibattito!

Che corso di laurea si segue per diventare “opinionista”? Quale mostruosa esperienza di vita, quale percorso tortuoso da la scienza e coscienza per essere convocato e “pagato”(!?) per esprimerla?

La digressione era d’obbligo ma, tornando al punto, vorrei riflettere e invitare a farlo su un assioma ineluttabile: non esiste diritto acquisito su cui non si debba vigilare, non esiste autorità politica che operi bene se non a fronte di, una delle seguenti situazioni, il rispetto dell’elettorato o il timore degli elettori, e il rispetto, perché è mutato lo scenario o sono cambiati gli attori, è soltanto un pio ricordo, non credo occorrano altre prove!

Chiariamo subito che se parlo di timore dell’elettorato alludo solo ed esclusivamente all’attivarsi di tutte le azioni civili e democratiche, legittime e legali, ma che, per gli dei, devono essere attuate e nelle quali elemento fondante è la partecipazione, il dare corpo e numero al dissenso, numero e corpo che, troppo spesso, manca.

 

Foto: F. Voisin-Demery/Flickr

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