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Italia, sesso, lavoro e ipocrisia

Ci sono vari svantaggi del vivere a New York: un clima orrendo, gelido d’inverno e infernalmente caldo d’estate; la convivenza costante con insetti e rodenti, che entrano nelle case attraverso ogni buco per andare a morire in trappoline stile Tom e Jerry; una metropolitana peggiore che in molti paesi in via di sviluppo: cara, strapiena, vecchia e sempre in ritardo (anche se di ritardo tecnicamente non si potrebbe parlare, visto che per lo più non esistono orari per i treni).

 

Tra i vantaggi, però, c’è quello di vivere in un ambiente libero, multietnico e multiculturale, in cui si incontrano persone con percorsi di vita diversi e originali, capaci aprirti nuovi orizzonti ogni giorno. Audacia Ray (Dacia), 33 anni, è una di queste persone.

Ex lavoratrice del sesso, ex produttrice di film pornografici, attivista per i diritti delle lavoratrici del sesso, professoressa universitaria, specialista in comunicazione e autrice di un best seller, Dacia è praticamente una forza della natura. Ci siamo conosciute quattro anni fa lavorando all’International Women’s Health Coalition, dove, insieme, abbiamo lanciato la campagna online contro una riforma costituzionale della Repubblica Dominicana che metteva a rischio i diritti riproduttivi delle donne. Oggi Dacia è fondatrice e direttrice del Red Umbrella Project, un’organizzazione che difende e promuove i diritti delle lavoratrici del sesso attraverso workshops, campagne di comunicazione e eventi i cui protagonisti sono gli stessi lavoratori e lavoratrici del sesso.

Parlando con Dacia, mi rendo conto che anche se non esiste un modello ideale, ci sono delle linee guida da considerare quanto alla regolamentazione dell’industria del sesso.

1) La criminalizzazione della prostituzione e del lavoro sessuale crea molti più problemi di quanti non risolva, rendendo più difficoltoso proteggere la salute e l’incolumità fisica delle lavoratrici del sesso (oltre che a quella dei clienti), cosi come garantire i loro diritti umani e civili.

2) Per raggiungere una situazione di pieno diritto, è essenziale che i lavoratori e le lavoratrici del sesso abbiano voce in capitolo sulla formulazione delle leggi e le politiche che li riguardano.

3) Pensando a politiche sul lavoro sessuale, è importante considerare che la prostituzione è solo una delle varie forme di lavoro sessuale. Altri tipi di prestazioni non comportano necessariamente un rapporto o nemmeno un contatto fisico, per esempio il sesso virtuale o telefonico e l’attuazione in contesto sadomaso. Per questo, è improbabile che una sola politica o normativa possa applicarsi a tutti i casi.

4) Molte delle lavoratrici del sesso non hanno altre opzioni valide di lavoro per via del contesto economico e giuridico in cui si trovano, come alle volte accade alle immigrate clandestine. Per questa ragione, qualsiasi politica sull’industria del sesso deve essere considerata insieme alle politiche sull’immigrazione e sull’occupazione.

In Italia, la legge Merlin del 1958, abolendo la regolamentazione della prostituzione, ha di fatto creato una situazione in cui le lavoratrici del sesso, pur non svolgendo un’attività di per sé illecita, quasi mai possono esercitare legalmente la professione, senza incorrere in reati di favoreggiamento o sfruttamento.

Questa situazione è esemplare dell’ipocrisia italiana quanto al lavoro sessuale e alla sessualità. Il presupposto teorico della normativa è che prostituzione implichi sfruttamento poiché nessuna donna sceglierebbe liberamente di offrire servizi sessuali in cambio di denaro. Il presupposto morale è una visione della donna come essere debole, fondamentalmente virtuoso, ma facilmente manipolabile.

Le conseguenze di questo approccio sono 70,000 prostitute che esercitano in Italia, molto spesso sulle strade, quasi sempre in modo insicuro. Molte di queste donne sono immigrate clandestine, alcune sicuramente minorenni e/o costrette.



Le cose non cambieranno fino a quando società e politica non saranno disposte a iniziare un dialogo serio sul lavoro sessuale e la sessualità e a ascoltare le storie delle lavoratrici del sesso, al di là delle parabole di dannazione e redenzione raccontate dalla maggior parte dei media. Perché il lavoro sessuale è un lavoro scelto, in molti casi, semplicemente in mancanza di altre opzioni migliori e dettato dal bisogno di pagare l’affitto o la scuola dei figli. In questo, non è in fondo molto diverso da tanti altri lavori che ci troviamo a fare in tanti e tante ogni giorno, anche se non sono certo il sogno della nostra vita.

Da femminista, ho sempre pensato alla pornografia, la prostituzione e il lavoro sessuale in genere come legati a un’oggettificazione della donna che, in una società moderna, vorrei vedere eliminata piuttosto che regolamentata. Eppure ripensandoci, dopo aver parlato con Dacia, mi sono resa conto che oggettificazione e ineguaglianza sono cause e non conseguenze del lavoro sessuale e come tali vanno risolte con urgenza, in modo separato da questo. E soprattutto ho capito che lavoratori e lavoratrici sessuali, come tutti gli uomini e le donne, meritano la possibilità di definire le loro necessità e presentare proposte sulle politiche che li riguardano. Le cose non cambieranno finché non saranno loro ad avere la prima parola, raccontando la loro storia da protagonisti e non da comparse. Non so se allora diminuirebbe la prostituzione, ma sicuramente l’Italia ne uscirebbe un Paese più onesto.

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.220) 5 febbraio 2013 13:22
    Damiano Mazzotti

    Complimenti per la sua onestà intellettuale, per le sue riflessioni e i suoi ripensamenti.

    Se tutti gli esseri umani pensassero e agissero come lei il mondo sarebbe un posto molto migliore di quello che ci hanno lasciato oggi (quelli che vivono di certezze assolute molto coercitive e violente).

  • Di (---.---.---.26) 5 febbraio 2013 18:19

    Secondo me è accettabile l’idea che per lo Stato il lavoro sessuale non debba essere considerato un lavoro come un altro, perché "immorale" (uso una parola forte solo per farmi capire meglio). Quindi, se una persona (donna o uomo) decide di praticarlo è una scelta che non deve essere regolamentata a livello fiscale. 

    Altra cosa è lo sfruttamento, la riduzione in schiavitù, ad esempio delle prostitute straniere, che meritano di essere protette dai pericoli del mestiere in quanto persone, non in quanto lavoratrici del sesso.
    Comunque, mi rendo conto che il mio è un ragionamento ideale e che la realtà delle cose sia un po’ diversa, ma spero sempre che si possa migliorare il futuro di tante gente, e non semplicemente considerare la povertà, la mancanza di opportunità e di prospettive come un dato di fatto.
  • Di (---.---.---.117) 5 febbraio 2013 20:06

    Mille grazie ad entrambi per i vostri commenti. Se vi interessa il tema, ho pubblicato sul mio blog un’intervista che ho fatto a Audacia Ray la settimana scorsa, in cui le pongo alcune delle domande piu’ comuni su questo tema. Fatemi sapere cosa ne pensate! Ancora grazie,


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