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La Chiesa che non ama le donne

Si parla molto in questi giorni della lista dei papabili e, per fortuna, una certa diversità tra i candidati salta agli occhi. Diversità di colore, di etnia, di provenienza geografica, di lingua, di concezione stessa della Chiesa (anche se in modo limitato). Eppure, non c’è diversità di genere: i candidati sono tutti uomini. Non ci stupiamo neanche: infondo è sempre stato cosi. Eppure, era sempre stato così anche nel parlamento italiano, fino al 1946, quando le donne hanno cambiato la storia raggiungendo il diritto di voto attivo e passivo.

Anche la storia della Chiesa nel nostro Paese è piena di donne. Non solo sante e beate nei secoli scorsi, ma anche donne ordinarie di guareschiana memoria che portavano avanti le piccole lotte domestiche per preservare i valori cattolici nelle loro famiglie. Come cantava Giorgio Gaber, il papà e lo zio potevano essere comunisti, ma la mamma mai. Invece la Chiesa, nonostante la retorica sul ruolo delle donne esemplificato dalla lettera alle donne di Giovanni Paolo II, non ama le donne. Come può uno stato in cui il potere decisionale appartiene totalmente agli uomini amare le donne? Come può un’istituzione con una completa segregazione delle figure professionali amare le donne? Come può un’organizzazione amare le donne, quando condanna l’aborto, anche quando la gravidanza è frutto di una violazione o mette a rischio la vita della donna?

Eppure la Chiesa non è solo questo. In Italia, la la maggior parte delle persone si dice cattolica, eppure prende posizioni chiaramente in contrasto con le istruzioni della gerarchia cattolica, dalla contraccezione all’aborto alla fecondazione artificiale. E non basta dire che questi non sono “veri” cattolici, così come non basta non essere d’accordo con i propri famigliari perché non siano più tali. L’appartenenza alla Chiesa non è un’opinione. Una volta battezzati, siamo parte dell’istituzione, indipendentemente dall’andirivieni della nostra fede. Ancora di più in Italia, dove, a prescindere dalla propria credenza religiosa, il cattolicesimo impregna la storia, la geografia, la mentalità e la coscienza della popolazione. Insomma, la Chiesa non appartiene alla sua gerarchia, ma a milioni di persone che si dicono cattolici, cosi come la politica non appartiene alla casta, ma ai cittadini.

Negli Stati Uniti esiste una dialettica vibrante e ricca tra la Chiesa come istituzione e i cattolici che ne fanno parte. A New York, father Duffel, il parroco che ha battezzato mio figlio, ogni domenica parla dell’importanza di rispettare orientazione sessuale e diversità in una chiesa sempre piena, che accoglie un gruppo di preghiera per cattolici e gay praticanti. A Washington, l’organizzazione Catholics for Choice mette insieme teologi cattolici che parlano in favore dei diritti riproduttivi sulla base delle scritture e della tradizione della Chiesa, sottolineando il ruolo della coscienza individuale (di stampo gesuita) o del Sensus Fidelium. Durante il dibattito sulla riforma della salute portata avanti da Obama, le suore cattoliche si sono schierate apertamente in favore di “Obamacare”, vista la sua capacità di offrire maggiore copertura ai poveri, nonostante i vescovi l’avessero condannata per le provvisioni sulla salute riproduttiva.

Quella italiana è una società più gerarchica e più tradizionalista dell’americana e in fatto di cattolicesimo come in molti altri campi, c’è meno pluralismo dei punti di vista, o almeno dei punti di vista che riescono a farsi sentire. Eppure, anche se sottovoce, la società cattolica si è evoluta, incorporando, più o meno apertamente e profondamente, le battaglie femministe, mentre la gerarchia ecclesiastica non lo ha fatto, naturalmente creando un divario sempre maggiore tra i cattolici (e le cattoliche) e la Chiesa.

E’ ora che anche da noi uomini e donne cattolici inizino a riprendersi la Chiesa, nello stesso modo in cui i cittadini dovrebbero riprendersi lo Stato. E anche se non spero di vedere nel corso della mia vita una donna diventare Papa, spero di vedere un movimento di donne e uomini cattolici in favore dei diritti delle donne, non nella retorica, ma nelle pratiche. Associazioni di cattolici, laici e non, che sfidano la gerarchia ecclesiastica per parlare dei bisogni reali delle donne, dalla contraccezione al permesso di paternità obbligatorio.

Farebbe bene anche alla Chiesa come istituzione. Infondo, è da anni che in Italia non vedo una chiesa piena (tranne che per le sfilate natalizie o pasquali) e ogni domenica c’erano centinaia di persone ad ascoltare father Duffel dichiarare che nella Chiesa siamo tutti benvenuti proprio nella nostra “diversità di colore, classe sociale, conto in banca, genere e orientamento sessuale”.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.155) 21 febbraio 2013 20:37

    La velleità di scrivere articoli con lo stesso metodo con cui si prepara un frullato, butta dentro un pò di ingredienti fa girare quanto basta e servire, quando in realtà non si comprende un bel niente degli ingredienti utilizzati, è la logica che imperversa in molti che vogliono commentare fatti la cui comprensione è da loro distante anni luce.

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