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Intrighi e complotti alla corte di Machiavelli

Le origini del luogo comune del "malvagio machiavellico" nel pensiero comune europeo e nelle opere più celebri del teatro elisabettiano

L’aggettivo “machiavellico”, è spesso associato a qualità negative quali “subdolo”, ” senza scrupoli” o “falso”.

Una simile coloritura semantica è presente anche nel nostro comune modo di pensare, nel quale il termine “machiavellico” designa qualcosa di estremamente complesso e macchinoso (si pensi al gioco di carte “Machiavelli”) o un modo di agire basato su sotterfugi e slealtà.

Da cosa deriva tale accezione negativa associata a questo termine, che in origine descriveva solo ciò che si accordava alle idee dello storico fiorentino?

Di certo l’Inghilterra,non solo nella sua letteratura ma anche per la sua forma mentis, contribuì non poco alla creazione dello stereotipo del “malvagio machiavellico”, secondo il quale il celebre, e per certi versi rivoluzionario, scrittore italiano veniva affiancato a Lucifer : il diavolo in persona.

Nel suo scritto più celebre Il Principe, Machiavelli analizzò le caratteristiche che un buon sovrano dovesse avere per governare il suo regno nel miglior modo possibile. A differenza dei testi dell’epoca in materia, i cosiddetti specula principis, che esortavano il principe alle virtù morali di ogni buon cristiano (carità, misericordia, temperanza etc). Machiavelli osserva che tali qualità saranno anche utili ad essere un buon cristiano, ma la maggior parte delle volte non aiutano il Principe a essere un buon regnante.

Dal punto di vista squisitamente politico, infatti, alcune azioni migliorano lo Stato e favoriscono la collettività, mentre dal punto di vista etico potrebbero essere considerate riprovevoli.

Machiavelli consiglia al Principe come mantenere il suo potere e amministrare meglio il suo regno, senza tener conto delle norme morali o cristiane, solo perché non è di religione o di etica che si sta parlando, ma di politica.

Il punto di vista dello storico fiorentino è strettamente realista, le sue teorie si muovono solo nell’ambito del possibile e del concreto.

Molto spesso per riassumere il principio che muove il pensiero politico di Machiavelli, si usa la formula “il fine giustifica i mezzi”, ma ciò non è corretto dal momento che egli non vuole “giustificare” (termine che richiamerebbe subito un qualche codice etico - morale), ma semplicemente osservare quali siano i comportamenti che, nell’agire politico, danno risultati positivi e quali no.

La condotta consigliata al Principe non è, quindi, immorale ma amorale. Non va contro la morale, ma da essa deve necessariamente prescindere.

Nella Francia del sedicesimo secolo, Caterina de Medici, assieme ai suoi cortigiani fiorentini, governa assieme a suo marito, Enrico II.

La sua influenza sulla politica del re di Francia fu ritenuta estremamente negativa a causa della sua vicinanza agli ambienti cattolici e per il totale controllo che questa esercitava sul suo consorte, rendendola regnante a tutti gli effetti (“Era lei che faceva tutto, e il re non muoveva paglia senza che lei lo sapesse” disse Pierre de L’Estoile). Alcune voci la ritenevano addirittura responsabile del terribile massacro degli ugonotti durante la notte di San Bartolomeo.

In quegli anni il territorio della penisola italiana era sconvolto dallo scontro fra le signorie, che se ne contendevano il controllo attraverso intrighi di corte, matrimoni politici o sanguinosissime guerre civili.

Tutti questi fattori, uniti al fraintendimento delle teorie contenute ne il Principe e alla grande attenzione che si concentro sui testi di Pietro Aretino (ritenuti scandalosi per la mentalità cristiana), fecero sì che il luogo comune del malvagio machiavellico s’identificasse con la generica figura dell’italiano di quel periodo, ritenuto lascivo e malizioso.

Queste considerazioni sono riassunte nella lettera “Warning against Italy”di Roger Ascham, nella quale l’autore mette in guardia i suoi concittadini dall’influsso negativo della società italiana, dominata dalla promiscuità e dal peccato.“And yet I saw in that little time, in one city, more liberty to sin than ever I heard tell of in our noble city of London in nine days”/ “E ho visto in quel poco tempo, in una sola città, più libertà di peccare di quanto abbia mai sentito parlare nella nostra nobile Londra in nove anni”.

Tale fascino violento e sanguinario dell’Italia portò molti scrittori ad ambientare i loro drammi proprio nella nostra penisola, come avviene per Shakespeare, massimo esponente del teatro elisabettiano, insieme a Marlowe.

A ciò si aggiunga che la base di tale teatro era costituita dalle opere di Seneca, in cui è onnipresente la figura del tiranno sanguinario e crudele, che si accordava perfettamente all’idea che gli elisabettiani avevano della politica machiavellica.

Lo spirito machiavellico dell’inganno e della frode è osservabile, fra le opere shakespeariane, in particolare nell’Otello, con il personaggio di Iago.

Come afferma Benedetto Croce “Jago non è il male commesso per un sogno di grandezza, non è il male per l’egoistico soddisfacimento delle proprie voglie, ma il male per il male, compiuto quasi per un bisogno artistico, per attuare il proprio essere e sentirlo potente e denominatore e distruttore anche nella subordinata condizione sociale in cui esso è posto”.

Iago, alfiere del moro Otello, riesce a far uccidere la moglie Desdemona e destituire Cassio grazie a subdoli inganni e stratagemmi (il più celebre dei quali è sicuramente quello del fazzoletto mostrato a Otello quale segno dell’infedeltà della moglie).

Shakespeare utilizza, inoltre, le figure di Machiavelli, del cittadino fiorentino in generale e dell’italiano, in senso dispregiativo in più di una commedia: “Alençon, quel famigerato Machiavelli!” (Enrico VI, Parte I, Atto V, sc. 4), “so aggiungere colori al camaleonte e cambiar forma come Proteo, se ciò giova, e dar lezioni a quell’assassino di Machiavelli” (Enrico VI, Parte III, III, 2), “Quale perfido Italiano dalla lingua avvelenata come la mano, ha prevalso sulla tua troppo facile credulità?” (Cimbelino, Atto III, sc. 3) e in maniera ironica nell’Otello “non ho mai conosciuto un fiorentino più gentile e galantuomo” (Otello, Atto II, sc. 1.)

In una delle opere più celebri di Christopher Marlowe si legge: “Machevill: And weigh not men, and therefore not men’s words. Admired I am of those that hate me most: Though some speak openly against my books, Yet will they read me, and thereby attain To Peter’s chair; and when they cast me off Are poisoned by my climbing followers. I count religion but a childish toy, And hold there is no sin but ignorance”/ “Machiavelli: Non faccio conto degli uomini e quindi nemmeno delle loro parole. Ammiro quelli che mi odiano di più: anche se alcuni parlano apertamente contro i miei testi, anche loro mi leggeranno e raggiungeranno il trono di Pietro; e quando mi mettono al bando vengono avvelenati dai miei ambiziosi seguaci. Considero la religione nient’altro che un giocattolo per bambini. E ritengo non ci sia alcun peccato se non l’ignoranza”.

Come si vede chiaramente, le parole pronunciate dal personaggio di Machevill - Machiavelli - nel Prologo non sono altro che una quanto mai sgradevole estremizzazione di quel luogo comune nato attorno all’operato dello storico fiorentino, che, dagli inglesi che lo compresero al di là dei pregiudizi, come Bacone e Gabriel Harvey, lo difesero dal diffuso travisamento delle sue teorie.

Scrive Bacone, infatti: “noi dobbiamo essere grati a Machiavelli e agli scrittori come lui, che scrivono ciò che gli uomini fanno, e non ciò che dovrebbero fare.”

 

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