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Il monoteismo sotto accusa

Una diatriba di notevole interesse si è accesa sulle pagine dell’inserto domenicale “colto” del Corriere, La Lettura in edicola questa settimana.

La questione del contendere è esplicita già dal titolo: “Processo al monoteismo”.

Come in ogni processo giuridicamente sensato anche qui c’è un accusatore, nei panni dello storico dell’antichità Luciano Canfora e un difensore impersonato dalla filosofa romana Donatella Di Cesare.

L’articolo scorre in realtà su due livelli: uno palese - valutare se il monoteismo in sé è portatore di violenza e intolleranza oppure se è un processo evolutivo della storia umana - e uno, latente, che si incardina sull’accusa (o la difesa) dell’ebraismo considerato, come da opinione diffusa urbi et orbi, il vero “inventore” del monoteismo.

L’accusa di Canfora si svolge, come da prassi, insistendo sull’intolleranza monoteistica anche se - con accademica eleganza - riconosce che né la violenza né l’intolleranza sono state nella storia un’esclusiva del monoteismo; ad esempio, cita la condanna che gli ateniesi imposero a Socrate accusato di «non credere agli dèi della città».

Basterebbe pensare alla violenta e cruenta espansione dell’Impero Romano, aggiungerei, o all’intolleranza induista all’interno (le caste) o all’esterno (i rapporti con i musulmani) della propria cultura. O, ancora, ricordare un passo in cui Tucidide racconta la motivazione con cui gli Ateniesi - di nuovo loro! - si rivolsero ai Melii che non volevano essere sottomessi: «Quello che facciamo, quello che pretendiamo, non si pone affatto fuori dalla concezione che gli uomini hanno del mondo divino né della reciproca loro disposizione. Non solo tra gli uomini, come è noto, ma, per quanto se ne sa anche tra gli dèi, un necessario e naturale impulso spinge a dominare su colui che puoi sopraffare».

Alla faccia della “tolleranza” politeistica.

Ma Canfora ci ricorda giustamente che dove c’è «il libro “unico” e “unico detentore della verità“» non può esistere quel proliferare di reinterpretazioni dei miti tipici della tradizione greca, ma si determina casomai il proliferare delle accuse di eresia; con tutto quello che ne consegue.

Alla fine però - e qui ci si avvicina decisamente a un interesse più moderno, che può riguardare da vicino anche un ateo razionalista - il punto è che il monoteismo si veste anche della «evoluzione in senso deistico, cioè di venerazione di una astratta entità divina (to theion) che connota il politeismo pagano (...) per influsso del pensiero filosofico».

Un’astratta entità divina che, quindi, può riguardare da vicino anche la cultura nominalmente politeista greco-romana o il razionalismo non religioso: dobbiamo ricordare la Dea Ragione su cui si fonda la modernità dell’Occidente illuminista? Tanto più - ci ricorda Canfora - che «questo fenomeno sincretistico, di depurazione delle rigidità teologiche, è inarrestabile» in un’epoca in cui l’ecumenismo non è che «deismo inconfessato».

Attorno alla “astratta entità divina” si troverebbero alla fine tutti d’accordo. La negatività, violenta e intollerante, monoteistica sarebbe quindi un retaggio del passato, più che l’essenza del presente; un retaggio che risuona ancora in un islam che «rispecchia, nel suo sviluppo storico, una fase che corrisponde a quella del cristianesimo nei secoli XVI e XVII il cui simbolo è la notte di San Bartolomeo». La strage degli Ugonotti.

Dal banco della difesa si erge a contraltare la filosofa Di Cesare che ricorda la drastica accusa di Michael Onfray (noto per il suo Trattato di ateologia, edito in Italia da Fazi) non solo al monoteismo, ma anche a chi l’ha inventato: “gli ebrei”.

Necessariamente più articolata la chiamata sul banco degli imputati di un altro studioso delle religioni, l’egittologo tedesco Jan Assman che ha introdotto nelle riflessioni sul monoteismo il concetto di “distinzione mosaica”. Vale a dire quella particolarità della religione di Mosè per la quale il Dio vero sarebbe quello di Israele mentre gli altri dèi sarebbero “falsi”. Non inesistenti, sarebbe davvero problematico dirlo, ma falsi.

E questa “distinzione”, che nega verità agli dèi degli altri, sarebbe il fondamento reale del monoteismo biblico e la sua originalità. Peccato che proprio Assman abbia recentemente dato alle stampe il suo ultimo libro (Il disagio dei monoteismi, recensito da Maurizio Bettini su La Repubblica), in cui si dice che la “distinzione” tra dio vero e dèi falsi nei testi mosaici della Bibbia ebraica, ebbene non c’è. Casomai c’è verso gli israeliti un pressante invito di fedeltà, quantomai ovvio, al Dio di Israele (da qui la “gelosia” dello stesso).

Smontata l’origine biblica del monoteismo (che Assman ora rimanda a un’influenza dello zoroastrismo persiano), la domanda a questo punto diventa: perché il monoteismo è considerato, dai suoi difensori d’ufficio un passaggio evolutivo nella storia umana?

Di Cesare ha la sua risposta: «per uscire dal mondo» in cui i pagani politeisti erano confinati, rimbalzando “da una stella che è una dea a un fiume che è un dio”. L’immanenza degli dèi del politeismo - spiriti che vivono in mezzo agli uomini, intervenendo nei loro affari per favorire, consigliare, suggerire, imporre, ostacolare o semplicemente per rompere le scatole sic et simpliciter - chiude gli uomini in un mondo “senza vie d’uscita”.

Il Dio unico di «Israele de-sacralizza il mondo - scrive la filosofa - toglie la magia, rompe con l’idolatria (...) Perciò l’ebraismo potrebbe persino assomigliare all’ateismo. E corre questo rischio. Perché il monoteismo ebraico richiede di rapportarsi all’infinitamente Altro a partire dalla separazione». L'uomo sta qui, Dio sta là, in un trascendente "fuori dal mondo".

Qui il senso “evolutivo” del monoteismo ebraico.

Ma poi cala il punto pesante: «Secondo un’etimologia antica Israel vuol dire “che Dio regni” e può essere tradotto in greco con teocrazia, potere di Dio. In questa forma politica “nessuno è asservito a un suo uguale”». La teocrazia sarebbe condizione essenziale della democrazia, proprio perché «nell’esperienza della liberazione dalla schiavitù, nella uguaglianza di tutti, che esclude ogni dominio se non quello dell’assolutamente Altro, emerge per la prima volta la democrazia».

Peccato che l’Altro sia, per Di Cesare, l’Assenza, quel niente che, pare, fosse la realtà interna del Tempio di Gerusalemme quando i Romani vi entrarono per saccheggiarlo, senza trovarvi alcunché.

Conseguentemente, la democrazia non sarebbe altro che l’assoggettamento - di tutti... democraticamente - all’Altro che è Assente, al supremo Nulla. Tema caro alla Di Cesare, capace di denunciare per palese nazismo e antisemitismo il nume moderno del Nulla, Martin Heidegger, ma anche di descriverne la filosofia come «il pensiero più elevato prestato all’orrore più abissale». Sic.

E peccato anche che l’etimologia di Israel sia tuttora ben più controversa di quanto da lei affermato; secondo l’Online Etymology Dictionary significa “colui che si è confrontato con Dio”, ma secondo Giovanni Semerano, che di etimologia se ne intendeva, vale invece un più plausibile “giusto è El”. Affermazione che non indica affatto un supino assoggettamento all’assoluto, ma l’affermazione scontata che l’Elohim di Israele era considerato “giusto” da Israele stesso. Sarebbe stato strano il contrario, direi.

E qui entra in ballo un’altra considerazione che ci deriva da un biblista di calibro eccezionale (e per questo relegato dal potere ecclesiastico nel mondo dei reietti, dove peraltro si può stare lontani dai deliri di quello stesso potere). Parlo di quel Carlo Enzo che, sempre sulle pagine di Repubblica, ebbe a dire «Che cos'è l’Elohim della Torah se non il popolo stesso che si è dato la sua costituzione, le sue leggi, i suoi imperativi morali?».

Parla dunque di “spirito del popolo” non di Dio; «”Ma questo, chiede l’intervistatore, non significa limitarne l'assoluto? L' obiezione - risponde il biblista - avrebbe senso se traducessimo "Elohim" con "Theos", giacché Theos è l'assoluto. Ma l’Elohim non è l’assoluto».

Il bello è che anche Assman, in un saggio del 2006, Gewalt, Gesetz und Monotheismus (Violenza, Legge e Monoteismo), qui in traduzione italiana “ufficiosa”, si chiedeva «Dove sta scritto che sul monte Sinai assistiamo alla fondazione di una ‘religione’? (...) il concetto di «rivelazione» in rapporto all’evento sinaitico appare inadeguato e in ogni caso non biblico. La Torah non viene ‘rivelata’, bensì “data”. A essere ‘rivelata’ è una verità nascosta, non una legge. Una legge viene decretata, promulgata, dichiarata vigente, insomma viene ‘data’ come dice la lettera dell’espressione ebraica».

Con la Torah si forma una legge, una Costituzione, uno stato di diritto se vogliamo, non una religione, né tantomeno una religione monoteistica assoggettata a un Nulla. Il “dio” della Bibbia ebraica non è un Dio (Theos) assoluto; discutibile quindi l’uso di termini come teo-crazia, teo-logia o mono-teismo, come - contraddicendo se stesso - continua a fare Assman. E come hanno fatto Onfray, Di Cesare e tanti altri prima di loro parlando di “monoteismo biblico”. Con buona pace di tutte le teo-logie (ebraiche, cristiane o musulmane che siano).

La democrazia biblica si fonda sulla sua etica: rifiuta i sacrifici umani e chiede di amare il prossimo come se stessi (Levitico, 19, 18); cioè di riconoscere agli altri la stessa dignità umana che si afferma per sé. E invita a considerare come "prossimo da amare" anche lo straniero che vive in pace in mezzo al proprio popolo (Levitico, 19, 34). Ragion per cui c’è una sola legge, per l’ebreo e il non ebreo (Esodo 12, 49). Né suprematismo etnico né discriminazione giuridica né privilegi di casta: il portato di un popolo che, scrive Enzo, cerca di "farsi moralmente alto".

Passi della Torah che ogni tanto andrebbero ricordati, anche ad alcuni ebrei.

Poi, chiarito tutto ciò, si potrà andare alla ricerca delle vere origini del monoteismo che è la religione dell’Assoluto, là dove l’umanità si è davvero assoggettata al Nulla e in cui l’umano Elohim “spirito del popolo” è stato infine sostituito dal Dio della teologia e dal deismo della filosofia fino al moderno Volksgeist su cui si è poi articolato il suprematismo nazista con il suo portato di agghiaccianti devastazioni.

 

Immagine da Segnalazioni

 

Commenti all'articolo

  • Di flaccido (---.---.---.165) 5 aprile 2016 16:49

    ma quale monoteismo? i monoteismi sono solo delle facciate il cristianesimo ha i santi l’islam ha i profeti ed è plausibile che l’ebraismo abbia qualcosa di simile visto che, se non ricordo male, per l’ebraismo dio è così astratto da essere totalmente impersonale

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