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Il lavoro uccide

Una volta il mondo lavorativo era il naturale approdo dell’uomo e della donna adulti. Oggi il lavoro è un miraggio e il più delle volte non è scelto. È solo un modo per cercare di sopravvivere e sperare che arrivi qualcosa di meglio. Così i malati a causa del lavoro, e non solo per lo stress, crescono. Più di 4 milioni di italiani sono vittime di disturbi psicologici-psichiatrici associabili all’attività lavorativa.

Il lavoro uccide

I dati sono stati illustrati martedì dall’Istituto per la prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (Ispesl) in occasione della XI Giornata nazionale di informazione sulla promozione della salute nei luoghi di lavoro.

Lavorare, oggi, uccide, lentamente. E gli effetti devastanti non sono solo per chi è disoccupato o è precario. Perché tra i problemi psicologici c’è chi non fa carriera, chi si ritiene vittima di soprusi da parte del capo, chi si sente vittima di mobbing da parte dei colleghi o chi è costretto a svolgere mansioni che nulla hanno a che vedere con le proprie capacità e titoli.

Altro problema a incidere sulla malattia da lavoro è anche l’identità di genere. Perché le donne, con il 5,4%, mostrano una maggiore esposizione degli uomini (4,1%) a fenomeni di prepotenza e discriminazione.

L’obiettivo di questa giornata nazionale di informazione è stato promuovere la salute proprio in ambito lavorativo. Troppo spesso si tralascia questo problema dimenticando che è proprio una buona salute mentale il presupposto indispensabile per il miglioramento delle prestazioni lavorative. Non parliamo, infatti, di una manciata di persone che non si adeguano ai canoni del mondo moderno. Secondo le ultime indagini 10 milioni di lavoratori percepiscono un fattore di rischio per la propria salute, di questi 8 milioni e 706 mila rilevano fattori di rischio per la salute fisica, e ben 4 milioni e 58 mila ritengono di essere esposti a rischi per l’equilibrio psicologico.

E sarebbero quasi 3 milioni le persone che vedono il lavoro come la causa dei propri problemi di salute.

I dati spiegherebbero quindi perché, in tutta Europa, l’assenteismo stia diventando sempre più frequente con una conseguenza, in termini economici, che va oltre i 20 miliardi di euro. 

Sergio Iavicoli, direttore del dipartimento di medicina del lavoro dell’Ispesl definisce questo nuovo fenomeno come “un’emergenza sociale”. “Basti pensare che una persona su quattro attraversa, almeno una volta nella vita, un episodio di depressione importante, che richiederebbe l’intervento del medico”.

Colpa di un ritmo giornaliero, nella società con i turni di 24 ore, che non permette di avere una vita al di fuori del lavoro.

“Il lavoro nobilita l’uomo e lo rende libero” si diceva una volta. Oggi il lavoro serve solo a sopravvivere. Anzi, visti i danni che provoca in termini di salute fisica e mentale a breve non servirà nemmeno più a quello. Perché provoca danni alla salute anche a chi è disoccupato ed è costretto ad affrontare ogni giorno ansia, fobie, attacchi di panico fino ad accettare, sfinito, qualsiasi cosa abbia davanti, senza considerare la retribuzione o il tipo di contratto. Perché l’unico obiettivo diventa entrare nella categoria dei “lavoratori”.

Se l’Italia e l’Europa intendono lasciare un futuro, non necessariamente migliore, alle generazioni “giovani” devono però correre ai ripari in fretta, perché il lavoro sta distruggendo un’intera generazione.

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