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Il giogo d’azzardo

Sono le restrizioni morali, le paure sociali, i tabù religiosi e, soprattutto, i mutui fondiari prima casa a tenere coesa questa società, così come la conosciamo, dalla rivoluzione industriale ai giorni nostri.

Già sottili prerogative, strumenti delle classi sociali superiori per esercitare il controllo su quelle inferiori, questi affilati congegni di prevenzione sulla comunità attraversano la strada a fari spenti. Pipistrelli che giostrano per restare appesi di giorno come salami sopra le teste di gente stordita dai fatti che cambinano la vita. C’è chi, più cosciente, sa di essere un privilegiato per avere avuto la possibilità e la capacità di accettare queste limitazioni. Un confine indecifrabile. Il potenziale paranoico convive da sempre con il pensiero ragionevole a tenere sotto controllo le fissazioni. Afferrare il senso di cose sconosciute che si impadroniscono subdolamente della mente. 

Non stiamo indietro di trent'anni a nessuno. Se si affermasse il contrario, non sarebbe altro che una ignobile giustificazione, una scusa irragionevolmente plausibile. Non sguazziamo nei meandri oscuri di un ritardo sociale. Con in mano gli stessi strumenti di uno scandinavo, coevi di popolazioni civilmente molto avanzate, noi italiani, che per opinione comune, quasi per titolo genetico, siamo sempre migliori degli altri, navighiamo a vista. Affidarsi alla luna per il vino per contarla dopo a quarti e a mezze nelle gravidanze, anziché consultare un enologo piuttosto che il ginecologo, è una virtù tipicamente diffusa nel nostro bel paese. Nelle questioni di testa, l'abbassiamo come i tori sulla muleta.

Agiamo di pancia che è uno spasso col mandolino, ma poi, presi dalla disperazione più nera, ci affidiamo ineluttabilmente alle incertezze del culo. “Vengo dal bancomat, ho solo un pezzo da venti... Niente spiccioli per il giornale. Fai una cosa, col resto dammi un Win for life da 10 euro e un 7 e ½ da 5!”. Quarantamila lire di una volta buttate al vento, neanche fosse parmigiano quella porporina stregata grattata con l'ultima monetina e un'unghia mangiata male.

Il gioco d'azzardo è stato una fonte di intrattenimento popolare per molti secoli, attraversando molte culture. La sua psicologia può essere meglio compresa se si prendono in esame le due posizioni estreme per quanto riguarda l'approccio dello scommettitore. Da una parte, ci sono coloro che percepiscono il tutto come una febbre, una peste bubbonica e, d'altro canto, quelli che si sentono assai coinvolti e parte integrante di un grande affare economico, che non richiede interpretazione o moderazione. Trovare un punto d'intersezione tra questi due lati, se si tratta di un atteggiamento equilibrato o meno, è stato il compito di molti governi nei paesi dove è tollerata ogni sorta di scommessa.

Il gioco è bello quando è responsabile. Si sa che il giocatore d'azzardo sopravvaluta le proprie possibilità di vincere. Credenze erronee circa abilità particolari, compresi gli effetti del quasi preso e delle voci di dentro, che dovrebbero renderlo vincente. Spesso, le caratteristiche delle giocate sono studiate per promuovere una mirata illusione di controllo della situazione. Sublimare un messaggio positivo, instillare la convinzione che si può esercitare abilità su un risultato definito dal caso.

La scelta personale è un fattore determinante a far sì che si creda di avere responsabilità precise nell'organizzazione del rischio. Queste percezioni distorte della possibilità di vittoria, alla fine precipitano il giocatore nello sforzo inutile per tentare di recuperare i debiti accumulati, prima di varcare la soglia dell'usuraio e ritrovarsi ad arare campi a mezzadria, stretti al giogo, come il pio bove in una tela di Ligabue.
 

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