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Il curioso caso di Benjamin Gump

«La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai cosa c’è in serbo per te». Uhm.. c’è qualcosa che non va. Chi non ricorda Tom Hanks/Forrest Gump, seduto sulla panchina ad aspettare il bus, mentre offre storie e cioccolatini a chi si siede accanto a lui? Storie, cioccolatini e perle di saggezza: «La vita è come una scatola di cioccolatini – diceva sempre sua madre – Non sai mai quello che ti capita! Ecco, qual era, la citazione giusta!

Era l’inverno del ’95, Forrest Gump di Robert Zemeckis, campione d’incassi stagionale, aspettava la notte degli Oscar forte di ben 13 nomination (gli Oscar poi vinti, tra cui quelli principali, saranno 6).
 
Inverno 2009, la situazione è pressoché la stessa mentre Il curioso caso di Benjamin Button invade le sale di tutto il mondo. Il battage promozionale non è meno imponente, il cast è forse ancora più stellare (Brad Pitt e Cate Blanchett, i protagonisti), gli effetti speciali lasciano a bocca aperta (il regista è David Fincher, famoso per Alien 3, Se7en, Fight club e i video musicali). L’unica cosa che manca, in questo caso, è... il film. Il soggetto è tratto da un racconto breve di Francis Scott Fitzgerald del 1922, a sua volta ispirato da una celebre frase di Mark Twain: «La vita sarebbe infinitamente più felice se nascessimo a ottant’anni e ci avvicinassimo gradualmente ai diciotto». Sarà davvero così? Per il laborioso adattamento i produttori si sono rivolti – guarda caso – a Eric Roth, lo sceneggiatore che aveva già curato l’adattamento dello script di Forrest Gump, a partire dall’omonimo romanzo di Winston Groom del 1986.

Niente “scatola di cioccolatini” per Benjamin, «Non sai mai cosa c’è in serbo per te», si limita a ripetergli in continuazione sua madre (che è nera, stavolta. Il politically correct dell’era Bush jr è stato fautore di grande tolleranza, a Hollywood. Addirittura, nel 2002, hanno vinto l’oscar come protagonisti due attori afroamericani, Denzel Washington e Halle Berry. Chissà che a questo giro Taraji P. Henson, nelle vesti di tutrice di Benjamin, non possa fare meglio della Signora Gump (Sally Field), che nel ’95 ottenne solo la nomination). E non si fatica certo a crederle: infatti il piccolo Button viene al mondo come baby-novantenne, affetto da artrite, cataratta, sordità. Ironia forse non involontaria, è circondato dagli anziani della casa di riposo dove lavora sua madre, e avrà la sventura di veder spegnersi, uno dopo l’altro, i suoi stagionati “compagni di giochi”. Va però detto che la prima parte del film, nel complesso, è quella che funziona di più. La New Orleans anni ’20 ridisegnata in tonalità seppia al computer, non è eccessivamente oleografica; l’alchimia tra i personaggi è ben assortita; soprattutto, la versione senile di Brad Pitt, sagoma gracile, ricurva su se stessa, ma sempre con i famosi occhi blu, suscita nello spettatore affetto e curiosità, facendo sorgere la “logica” domanda: Cosa ne sarà di lui quando diventerà giovane?!

A questo punto i tempi sono “maturi” perché faccia la sua comparsa la controparte femminile: una serie di versioni proto-adolescenziali di Cate Blanchett si susseguono, finché la coppia non ha modo di congiungersi, per una stagione breve e intensa, quando le rispettive età si congiungono, abbiamo finalmente modo di ammirare i due attori principali al naturale. Qui gli equilibri cominciano a scricchiolare. Prima di tutto Brad Pitt è troppo spudoratamente bello (non che sia una novità per il Signor Jolie, ma vederlo trasformato da simpatico vecchietto in aitante motociclista, Ray-Ban e ciuffo biondo al vento, che sfreccia sulle strade degli ottimisti anni ’50 come un novello James Dean, forse, è un po’ troppo), e se il pubblico femminile non dovrebbe dolersene più di tanto, l’algida ed emancipata Cate Blanchett, prima ballerina classica americana ad essere invitata al Bolshoi, sembra esserne sempre un poco infastidita, o comunque, non del tutto a suo agio. Del resto, come darle torto, considerando la situazione? Come non provare un brivido lungo la schiena, quando i due prescelti dal destino si chiedono: «Mi amerai ancora quando sarò vecchia?», e lui risponde: «E tu mi amerai ancora quando avrò l’acne?» (Sic!).


Quanta differenza con l’amore eterno e impossibile tra Forrest Gump e la sua Jenny! Allora, le platee di mezzo mondo si commossero e parteciparono, alle sorti del travagliato rapporto fra il ritardato mentale Forrest, ultimo epigono dell’American dream, e la dolce Jenny, che sognava d’essere Joan Baez, ma si ritrovava a suonare in un locale per adulti, vestita solo della sua chitarra. Quant’è più difficile l’amore se il Tempo s’inverte! Cosa ricorda Cate Blanchett, mentre su un letto d’ospedale, ormai invecchiata quanto Benjamin neonato, si fa leggere dalla figlia (Julia Ormond) il diario di lui e rivive a ritroso la sua incredibile storia? (Siamo a al tempo presente, New Orleans è sferzata da un uragano, come non pensare a Katrina, la scarsa tempestività nei soccorsi di Bush jr, gli sfollati in cerca di rifugio per le strade? Erano tutti afroamericani. Probabilmente tra loro non c’erano né Denzel Washington né Halle Berry).

Questa prolungata sequenza d’agnizione madre/figlia (quell’amore seppe lasciare in eredità un’altra vita?), fa da cornice al film e intervalla le diverse età di Benjamin. Non è certo nuovo come espediente narrativo, pure Forrest Gump raccontava per flashback (dalla sua celebre panchina in attesa del bus), le peripezie che l’avevano portato ad essere, da bambino sfortunato e deriso, un eroe nazionale ricco e celebrato, capace d’incarnare in una luce nuova cinquant’anni di storia a stelle e strisce. Un parallelo meta-storico analogo, seppure ancor più dilatato nel tempo (dall’ultimo giorno della Prima Guerra mondiale ai giorni nostri, per un totale filmico di 166 minuti), è quello vissuto da Benjamin Button. Se Forrest si liberava ballando dalle stampelle, mentre guardava Elvis alla televisione, sono i Beatles all’Ed Sullivan Show, a fare da colonna sonora alla dolce vita anni ’60 di Brad e Cate.

Se Forrest cominciava la sua fortuna economica sul peschereccio per gamberi col tenente Dan (Gary Sinise), Benjamin lascerà il grembo vetero-domestico per scoprire il mondo a bordo di una nave mercantile. Se il soldato Gump scopriva in Vietnam che l’uomo talora può essere aggressivo, il massacro dalla seconda guerra mondiale produrrà una lieve incrinatura del sopracciglio del soldato Button. Già, perché il candidato all’oscar Brad Pitt, per tutte le quasi tre ore del film, non saprà mai modificare l’espressione immobile di stupore attonito, di fronte al mondo che va a rovescio. 

Che si stesse chiedendo anche lui, mentre la pellicola scorreva: non sarà mica stato tutto soltanto un sogno?
 
Il curioso caso di Benjamin Button esce in Italia il 13 febbraio, giusto in tempo per San Valentino. Cinefili innamorati, sbrigatevi: il tempo stringe..

Commenti all'articolo

  • Di Martina (---.---.---.180) 13 febbraio 2009 17:43

    grazie Luca e’ sempre un piacere leggerti!

  • Di beps (---.---.---.130) 13 febbraio 2009 17:45

    Ho letto da qualche parte che tutto il film hai la sensazione che swtia per accadere qualcosa di piu movimentato, ma in realta poi nn accade niente e puoi farti anche una gran dormita!!e’ vero??
    lo vedro a breve. Cmq bell’articolo bravo.

    • Di Luca Mirarchi (---.---.---.42) 13 febbraio 2009 20:19

      Merci Beppus,
      in effetti una dormita ci può scappare... diciamo che l’evoluzione del rapporto sentimentale non presenta colpi di scena eccessivamente travolgenti. Io comunque l’ho visto in francese, non ho capito proprio tutto... però in quasi 3 ore ho fatto molto esercizio d’ascoltosmiley

  • Di Linda (---.---.---.221) 13 febbraio 2009 22:23

    Ma se me lo descrivi come una mezza delusione come speri che vada a vederlo? Non sarebbe come tradire la tua fiducia nella mia vivacissima intelligenza? :P
    E in ogni caso...
    I’ll be alone for this Valentine’s day...

  • Di andrea (---.---.---.171) 14 febbraio 2009 12:26

    Eh, potevi essere pure un pò più cattivello nel giudizio! io l’ho visto all’anteprima la settimana scorsa, e quando ho scoperto (dopo) che era candidato a xx oscar sono rimasto un pò "minchiasiamomessimaluccioahollywood". La prima parte, come dici, è interessante, intrigante, esteticamente e cerebralmente, poi quando Pitt diventa giovane la sceneggiatura si sfilaccia, perde coerenza, si lascia andare adagiandosi sulla bellezza dei protagonista e abbandonando ogni velleità di esplorare le implicazioni "filosofiche" dell’essere maturo pur se giovane nell’aspetto (anzi, si comporta esattamente come si comporterebbe un ragazzino!).
    Secondo me un’occasione sprecata, e nel complesso un film vedibile ma deludente.

  • Di kiara (---.---.---.120) 14 febbraio 2009 12:45

    Ciao Luca, mi complimento per l’articolo. Veramente ben scritto.
    a presto 

  • Di JmArX (---.---.---.135) 15 febbraio 2009 10:52

    un bel pezzo. Personalmente trovo i due film piuttosto diversi, soprattutto perchè se Forrest ... Visualizza altroè il film della riscossa, questo è il film dell’arresa. All’inizio, infatti, anche a me parve assimilabile il paragone.
    Poi trovo che in Forrest ci sia una dolce ironia che in Benjamin è invece pienamente sostituita da una poetica di fondo molto romanzesca, che azzerderei anche influenzata dalla tradizione Francese,quando la vertiginosa costante attenzione ai particolari, apparentemente accessori, li trasforma in elementi invece essenziali dei punti di rottura.

    • Di Luca Mirarchi (---.---.---.42) 15 febbraio 2009 13:08

      Grazie JmArX,
      io ho trovato diverse similitudini tra i due film da un punto di vista strutturale: analogia nell’abilità tecnica dei registi e padronanza della computer graphica; campagna promozionale e stesso numero di nomination agli oscar; lunga durata; ampia visuale su parte del secolo americano, perlopiù riproducendo scenari da cartolina; un protagonista sui generis, in entrambi i casi, manifestamente "diverso"; la storia d’amore poi non la conto, fa parte quasi di ogni plot; in particolare comunque si nota la stessa matrice di sceneggiatura nella figura del tenente Dan in Forrest Gump e del Capitano per Benjamin: 2 caratteri speculari, due persone "normali" ferite dal mondo, che si aprono col "diverso" e lo aiutano perché non li giudica; racconto in flashback. E poi scontato che qualsiasi produttore sogna di replicare un successo come quello di Forrest Gump.
      Da un punto di vista del messaggio o della riflessione che si può trarre dal film non ti so dire: per me, in questo caso, l’illusione di realtà non è andata oltre i primi 45 minuti. Dopo, ho visto soprattutto il replicarsi di quello che era più scontato aspettarsi date le premesse iniziali, e avrei preferito che la cosa si risolvesse in meno tempo. In ogni caso non è il peggiore tra i film americani dell’ultima stagione (selon moi)
      Saluti!

  • Di Sally Quite (---.---.---.170) 15 febbraio 2009 20:36

    Ciao Luca,
    finalmente commento un tuo articolo!
    Ho prorpio intenzione di vedere questo curioso film con Brad Pitt poichè tutti ne parlano e ne voglio parlare anche io.....!!!
    Però letto il tuo articolo...
    Vale i 4 euro del lunedì al cineworld oppure mi faccio aiutare dal mio fedele "asinello"?
    ;p
    Saluti dalla Sardegna!

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