Il curioso caso di Benjamin Gump

Era l’inverno del ’95, Forrest Gump di Robert Zemeckis, campione d’incassi stagionale, aspettava la notte degli Oscar forte di ben 13 nomination (gli Oscar poi vinti, tra cui quelli principali, saranno 6).
Niente “scatola di cioccolatini” per Benjamin, «Non sai mai cosa c’è in serbo per te», si limita a ripetergli in continuazione sua madre (che è nera, stavolta. Il politically correct dell’era Bush jr è stato fautore di grande tolleranza, a Hollywood. Addirittura, nel 2002, hanno vinto l’oscar come protagonisti due attori afroamericani, Denzel Washington e Halle Berry. Chissà che a questo giro Taraji P. Henson, nelle vesti di tutrice di Benjamin, non possa fare meglio della Signora Gump (Sally Field), che nel ’95 ottenne solo la nomination). E non si fatica certo a crederle: infatti il piccolo Button viene al mondo come baby-novantenne, affetto da artrite, cataratta, sordità. Ironia forse non involontaria, è circondato dagli anziani della casa di riposo dove lavora sua madre, e avrà la sventura di veder spegnersi, uno dopo l’altro, i suoi stagionati “compagni di giochi”. Va però detto che la prima parte del film, nel complesso, è quella che funziona di più. La New Orleans anni ’20 ridisegnata in tonalità seppia al computer, non è eccessivamente oleografica; l’alchimia tra i personaggi è ben assortita; soprattutto, la versione senile di Brad Pitt, sagoma gracile, ricurva su se stessa, ma sempre con i famosi occhi blu, suscita nello spettatore affetto e curiosità, facendo sorgere la “logica” domanda: Cosa ne sarà di lui quando diventerà giovane?!
Quanta differenza con l’amore eterno e impossibile tra Forrest Gump e la sua Jenny! Allora, le platee di mezzo mondo si commossero e parteciparono, alle sorti del travagliato rapporto fra il ritardato mentale Forrest, ultimo epigono dell’American dream, e la dolce Jenny, che sognava d’essere Joan Baez, ma si ritrovava a suonare in un locale per adulti, vestita solo della sua chitarra. Quant’è più difficile l’amore se il Tempo s’inverte! Cosa ricorda Cate Blanchett, mentre su un letto d’ospedale, ormai invecchiata quanto Benjamin neonato, si fa leggere dalla figlia (Julia Ormond) il diario di lui e rivive a ritroso la sua incredibile storia? (Siamo a al tempo presente, New Orleans è sferzata da un uragano, come non pensare a Katrina, la scarsa tempestività nei soccorsi di Bush jr, gli sfollati in cerca di rifugio per le strade? Erano tutti afroamericani. Probabilmente tra loro non c’erano né Denzel Washington né Halle Berry).
Questa prolungata sequenza d’agnizione madre/figlia (quell’amore seppe lasciare in eredità un’altra vita?), fa da cornice al film e intervalla le diverse età di Benjamin. Non è certo nuovo come espediente narrativo, pure Forrest Gump raccontava per flashback (dalla sua celebre panchina in attesa del bus), le peripezie che l’avevano portato ad essere, da bambino sfortunato e deriso, un eroe nazionale ricco e celebrato, capace d’incarnare in una luce nuova cinquant’anni di storia a stelle e strisce. Un parallelo meta-storico analogo, seppure ancor più dilatato nel tempo (dall’ultimo giorno della Prima Guerra mondiale ai giorni nostri, per un totale filmico di 166 minuti), è quello vissuto da Benjamin Button. Se Forrest si liberava ballando dalle stampelle, mentre guardava Elvis alla televisione, sono i Beatles all’Ed Sullivan Show, a fare da colonna sonora alla dolce vita anni ’60 di Brad e Cate.
Se Forrest cominciava la sua fortuna economica sul peschereccio per gamberi col tenente Dan (Gary Sinise), Benjamin lascerà il grembo vetero-domestico per scoprire il mondo a bordo di una nave mercantile. Se il soldato Gump scopriva in Vietnam che l’uomo talora può essere aggressivo, il massacro dalla seconda guerra mondiale produrrà una lieve incrinatura del sopracciglio del soldato Button. Già, perché il candidato all’oscar Brad Pitt, per tutte le quasi tre ore del film, non saprà mai modificare l’espressione immobile di stupore attonito, di fronte al mondo che va a rovescio.
Che si stesse chiedendo anche lui, mentre la pellicola scorreva: non sarà mica stato tutto soltanto un sogno?
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