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Roger Federer vince il Roland Garros: sesto tra cotanto tennis

Dopo la vittoria al Roland Garros nella finale con Soderling, Roger Federer è entrato a far parte del ristretto club composto da Perry, Budge, Laver e Agassi, gli unici tennisti del passato che sono stati capaci di trionfare in tutti e quattro i tornei del Grande Slam (Australian Open, Roland Garros, Wimbledon, US Open). Per Federer si tratta dello Slam n. 14, record assoluto che ora condivide con Pete Sampras (l’americano però, non riuscì ad andare oltre la semifinale sulla terra rossa di Parigi).

Per quelli che non avessero mai visto giocare Federer, può risultare utile qualche esempio extratennistico. Chiudete gli occhi e immaginate di ascoltare i Berliner diretti da Abbado che eseguono la Quinta di Mahler; provate a pensare a certe punizioni calciate da Maradona, a Michael Jordan che “cammina” nell’aria o ad un assolo di Nureyev nel Lago dei cigni; oppure tornate indietro con la memoria ad una tiepida notte di mezza estate, o scegliete un altro di quei rari momenti della vita nei quali vi è parso di sfiorare l’idea stessa di perfezione. Perfezione, un sostantivo più vicino al dizionario filosofico che all’umano divenire. Eppure, se c’è uno sportivo che negli anni duemila ha permesso di usare questo termine non a sproposito, si tratta proprio di Roger Federer.

Difficile trovare un suo colpo che prevalga nettamente sugli altri, scegliere fra il servizio non oltremodo potente quanto letale (soprattutto nei momenti chiave delle partite), ed il devastante topspin di dritto, tra il back corto di rovescio per attirare l’avversario a rete prima di passarlo col colpo successivo e la sicura padronanza del gioco di volo. Si potrebbe altrimenti scegliere la coordinazione dei movimenti, la rapidità nel coprire il campo da gioco, il senso della posizione e dell’anticipo, consentiti da un fisico fatto per primeggiare nello sport. Federer è l’eleganza nell’esprimere il talento applicata al tennis, la sua bellezza dinamica si apprezza soltanto nella visione d’insieme di un suo match.



Domenica pomeriggio, dopo aver sconfitto Soderling in meno di due ore col punteggio inequivocabile di 6-1 / 7-6 / 6-4, Federer non ha trattenuto le lacrime. È già successo in passato. Torna in mente la sua commozione in Australia nel 2007, quando a premiarlo fu il grande Rod Laver, e nel gennaio di quest’anno, sempre a Melbourne, il pianto di delusione e rabbia dopo la sconfitta in finale con Nadal. Rafael Nadal, il rivale storico del campione svizzero, era il grande assente della finale di Parigi. Questo non toglie alcun merito al successo di Federer. Altre sfide verranno (forse, già nel prossimo luglio sull’erba di Wimbledon), altre finali da aggiungere all’album della più bella rivalità sportiva di questo decennio.

Domenica pomeriggio Federer ha pianto, finalmente liberato dal tabù Roland Garros, alla quarta finale consecutiva dal 2006. Più tardi probabilmente si sarà sentito svuotato, felice e finalmente sereno: entrare nell’empireo del tennis prima di aver compiuto ventotto anni, battere ogni record in precedenza stabilito, farlo senza mai perdere lo stile e il fair-play – beh – pare succeda solo a chi è stato prescelto dagli dei.

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