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Guccini, gli anni e il ritorno: a Milano presenta “Canzoni da Intorto”

Nuovo album del tutto inatteso dopo dieci anni di silenzio. E il mitico cantautore torna in pubblico per un incontro a Milano in occasione della Music Week: in un mondo digitale e virtuale, riesce ancora straordinariamente a unire persone di ogni età attraverso una comunicazione fisica, emotiva, fatta di gesti e parole, soprattutto di una storia condivisa.

Non sono tanti gli artisti italiani che possono dirsi, e a ragione, un mito di due e più generazioni, senza fatiche mediatiche o apparizioni in tv, senza inseguire gli influencer e senza pubblicare foto su Instagram e video su Tik Tok, ma restando sempre pienamente fedeli a se stessi. Uno di questi è Francesco Guccini. Un Guccini oggi ottantaduenne che può permettersi di scomparire per dieci anni e ritornare inaspettatamente, a novembre 2022, con un disco di cover liberamente ispirato al suo percorso di vita: “Canzoni da Intorto”, a una settimana dall’uscita, è primo in classifica negli LP (eh sì, i 33 giri piacciono di nuovo!) e secondo in assoluto. Così il cantautore, che da anni quasi non si muoveva da Pàvana – la cittadina dell’Appennino modenese dove si è ritirato –, decide addirittura di concedersi, anzi di concedere un firmacopie (termine un po’ commerciale e poco gucciniano con cui sono state ribattezzate, da qualche anno, le presentazioni con l’autore delle nuove uscite). Così nell’ambito della Milano Music Week, ha incontrato il pubblico alla libreria Feltrinelli Duomo, gremita di gente seduta in sala; e molta di più ce n’era in piedi, in attesa, in ascolto. Dall’entusiasmo e dagli applausi sembrava che non fosse trascorso neanche un giorno da quando il Maestro riempiva i palazzetti e le arene con concerti epocali da 10-20mila spettatori adoranti che cantavano alla fine “La Locomotiva” con il pugno alzato. Ancora oggi sono lì: cinquantenni accompagnati dai figli adolescenti, e anche persone che hanno quasi l’età di Francesco: tutti gli pendono dalle labbra con un po’ di nostalgia. Ci sono però anche ragazzi di vent’anni che sicuramente non sono riusciti ad andare neppure a un suo concerto, visto che ha smesso di farne da anni e che comunque hanno ascoltato e amato quella musica, quella voce inconfondibile. La sua popolarità resta immutata.

Sarebbe bello poter dire allora che il tempo si è fermato, che niente è cambiato, e invece purtroppo non è così. “L’età avanza tragicamente e non sono più capace di scrivere canzoni”, dice Francesco, mentre tutti urlano che non è vero. Certo, a Pàvana, nella pace della montagna che condivide con la moglie Raffaella, tutto deve apparirgli più facile, anche essere anziano. In questa visita milanese Guccini appare invece un po’ spaesato, come se arrivasse davvero da molto, molto lontano, e ogni cosa qui ricorda ciò che è stato, a lui e non solo. È una nostalgia dolce, malinconica ma non troppo, in cui il pubblico si lascia avvolgere insieme al maestro. “La tristezza poi ci avvolse come miele, per il tempo scivolato tra noi due. E il sole che calava già, rosseggiava la città già nostra e ora straniera…”. Così a tutti verrebbe voglia di cantare, nel calore soffocante della sala. Ma Guccini ricorda che non è più l’ora per lui di canzoni romantiche come “Incontro” o politiche come “L’avvelenata”. Eppure. Questo disco appare a chi lo ascolta come un vero e proprio miracolo, dal momento che l’autore aveva dichiarato con fermezza, dopo “L’ultima Thule” del 2012, che non avrebbe più cantato né tantomeno fatto un altro album. Mai dire mai. È arrivata così, quasi per una scommessa dei discografici e di Francesco stesso, questa raccolta da “collezionista di canzoni”, come gli piace definirsi. Sono testi popolari ricchi di storia, di leggende, di sentimento, di personaggi al confine tra la realtà e la finzione; sono anche canzoni di impegno e di politica: per forza, non si sfugge al proprio destino. Da “I morti di Reggio Emilia” all’anarchica “Addio a Lugano”, sono queste le arie che Guccini cantava da giovane, nelle osterie con gli amici, nei circoli, nei locali. Sono frammenti di una comunità e di una cultura, la fotografia di un’epoca che, direttamente o di riflesso, abbiamo in tanti vissuto. Sono anche un inno di speranza. Guccini come un tempo ama narrare, e quando parla trascina in un mondo di aneddoti, personaggi e luoghi tramandati per via orale, di bocca in bocca. Chi si fosse perso l’incontro può leggere ogni cosa nel libretto che accompagna il disco, dove in un libero fluire di pensieri l’autore spazia tra le tappe della sua biografia ed episodi storici, nel lungo percorso di vita e umanità che ha portato a quest’ultimo lavoro. Quello che lui presume sia l’ultimo. Internet, i social, lo streaming, tutto sembra infinitamente lontano da qui, come se non fosse mai esistito. “Canzoni da Intorto” si acquista soltanto in negozio, niente canali digitali (questi sconosciuti!).

Le parole rimbombano nella sala affollata, e sembra quasi di riuscire a intravedere quel mondo: il mulino di Pàvana, l’osteria dei Poeti dove in certi anni passava le serate, dopo le sei. La voce non è più la stessa di vent’anni fa, sostiene, e probabilmente ha ragione. È invece lucido e inatteso lo studio che sta dietro la scelta di questi undici brani di cover. Perché “canzoni da intorto”? Si diverte sempre a spiegarlo, sono quelle canzoni che – cantate nelle notti di baldoria – intortavano appunto, colpivano la compagnia, in particolare le donne, le seducevano: è così, un po’ per scherzo, che la moglie di Guccini ha trovato al primo colpo il titolo perfetto per l’album. La canzone che “intorta” meglio – pare - è “Le nostre domande”, anni ’60, di Margherita Galante Garrone con testo di Franco Fortini. È anche l’unica del disco che parla d’amore, e colpisce nella sua malinconia esistenziale profonda. “Quanto è breve la vita e come è strana/Quel che era vicino s’allontana”. Guccini è sempre Guccini, anche quando canta la vita con parole non sue. La presentazione si conclude con le parole del moderatore dell’incontro, Luca De Gennaro, ma avrebbe potuto pronunciarle chiunque altro, in questo pomeriggio: “Siamo stati fortunati a crescere e a formarci con le tue canzoni”.

 

Eleonora Poli

 

 

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