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L’Europa che unisce, l’Europa che divide: la manifestazione in piazza del Popolo

A Roma l’evento promosso da Michele Serra mette in luce la volontà di coesione e condivisione di tanti cittadini; ma anche distanze al momento incolmabili. È stato un successo di partecipazione e confronto, velato però dalle polemiche riaccese da un partito trasversale e inedito che nell’Europa attuale, nei suoi governi e nelle sue democrazie non riesce proprio, o non vuole, riconoscersi.

Mai come in questo caso non è una questione di cifre - 25.000, 30.00 o 50.000 persone, secondo gli organizzatori - i numeri passano decisamente in secondo piano, perché comunque la piazza è piena e l’attenzione della giornata è puntata su altro. Sulla “qualità” e sul tipo di presenza rispetto alla quantità, per così dire, sui significati e le prospettive della convocazione, genuina o pilotata. Certo è che a Roma sono in tantissimi, sabato pomeriggio 15 marzo, a rispondere alla chiamata di Michele Serra e di Repubblica per una manifestazione che si rivela allo stesso tempo simile a tante altre del passato eppure diversissima. Un’alta partecipazione, per molti un ritrovarsi a distanza di tempo, una scelta di campo e di valori; ma anche, alle spalle e a lato, un inedito concentrato di polemiche dalla sinistra stessa, dato per scontato che la destra un evento del genere lo ignora completamente.

Le critiche, addirittura gli attacchi, sono andati ben oltre le solite eterne divisioni interne, tra correnti, partiti e personalismi. Chi ha scelto di non esserci lo stesso non è rimasto indifferente a quest’iniziativa che ha invece scatenato reazioni fin dal primo momento in cui è stata promossa, una quindicina di giorni fa. Così è stata definita, senza mezzi termini, la piazza dei guerrafondai, del riarmo, del mercato, degli 800 miliardi per la difesa, di quelli che “armatevi e partite”. La manifestazione dei radical chic, naturalmente.

Raramente, forse mai, si erano sentite e lette, prima e dopo, polemiche così astiose e feroci di “fuoco amico”, ma amico neanche tanto. Al punto che, lo stesso pomeriggio, stesso orario, è stata organizzata in corsa, a Roma, una contromanifestazione, a pochi chilometri di distanza, in piazza Barberini. Quella del vero pacifismo, così è stata presentata, alternativa, autentica: una contrapposizione spiegabile fino a un certo punto e che comunque non nasce oggi. Ha messo radici nei tre anni della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, nelle divisioni sulla guerra a Gaza, nell’indignazione contro le politiche in medio Oriente, e contro quelle europee che nell’ultimo periodo hanno separato più che unito. Ci si domanda se negli altri Paesi, Francia, Germania, Spagna, Portogallo e così via stia accadendo qualcosa di simile; in realtà, non si direbbe, almeno da quanto si può percepire attraverso l’informazione dei media e i commenti.

Contromanifestazione quindi, e altre annunciate per le prossime settimane, in Italia. Ma niente da fare per questa volta, i riflettori sono tutti puntati sull’obelisco di piazza del Popolo, sul grande palco che vede alternarsi - per oltre tre ore - gli interventi di esponenti della società civile, artisti, intellettuali, giornalisti, scrittori; protagoniste sono le bandiere blu stellate, a colorare la distesa umana di coloro che si sentono, nonostante le differenze, soprattutto cittadini europei. È un pomeriggio intenso, ricco di partecipazione, testimonianze, punti di vista diversi pur apartire da una piattaforma comune, dalla scelta di fondo di non essere “contro” ma per “per”. Sarà anche per questo che ai detrattori la giornata proprio non è andata giù? Davvero il pacifismo e la tolleranza non possono essere condivisi e condivisibili, per forza devono scavare abissi piuttosto che unire?

Fatto innegabile è che alle 15 la piazza è gremita (benché qualcuno riesca comunque ancora a definirla un mezzo flop): dopo l’introduzione di Michele Serra e Claudio Bisio, gli interventi si susseguono. Ci sono, con la fascia tricolore, i sindaci di oltre 300 Comuni che hanno aderito all’appello, in testa il primo cittadino di Roma Gualtieri e Manfredi, sindaco di Napoli e presidente dell’Anci. Parla anche, applauditissimo, il sindaco di Barcellona.

Cittadini e personaggi più o meno noti hanno deciso di portare la propria testimonianza. Più che riferimenti al presente, più che prese di posizione politiche univoche e connotanti, si ascoltano richiami ai valori, riferimenti storici, esperienze di scambio e comunanza che hanno, e hanno avuto in passato, l’Europa al centro. Più sentimento che politica, con una certa dose di retorica che comunque, in questo caso ci sta, è nell’ordine dello cose e nello spirito dell’iniziativa. In diretta sul palco o in videomessaggio, in una maratona che finisce solo quando scende il buio sul Pincio, intervengono Zagrebelski, Scurati, Bentivoglio, Formigli, Jovanotti, Augias, Litizzetto, Tobagi, Lella Costa, Dacia Maraini, Elena Cattaneo, Renzo Piano, Virzì, Mauro Pagani e altri ancora. Roberto Vecchioni ricorda l’importanza delle parole, sottolinea la differenza tra pacifismo e pace, tra guerra e lotta per i diritti e la libertà, canta “Sogna ragazzo sogna” pensando ai ragazzi del 2025. Si moltiplicano i riferimenti all’Europa terra comune, alle democrazie, ai valori condivisi, si racconta di viaggi e di vite, si cita a profusione Altiero Spinelli. Sono presenti i rappresentanti di tante associazioni, e dietro le quinte i politici, da Elly Schlein a Fratoianni, da Calenda a Nardella. Tanti esponenti del Pd hanno aderito, nonostante le critiche dei giorni scorsi contro sulla decisione della Commissione europea relativa alla spesa di 800 miliardi prevista per la difesa.

Niente però, non c’è discorso, né citazione del manifesto di Ventotene, né nota o testimonianza in grado di convincere quanti da questo raduno si chiamano fuori e - alla faccia del pacifismo - spesso lo hanno fatto con toni tutt’altro che concilianti. Da giorni sui social si lanciano i contro-appelli: molti si limitano ad annunciare che in piazza del Popolo non ci saranno, mentre altri partono in quarta con gli insulti, ad personam, contro l’evento in se stesso o contro la comunità che lo ha indetto. I pacifisti da tastiera scrivono che ci andrebbero con i pomodori marci, piuttosto, a colorare quella piazza, sempre pacifismo tra parentesi. Ma tanto si sa, sui social nessuno ti può vedere in fondo, né sa davvero chi sei, rimani soltanto un nome e una piccola foto quasi sempre fuorviante o anonima.

Con una riflessione un po’ più seria, ma comunque vagamente pretestuosa, spuntano invece paragoni poco verosimili tra le grandi manifestazioni a Roma di vent’anni fa - quelle contro il governo Berlusconi per intenderci - e le attuali, in un conteggio poco costruttivo e incommensurabile tra i milioni di allora e le poche migliaia di oggi, tra cause giuste e sbagliate, tra veri e finti valori e così via. Fatto sta che si legge, nemmeno tra le righe, una forte aggressività, in questo cosiddetto pacifismo, una violenza verbale tra rabbia e recriminazione. Soprattutto c’è un’estraneità - maturata nel tempo e nel susseguirsi delle situazioni – rispetto ai 70 anni di storia comune europea.

Alla fine ciò che resta di questo 15 marzo è il contrasto tra la volontà di ritrovarsi, di non perdersi di vista, e il disagio di quanti invece, con argomentazioni più o meno fondate, si sentono stranieri nel Continente e alieni alle sue politiche. Resta, e addirittura si fa se possibile più profondo, il divario tra chi l’Europa la ama, si fa vanto di affondarvi le proprie radici culturali, politiche, emozionali; e chi ancora, forse per sempre, la vive come un’entità astratta e per questo la subisce, ne accoglie con disappunto e indignazione le risoluzioni, le direttive, le linee guida. Militanti e attivisti di sinistra nell’Europa continuano a non riconoscersi e paradossalmente diventa in qualche modo più europeista, nel contesto attuale, la premier Giorgia Meloni rispetto ai contromanifestanti di piazza Barberini. Ancora, dopo tre anni, una parte della sinistra non ha digerito il sostegno politico e miliare all’Ucraina, né l’idea di una possibile adesione all’UE del Paese attaccato; ancora c’è un velato, neppure troppo, giustificazionismo nei confronti della Russia, un antimiliarismo senza se e senza ma, soprattutto una confusione strumentale tra difesa e riarmo, un “benaltrismo” per cui è inconcepibile impegnarsi a favore dell’Ucraina se non lo si fa anche per alcuni altri conflitti in corso nel resto del mondo. Le posizioni sono cicatrizzate, i buoni e i cattivi etichettati, le colpe attribuite per l'eternità. Si bruciano senza remore la foto di Ursula Von der Leyen e la bandiera blu, mentre contemporaneamente si inneggia alla pace, sentendosi del resto pienamente giustificati.

Che cosa può smuovere in tutto questo, in mezzo a convinzioni ormai stigmatizzate, una manifestazione promossa da un giornale come Repubblica considerato da tempo non più di sinistra da questa “sinistra pacifista”? Lo metto tra virgolette perché non è così scontato che a tutti gli effetti lo sia, e in ogni caso nessuno, in questo momento di confusione e di divisioni profonde, di crisi mondiale in cui siamo immersi fino al collo a due passi da casa nostra, può pensare seriamente di avere il monopolio delle soluzioni di pace e degli strumenti per poterla conquistare in modo duraturo, e soprattutto equo.

 

Eleonora Poli

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