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Sfide mortali, la deriva del nulla dai social alla realtà

Non chiamiamolo incidente. La morte del bambino di cinque anni nello schianto di Casal Palocco ha responsabilità dirette e materiali, ma è anche indirettamente connesso a un uso dei social sfuggito di mano, a un’immaturità digitale tollerata e incoraggiata in cui la componente umana non sta al passo con le nuove tecnologie.

Incomincia tutto così, perdendo prima di ogni altra cosa il senso delle parole e puntando sul fatto che chi le legge e le recepisce faccia altrettanto. Incomincia tutto dalla scelta di chiamarsi “TheBorderline” che - dizionario alla mano - corrisponde a “soggetto affetto da situazione patologica localizzabile al confine tra due malattie e tra una condizione normale e una patologica”. Il riferimento è in particolare alla malattia mentale, al grave disagio psichico, ma a chi ha scelto il nome per identificare il proprio gruppo di influencer social cosa importa? Uno dei loro giochi di sfide ad alta diffusione e visibilità ha coinvolto nei giorni scorsi in uno scontro mortale Manuel, cinque anni, mentre si trovava in auto con la madre. Questi ragazzi, poco più che ventenni, di certo il problema del significato letterale del loro brand non se lo sono posto, o forse lo hanno fatto alla rovescia. Quale titolo, quale slogan può fare più presa, può durare di più nell’universo digitale sommerso di reel e sovraccarico di stimoli? È stato così deciso che proprio Bordeline, fosse attrattivo, “acchiappante”, come ormai si dice di qualunque messaggio. Ed ecco che immediatamente il confine tra il virtuale e la realtà è offuscato dal miraggio del numero dei follower, e dei like.

La tecnologia ovviamente non è colpevole in se stessa, è in partenza neutra; responsabile è semmai chi la gestisce, lo è la modalità con cui viene messa a disposizione non di tutti, ma di chiunque, senza controllo né regolamentazione. Perché il dominio tecnologico dei social, facile da acquisire dopo una breve esperienza, non va di pari passo con gli strumenti mentali necessari ad applicare limiti etici alla fruizione dell’intero sistema. Youtube, il canale su cui TheBorderline pubblicano in prevalenza i loro video è anche la “magia” che da anni ci consente ciò che prima era impensabile, ritrovare e rivedere all’infinito quanto nel mondo è stato ripreso e trasmesso, dai programmi tv, ai discorsi politici, ai concerti, le partite di tennis storiche. Come è stata possibile, in quale punto del percorso è arrivata questa svolta, questa deriva che punta esclusivamente all’effetto, al sensazionale, all’immediato, al monetizzabile? In quale momento i social sono diventati lo strumento più pratico per divulgare qualunque follia, dalla più innocua e banale agli eccessi autodistruttivi e distruttivi? Morire o uccidere per un reel. Buttarsi in un fiume e annegare davanti a una telecamera per aggirare la paura di non essere nessuno. Noleggiare a vent’anni un suv Lamborghini e sperimentare in diretta fino a che punto si può arrivare. Diventa tutto normale in questo contesto, in nome di una prospettiva distorta che autorizza a scaricare le responsabilità, non solo morale ma anche penale, fino magari a una tardiva consapevolezza che non può più porre rimedio all'accaduto. È soprattutto una questione di superficialità, di incapacità di valutare le conseguenze.

Non si tratta soltanto di giovane età, educazione familiare, mancanza di punti di riferimento, solitudine. Questi elementi c’entrano, ma non bastano a spiegare, così come non basta l’assenza di valori a definire il filo di vite che aspirano in primo luogo alla pubblicità, all’apparenza, a trasformarsi in fenomeno da guardare e riguardare, per essere di esempio, divertire e divertirsi. Vite in cui la dimensione privata non ha ragione di esistere, perché non essere visti significa non esserci.

Se la “gioventù bruciata” ha una lunga storia alle spalle, così come le sfide pericolose, non si può comunque più ignorare come la narrazione sia cambiata tramite gli strumenti social che offrono la possibilità di amplificarne la portata, facendone un business senza niente a che vedere con l’incoscienza e l’istinto. Gli youtuber della Lamborghini non puntano soltanto alla visibilità e al successo tra i coetanei, non è il loro primo obiettivo quello di diventare eroi, ma piuttosto di guadagnare (soldi) e notorietà con un’idea vincente. Non sono certo gli unici ad avere scelto questa strada che per molti è diventata una nuova professione, lo sappiamo bene e lo leggiamo, non soltanto nella cronaca nera per fortuna. Non sempre - spesso tuttavia - la comunicazione perde però per strada il contenuto e il nulla guadagna terreno attraverso i clic di un pubblico che nemmeno sa cosa guarda, o nemmeno guarda, o lo fa per abitudine in un’isterica sequenza messa insieme per riempire i tempi morti, le attese, i dieci minuti o un’ora prima di andare a dormire. Senza impegno, senza sforzo di comprensione, meglio se le immagini sono forti, così si è stimolati a continuare, la curiosità morbosa aumenta.

Ogni volta che sulla bacheca di Facebook appare la pubblicità non richiesta con la cover di un reel che ne lascia intuire il soggetto e vedere il numero delle visualizzazioni ottenute fino a quel momento – fino a un milione magari, o a dieci milioni – non si può fare a meno di chiedersi chi saranno mai, tutte le persone che hanno perso anche solo un minuto del loro tempo a guardare il matrimonio di uno sconosciuto, la poppata di un neonato, la preparazione della ricetta di una cuoca fai da te; o i ragazzi in corsa su auto sportive noleggiate per l’occasione. Chi guarda è anestetizzato, un video dopo l’altro contro la noia. Chi pubblica (poi spesso le due categorie si scambiano i ruoli) ha eletto come priorità il non rassegnarsi all’anonimato, al non essere un genio, al non avere qualcosa di particolare da mostrare ai contemporanei. Lo cerca allora disperatamente, questo qualcosa, lo inventa in nome della libertà di espressione, o meglio di una sua distorta interpretazione, in appelli fuori luogo e programmatici al concetto di democrazia.

C’era una volta la televisione, e i critici ne studiavano gli effetti rimarcando i rischi del presenzialismo senza remore cui il piccolo schermo apriva la strada. Con i social tutto è moltiplicato per mille, perché l’accessibilità è molto maggiore, e per contro i limiti prima imposti dallo strumento televisivo sono cancellati dalla “diretta continua”, senza vincoli né ostacoli.

Nel mondo virale dei social tutto è equiparato o equiparabile, in una sfera indefinita di quotidianità banale dove non si distinguono più i livelli, tra le riprese di una gita in montagna e la corsa folle di un’auto che si schianta in tempo reale. Non ci sono più livelli o limiti, perché il prodotto è creato a misura del piccolo rettangolo che è il display dello smartphone: è una montagna di spazzatura digitale che viene guardata presumibilmente per poche ore o pochi giorni, ma infesterà per chissà quanto lo spazio virtuale. Una delle sue maggiori attrattive è la gratuità, perché uno o cento clic non costano nulla. Ci si dimentica però troppo spesso che quanto è gratis per l’utente finale fa guadagnare, spesso a dismisura, chi lo produce e ancora di più chi lo diffonde. La morte di Manuel a Casal Palocco è una tragedia di cui certo i social non sono la causa diretta, sarebbe troppo semplicistico. La storia che ci sta dietro spinge tuttavia a una riflessione sull’indifferenza con cui si continua a incentivare la versione morbosa e voyeuristica dei canali digitali a discapito delle altre funzioni che possono avere come di informazione, di divulgazione delle conoscenze, di apprendimento.

Il potere alla fine appartiene alla mano che tiene il telecomando, pardon lo smartphone. Basterebbe fare altre scelte, boicottare questo circo per farlo crollare in poco tempo, quantomeno per imporgli un cambiamento di rotta. Ma guarda un po’ che strano, dopo il tragico evento che ha fatto parlare così negativamente e allarmisticamente di loro, dopo la risonanza mediatica dei fatti, TheBorderline hanno visto invece aumentare i loro follower; provvedimenti zero e gli incassi sono alle stelle! Non c’è quindi speranza, se non nel naturale esaurirsi del fenomeno che difficilmente potrà però avvenire a breve se le condizioni favorevoli alla sua crescita non si modificano. È allora molto condivisibile, e disperatamente vero, rassegnato, il commento di Claudio Santamaria su quanto avvenuto in questi giorni: “Uno dei mali peggiori del millennio è volersi mettere in mostra col nulla”. 

Eleonora Poli

 

 

 

 

 

 

 

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