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"Giustizialismo": cosa vuol dire oggi

Nel linguaggio politico italiano ci sono parole che assumono una connotazione negativa per il solo fatto di terminare con il suffisso “ismo”. Una di queste è “giustizialismo” (un’altra è ‘buonismo’, di cui propongo di occuparmi in un successivo articolo).

Tra parentesi: la parola ‘giustizialismo’ è nata in Argentina come nome del partito peronista. In quel caso la ‘giustizia’ di cui si parlava era quella sociale. Quindi si riferiva ad una problematica completamente diversa. Ma torniamo al linguaggio politico italiano attuale.

Cosa succede alla ‘giustizia’ quando alla parola si aggiungono quelle cinque lettere, ‘lismo’?

La giustizia è una cosa buona. Il giustizialismo è una cosa cattiva, si vuole dare a intendere. E’ giustizialista chi coltiva un attaccamento non moderato e sano, ma smodato e morboso verso la giustizia, chi vuole punire sempre e comunque (chi? I colpevoli, o anche altri?). Chi è giustizialista è ‘forcaiolo’. E non è ‘garantista’. Cioè è chi vuole mandare in galera un imputato senza rispettare tutte le forme, senza dare la possibilità all’accusato di difendersi.

Questi sono i significati che emergono dall’uso della parola. Ma se diciamo queste cose a coloro che questa parola la usano, essi si giustificherebbero più o meno così: “Non è giustizialista chi vuole la giustizia, ci mancherebbe altro, è giustizialista chi passa sopra ai diritti della difesa, chi il processo lo vuole sommario, chi gode quando vede gli avversari messi in galera, chi manderebbe in carcere anche un innocente.” E soprattutto, direbbero, sono giustizialisti coloro che vogliono la giustizia abbia due pesi e due misure, in altre parole la giustizia per colpire l’avversario politico. 

Ma allora perché non dire che i presunti ‘giustizialisti’ sono in realtà ‘in-giustizialisti’, perché è ingiusto mandare in galera solo gli avversari, magari innocenti?

“Certo, è proprio questo che vogliamo dire: i giustizialisti sono ingiusti” direbbero gli utenti del termine.

Ma non lo dicono. E allora sorge il fondato sospetto che è proprio la ricerca della giustizia che dà fastidio. Bisognerebbe, secondo loro, non fare ‘accanimento giudiziario’, in altre parole, bisognerebbe indulgere, lasciar correre.

Il sottinteso è: un po’ di giustizia va bene, troppa no. Ora, cosa significa ‘troppa giustizia’?

Aristotele sosteneva l’etica del ‘giusto mezzo’. Tutte le virtù tranne una sono il giusto mezzo tra due vizi opposti: la temperanza è il giusto mezzo tra l’intemperanza e l’insensibilità; il coraggio è il giusto mezzo tra la viltà e la temerarietà; la liberalità è il giusto mezzo tra l’avarizia e la prodigalità, e così via. Ma questo non vale per la giustizia, che non ha due estremi opposti. Essa è la virtù per eccellenza perché chi rispetta tutte le leggi è l’uomo perfettamente virtuoso. Se mi allontano dalla giustizia in un senso sono ingiusto; se me ne allontano nel senso opposto sono ugualmente ingiusto. Quindi non esiste ‘troppa’ giustizia. La giustizia deve essere perfetta, nella misura in cui umanamente si può essere perfetti.

Penso che non ci sia bisogno di essere aristotelici per seguire il filosofo greco su questo ragionamento. Quindi possiamo dire che il giusto non è a metà strada tra la giustizia e l’ingiustizia. Si potrebbe dire che è a metà strada tra la punizione feroce e l’indulgenza. Ma la ferocia e l’indulgenza sono parimenti ingiuste.

La conclusione è semplice e banale. Chi ce l’ha con il giustizialismo in realtà ce l’ha con la giustizia e basta. 

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