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Generazione Neet: due milioni di giovani non fanno completamente niente!

 

Uno studio realizzato da Monitor (la banca dati ministeriale dei mercati del lavoro, curata dall’agenzia tecnica Italia Lavoro) ha lanciato un dato inquietante: esistono 2 milioni di giovani compresi tra i 15 e i 29 anni che sono disillusi, depressi, insoddisfatti e demotivati: non studiano, non lavorano, non frequentano corsi e non sono in cerca di alcuna occupazione. E’ la generazione NEET, acronimo che sta a significare: Not Employment, Education and Training.

Il record si registra tra Catania, Brindisi e Palermo ma anche Napoli ha registrato un picco non indifferente. Il profilo della generazione NEET è quello di ragazzi sfiduciati e delusi dalla società, non votano e non fanno attivismo politico o associativo, evitano di seguire i corsi universitari (anche se magari sono iscritti) e non cercano lavoro. In Italia sono 2 milioni (il 21% dei giovani di quell’età) e il 56.5% sono donne, i NEET si concentrano nel mezzogiorno con una percentuale pari al 30%.

Le ragioni dell’arresa totale potrebbero essere ricondotte proprio alla difficoltà nel raggiungere dei traguardi in una società fortemente competitiva e basata su precariato e stagismo forzato e reiterato. Solo per fare un esempio sul tema del precariato la produttrice Rai, Daniela Zefferi, ci raccontava: “In Rai abbiamo una serie di precari che sono storici. Uno pensa ai precari come dei ragazzi, ormai abbiamo cinquantenni/cinquantottenni precari che non sono stati assunti perché hanno superato il limite massimo per l’assunzione; abbiamo persone che sono diventate mamme, nonne facendo le precarie, sono persone ricattabili”.

La demotivazione ha quindi una sua matrice dettata da scelte politiche sbagliate. Ce ne dà notizia anche la ricerca sulla percezione di insicurezza nel mondo del lavoro e precariato femminile realizzata all’interno dell’Università La Sapienza, di cui abbiamo parlato qualche tempo fa attraverso l’intervista alla ricercatrice Patricia Chiappini che ci dice: “Durante le interviste svolte è emerso che per le donne in particolar modo la condizione di stabilità precaria fa emergere in modo significativo tutti i lati negativi che si possono riassumere in instabilità, insicurezza e indefinizione professionale. La precarietà lavorativa, quando non è frutto di una libera scelta, comporta un costo piuttosto alto da pagare sul piano psicologico e sociale”.

La ricerca completa si può visionare a questo link

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