“Percorsi di Empowerment” è una ricerca svolta pochi mesi fa dalla cattedra di Sociologia dell’Organizzazione, presso la facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma. Tale studio ha fatto emergere, attraverso questionari somministrati a donne che lavorano sul territorio, come la condizione di precarietà ci pervade e avvolge nella quotidianità! Di seguito vi propongo la relazione finale realizzata dalla ricercatrice Patricia Chiappini, epilogo dell’analisi dei dati raccolti dal team di ricerca con cui mi sono trovato a collaborare.
“Il tema del precariato è un tema che in questo periodo storico emerge fortemente e tocca in modo diretto molte categorie di lavoratori con professionalità e percorsi formativi diversi. Ciò che emerge da tutta la letteratura sociologica di settore, però, è il dato sempre più rilevante della forte caratterizzazione femminile del fenomeno”.
A scriverlo è la ricercatrice Patricia Chiappini al termine del lungo lavoro di ricerca che ha visto protagoniste le donne precarie che lavorano sul territorio di Roma. Tale ricerca è stata condotta su un campione casuale di 45 donne, che hanno risposto ad un questionario somministrato tramite intervista diretta e composta da tre parti:
- I dati quantitativi: età, livello d’istruzione, tipo di lavoro e di contratto, etc…
- i dati quantitativi sulla situazione lavorativa,
- i dati qualitativi sulla percezione della propria vita lavorativa e sociale.
“Andando a ricercare che tipo di conseguenze porta il precariato appare evidente una condizione di instabilità economica e di instabilità dei contesti organizzativi nei quali si muovono i lavoratori – scrive ancora la Chiappini - dovendo analizzare questa condizione nella massa è necessario notare come non è sempre detto che porti a delle conseguenze negative in assoluto e nelle stesse modalità per tutti i lavoratori in genere. Pensando per esempio alla condizione di precariato di giovani o pensionati economicamente piuttosto stabili, un lavoro precario senza troppi obblighi, può, per alcuni, essere anche una condizione che mostra dei lati vantaggiosi, in termini di flessibilità e diversità delle competenze da poter sperimentare sul mercato del lavoro. Come dimostrano i dati raccolti durante la ricerca, però, non è altrettanto valido per le donne che, sempre di più, necessitano di sicurezze economiche e stabilità lavorativa”.
Durante le interviste svolte è emerso, infatti, che per quest’ultime la condizione di stabilità precaria fa emergere in modo significativo tutti i lati negativi che si possono riassumere in instabilità, insicurezza e indefinizione professionale. La precarietà lavorativa, quando non è frutto di una libera scelta, comporta un costo piuttosto alto da pagare sul piano psicologico e sociale.
Prosegue la docente nell’analisi dei dati: “Come denunciano la maggioranza delle intervistate, l'incertezza sul proprio futuro, l'assenza di tutele riguardanti la malattia, la maternità e gli infortuni, la retribuzione spesso scarsa, la difficoltà a reggere continui cambiamenti di lavoro sono fattori che influiscono in modo significativo sulla qualità della vita e sul benessere psicologico, inoltre ansia, paura del futuro, depressione, rabbia, mancanza di autostima e senso di fallimento personale sono sensazioni molto comuni. Altro dato emerso è che la precarietà può portare a fattori di instabilità emotiva legata alle insicurezze sul futuro e alle preoccupazioni legate al benessere economico che non è possibile garantire ad un eventuale o reale nucleo familiare”.
Qui di seguito pubblichiamo – in esclusiva per i lettori di Agora Vox – i grafici della ricerca.