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Elliott Smith e il grande nulla


C’è un ragazzo che non si ritrova in se stesso. Non si ritrova nei genitori che ha avuto e nei luoghi dove è abitato. Non si ritrova neanche nel gruppo che ha cominciato a farlo conoscere come musicista. Elliott Smith non si trovava proprio in questo mondo. Steven (il suo vero nome) era un ragazzo che molti inquadrerebbero come ’difficile’, e forse lo era. Ma era anche molto altro. Era uno che faceva ridere. Riservato sì, ma sempre di compagnia. Leggeva e suonava. Suonava, soprattutto, e come suonava. Gli amici lo descrivono come un ragazzo un po’ riservato, ma sul quale si poteva sempre contare, che in qualsiasi momento era a disposizione di chiunque avesse un problema e che una volta raggiunta la (per niente agognata) fama ha cominciato a crollare. Interviste di riviste specializzate, racconti di amici, ex ragazze e soprattutto la sua musica, sono le fondamenta principale su cui si fonda la prima biografia, ’Elliott Smith e il grande nulla’ scritta da Benjamin Nugent (Arcana, 268,trad. di Anna Mioni; corredata da tutta la discografia e non solo di Smith) sul cantautore statunitense che il 21 ottobre del 2003, a soli 34 anni si è tolto la vita. Dall’infanzia difficile passata con un patrigno col quale i rapporti erano molto tesi, al trasferimento a Portland, dal padre; dai primi passi musicali all’università fino agli Heatmiser il gruppo grunge di cui faceva parte agli inizi dei ’90, per arrivare poi alla carriera solista e alla nomination all’Oscar per la colonna sonora del film di Gus Van Sant ’Will Hunting - genio ribelle’ (Oscar perso per mano della Celine Dion del Titanic). Un excursus nella vita di un cantautore che ha scritto canzoni stupende (’Pitseleh’, ’Roman Candle’, ’Ballad of big nothing’, ’St. ideas heaven’, ’Pretty (ugly before) e che si è ritrovato improvvisamente catapultato nel mondo delle star, dei grandi pubblici, delle groupie, ma che avrebbe voluto solo continuare a scrivere canzoni per sé e gli amici. Che avrebbe pagato per non raggiungere quella vetta dalla quale è inesorabilmente precipitato, spinto anche dalla depressione (’I’m not half what i wish i was’ cantava) e dalle droghe che hanno caratterizzato l’ultima parte della sua breve vita. Di un ragazzo, insomma, che ’era diventato un faro illuminante in un Grande Nulla, che era la mostruosità luccicante della musica da discoteca e del metal goliardico che imperversavano nelle classifiche’.

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