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Elezioni | Una sfida fra europeisti e sovranisti?

Il sole 24 ore di domenica 7 si apre con un editoriale di Stefano Fabbrini intitolato: “Il 4 marzo la grande sfida tra europeisti e sovranisti”. E’ una descrizione realistica di quel che sta per accadere?

Intanto ci sembrano mal scelti i termini: che cosa significa “sovranisti”? La parola può avere diverse accezioni, ad esempio “sovranista” può essere sinonimo di indipendentista (in questo senso la usa Fabbrini che nell’articolo parla, appunto di “indipendentisti”, cioè nostalgici degli stati nazionali europei che si contrappongono alla unificazione politica del continente. Ma c’è anche una accezione più ampia, per cui i “sovranisti” sono i fautori di un ritorno all’ordine westfalico, che non comprendono che lo stato nazionale, in quanto tale, è un anacronismo storico e che la prospettiva è quella di un ordine mondiale senza sovranità locali, o perché si va verso un sistema mondiale di accordi e trattati per materia o di enti sovranazionali che svuotano di senso gli stati nazionali (nel caso dei “globalisti”), o perché proprio negano il concetto di sovranità politica, sostituendolo con quello delle leggi di mercato, rispetto alle quali i residui stati nazionali hanno solo funzione servente (nel caso dei “mercatisti”).

E non è detto che una cosa escluda l’altra e non ci siano soluzioni che mescolano una cosa con l’altra, anzi è probabile che in diversi nutrano una visione che mescola le tre cose, sorreggendo l’una con l’altra. Ad esempio un “europeista” può pensare che l’Europa “unita” sia uno degli elementi della costruzione mondialista, oppure (o anche) che il sogno europeista si poggi sulle leggi di mercato.

In realtà, si tratta solo di un termine tratto dal gergo giornalistico, una di quelle amabili vaghezze fatte per una comunicazione veloce il cui unico effetto è quello di non far capire niente. Potremmo far notare che tutte tre le posizioni “altre” (“europeisti”, “globalisti” e “mercatisti”) presuppongono vertici decisionali di tipo tecnocratico e/o finanziario. La Ue si basa su un principio di legittimazione indiretta, per cui gli elettori scelgono gli stati nazionali che poi compongono gli organi comunitari (commissione, Consiglio ecc.) che, a loro volta, si integrano con organi finanziari privi di qualsiasi legittimazione popolare come la Bce , espressione delle banche centrali nazionali, a loro volta dotate di maggiore o minore autonomia e, quasi sempre, formate dalle banche private nazionali. Unico organo eletto direttamente dai popoli europei è il Parlamento europeo che, non a caso, è l’organismo che ha meno poteri. Un modello nel quale lo spazio democratico è del tutto residuale.

Ancora più indiretta è la legittimazione democratica della rete mondiale di enti e trattati retti da una tecnocrazia di espressione governativa che include anche paesi che democratici non lo sono affatto, da enti finanziari (Fmi, Bm, Two ecc.) in parte di espressione governativa, in parte finanziaria. Il tutto integrato da alcuni poteri giudiziari (ad esempio la Corte Europea, o il Tribunale per i diritti dell’uomo) o di mediazione (ad esempio le camere di commercio internazionali) che, per definizione, non si formano per via democratica, ma che hanno un elevato potere normativo, anche se per via giurisprudenziale (la lex mecatoria di cui parlano autori come Taubner, Cassese o Galgano).

Ciò premesso, più che di alternativa fra “globalisti” o “europeisti” e “indipendentisti o “populisti” Dovremmo parlare di alternativa fra “democratici” e “tecnocratici”.

Ma anche questo sarebbe una semplificazione grossolana. Intanto perché non è affatto detto che i “globalisti” siano sempre “europeisti” e vice versa che gli europeisti siano sempre anche globalisti. Ad esempio ci sono i sostenitori del progetto di Europa- Nazione che, ovviamente non sono affatto globalisti e possono esserci globalisti o mercatisti che sono comunque sfavorevoli a qualsivoglia governo locale.

Perché tanto l’idea di Europa Unita, quanto quella di governo globale possono avere soluzioni molto diverse al loro interno. Il torto di Fabbrini (e di quelli come lui) sta nel ridurre arbitrariamente in un formato binario che non c’entra con la realtà. E’ un riflesso del “pensiero unico” neoliberista che, venti anni fa, immaginava che ci fosse un solo pensiero giusto, il proprio, e poi tutti gli altri erano accomunati in una indistinta massa di errori. Solo che, adesso, anche il pensiero neo liberista tende a diversificarsi al suo interno e le sfide all’ordine attuale sono diverse e per nulla sovrapponibili l’una all’altra.

Facciamo qualche esempio? Come si fa a pensare che in Francia il Fn sia la stessa cosa della sinistra di Melenchon che fa diverse critiche all’ordinamento europeo? Che il M5s sia la stessa cosa della Lega o di “potere al popolo” che sono tutti in vario modo ostili alla costruzione europea? Che il partito comunista greco (Kke greco) sia la stessa cosa di Alba Dorata perché sono entrambi contro la Ue e l’Euro?

Ma, per parlare delle elezioni europee, posizioni anti o pro europee attraversano la stessa coalizione (il centro destra mette insieme gli “europeisti” di Fi e gli anti europeisti della Lega ) o la stessa lista (ad esempio Liberi ed Eguali ha dentro il critico Fassina e l’ultra europeista Boldrini) e via di questo passo.

E spesso non è neppure chiaro chi sia il “nazionalista” e chi l’ “europeista” ad esempio scozzesi e catalani vogliono uscire dai rispettivi stati nazionali ma restare nella Ue, mentre i loro governi si oppongono alla loro richiesta di indipendenza: chi è l’europeista? La Ue, sulla questione catalana, sta dalla parte di Madrid perché la considera un affare interno allo stato spagnolo, quindi conferma il principio westfalico della sovranità nazionale, il che, ovviamente, si risolve in una implicita rinuncia al progetto dell’unificazione politica del continente.

Dunque, come ridurre a due schieramenti omogenei una realtà così complessa e contraddittoria? Se gli intellettuali di cui disponiamo si riducono a scrivere sciocchezze di questo calibro dobbiamo dire che stiamo messi male. Molto male.

Aldo Giannuli

Questo articolo è stato pubblicato qui

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