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Disavventure di un imprenditore, in un giorno di mezz’estate

Potrei intitolare questo articolo “Disavventure di un imprenditore, in un giorno di mezz’estate”, un incipit magari ironico, ma che vi assicuro descrive appieno il disagio dei tanti che, come me, devono lavorare quando l’Italia va in ferie.

Le frasi tipiche che mi sento spesso riferire in questo periodo, con mia grande mortificazione e rabbia sono: «Dottò, ma mo’ stiamo tutti in vacanza se ne parla a settembre… ». Oppure: «Mi dispiace, ma sa i colleghi sono in ferie, non saprei proprio come aiutarla». E ancora: «Scusate ma adesso si deve fare? E’ agosto, dobbiamo andare al mare”.

Potrei intitolare questo articolo “Disavventure di un imprenditore, in un giorno di mezz’estate”, un incipit magari ironico, ma che vi assicuro descrive appieno il disagio dei tanti che, come me, devono lavorare quando l’Italia va in ferie.

Le frasi tipiche che mi sento spesso riferire in questo periodo, con mia grande mortificazione e rabbia sono: «Dottò, ma mo stiamo tutti in vacanza se ne parla a settembre…». Oppure: «Mi dispiace, ma sa i colleghi sono in ferie, non saprei proprio come aiutarla». E ancora: «Scusate ma adesso si deve fare? E’ agosto, dobbiamo andare al mare”.
 
Insomma, potrei continuare a lungo per descrivere alla fine sempre lo stesso tragico rituale che nonostante questa terribile crisi sembra proprio non essere passato di moda: inizia l’estate, il Paese deve fermarsi, ma le scadenze e i mercati non aspettano, il disagio di sopportare la peggiore burocrazia d’Europa si moltiplica, causa lassismo e menefreghismo diffuso.
 
Al solleone di questo periodo si unisce il deserto degli uffici pubblici e privati che sembrano vivere ancora nell’immaginifico Paese di Bengodi! E mentre tanti si arrabattano tra incertezze e preoccupazioni, crisi di liquidità e tempi dilazionati, le scadenze, i debiti, le tasse sembrano proprio non andare mai in vacanza. Un’asimmetria che mai come in questo 2012 diventa pesante da sopportare e anche se probabilmente continua ad essere inutile il grido di dolore di tanti italiani che continuano a subire tutto questo, proprio non posso fare a meno di raccontarlo. E in questo modo, il terribile disagio trova un po’ catarsi.
 
Certo, da domani pazientemente si ritornerà in campo, si ricomincerà la trafila di inutili attese, di tanto tantissimo tempo perso, che si potrebbe impiegare in maniera più produttiva, ma questo dovrebbe far riflettere ancora una volta tutti noi sulla necessità improrogabile di semplificare e snellire al massimo le procedure e gli incartamenti che, incredibile a dirsi, in Italia sono peggiorati e non migliorati dalla digitalizzazione. Ora, infatti, si procede due volte: in primis si invia una email, che non viene sistematicamente letta, e poi bisogna stampare e, come nelle più arretrate realtà, andare allo sportello. Insomma ammodernare, snellire, rendere trasparente la pubblica amministrazione, resta un dovere imprescindibile per aumentare l’efficienza, la competitività e qualche punto di Pil di questo Paese. E da fruitore di questa elefantiaca e poco meritoria amministrazione vi garantisco che, senza un ricambio generazionale nella macchina pubblica, qualsiasi sforzo sarà inutile, perché la resistenza anagrafica all’ammodernamento, alla formazione, alla novità è insormontabile.
 
Termino qui questa brutto racconto, pieno di dispiacere verso quell’Italia disattenta e menefreghista, che vive di rendite di posizione e di arroganza verso i cittadini di questo Paese, presi troppo spesso per i fondelli a scapito di tutti, anche dei cosiddetti furbi. Perché alla fine la barca sulla quale navighiamo e comunque la stessa e, anche se in tanti si impegnano a navigare in un mare in tempesta, se si imbarca troppa acqua dalle falle o si ha una zavorra troppo grande, si può solo affondare.
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