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Dentro e fuori Riace: il caso di Domenico Mimmo Lucano

Mi sono chiesta perché, una due, più volte... di certo accanimento giuridico (a me appare tale e incomprensibile) nei confronti di Mimmo Lucano.

Ho cercato di leggere attentamente quello che ho trovato in Rete e ho trovato un articolo da lacnews24.it che condivido integralmente di Consolato Minniti: a me ha chiarito alcuni aspetti della vicenda; riporto anche da FB due brevi commenti al suo articolo: "Mai vista una decisione del Riesame a distanza di poche ore dall’udienza. Questo “caso Riace” è tutto strano."

"Dare il divieto dimora dimostra il fatto che nulla è normale in questa vicenda, che ormai da tempo ha assunto esclusivamente una connotazione politica e che va a colpire un modello di integrazione e di inclusione unico in tutta Europa. E fa paura."

Ovviamente rimango sempre dalla "parte sbagliata", ma tentando di informarsi e confrontarsi.

Un abbraccio, dentro e fuori da Riace, perché "Tutto il mondo è paese" e per ora la fiction mai così reale non s'ha da fare e da vedere alla Rai e Beppe Fiorello scrive su Fb un accorata lettera aperta a Mimmo Lucano che inizia così: "#mimmolucano il tempo ti darà ragione, hai regalato un sogno al mondo e presto lo faremo vedere a tutti...".

E teniamoci in contatto perché tutto sta andando avanti in tempi velocissimi, facendoci tornare, attoniti e impreparati, all'indietro.

Doriana Goracci
 
«Lucano esiliato». «Lucano mandato via». «Questa decisione è peggio anche rispetto ai domiciliari. Almeno prima poteva rimanere a Riace». Sono state molte le reazioni di questo tenore alla notizia della decisione dei giudici del Tribunale del Riesame di Reggio Calabria in merito alla vicenda che riguarda il sindaco Mimmo Lucano. Reazioni talvolta dettate dalla stima o dall’affetto nutrito per un politico che ha saputo conquistare la fiducia di tantissimi, dentro e fuori dalla Calabria. Ma la decisione dei giudici del Riesame ha un preciso fondamento giuridico, posto che – come tutte – può prestarsi a critiche più o meno severe. Insomma, un provvedimento giudiziario lo si può anche non condividere. E se così è, va bene criticarlo. È corretto, però, provare ad entrare nei meccanismi che hanno condotto i giudici ad assumere una simile decisione, tentando di dedurre i ragionamenti fatti. Le motivazioni, del resto, saranno rese note solo nei prossimi giorni. Nel frattempo è un susseguirsi di opinioni più o meno sensate che dovrebbero però tenere conto dei fondamenti della procedura penale. I giudici, infatti, non decidono sulla bontà del modello Riace né sulle doti umane di Mimmo Lucano. La personalità dell’indagato può incidere solo in minima parte in questa fase, ma ciò che conta sono gli elementi portati dall’accusa e dalla difesa. Sugli aspetti documentali i magistrati sono chiamati a pronunciarsi, dopo aver sentito le parti. In questo caso, fra l’altro, lo hanno fatto con una velocità che ha stupito rispetto ai tempi ordinari.
Caso Lucano, l'ordinanza del gip
 
Facciamo allora un passo indietro e ricordiamo cosa aveva scritto il gip di Locri, nel provvedimento di custodia cautelare agli arresti domiciliari emesso nei confronti di Mimmo Lucano. Sorvoliamo, in questa sede, sulle valutazioni espresse in ordine alla sussistenza delle accuse mosse dalla Procura. Sappiamo tutti ormai come buona parte del castello accusatorio, fra cui il più grave reato associativo, sia stato ritenuto insussistente dal gip, che si è invece detto d’accordo con i pm in ordine ai reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (l’affidamento diretto della raccolta dei rifiuti).
Come sappiamo, affinché una persona possa essere limitata nella propria libertà, occorre che sussista almeno una delle esigenze cautelari, che si fondano sostanzialmente su tre elementi: pericolo di inquinamento probatorio, pericolo di fuga, pericolo di reiterazione criminosa. Quanto al primo aspetto, il gip ha detto a chiare lettere come, fondandosi l’inchiesta quasi interamente su intercettazioni, atti amministrativi già acquisiti e documenti, le prove siano già cristallizzate «e ne è quindi assicurata l’immutabilità». Dunque, non sussiste pericolo di inquinamento probatorio. Quanto, invece, al pericolo di fuga il gip esclude a priori che dalle intercettazioni si possa desumere un progetto di spostarsi per il sindaco Lucano. Anche in questo caso, pericolo insussistente. L’unico aspetto sul quale il gip è stato d’accordo – e che ha rappresentato una delle basi principali per l’emissione del provvedimento cautelare – è quello riguardante il pericolo di reiterazione criminosa. «Attuale e concreto», secondo il giudice, era il pericolo che Lucano e la Tesfahun potessero reiterare reati della stessa specie «se non sottoposti a regime limitativo della loro libertà personale».
«L’indagato – scriveva il gip – vive oltre le regole, che ritiene d’altronde di poter impunemente violare nell’ottica del “fine che giustifica i mezzi”; dimentica, però, che quando i “mezzi” sono persone il “fine” raggiunto tradisce, tanto paradossalmente quanto inevitabilmente, quegli stessi scopi umanitari che hanno sorretto le proprie azioni». Ed è qui che si entra nel cuore della valutazione del giudice. Questi, infatti, ritiene che allo stato «può tranquillamente escludersi» che a Lucano (seppur incensurato) possa essere concesso il beneficio previsto dalla sospensione condizionale della pena. Da qui la decisione di porre il sindaco agli arresti domiciliari, ritenuta misura più idonea per recidere i legami che lo avrebbero portato a delinquere.
 
I principi generali
 
Fin qui la decisione del gip. Come sappiamo, tuttavia, il nostro ordinamento prevede una precisa gradualità delle misure cautelari personali che vanno da quelle più blande, come il divieto di espatrio, a quella più grave come la custodia cautelare in carcere. In mezzo, si trova un ventaglio di possibilità che occorre adattare al caso concreto. Fra queste possibilità vi sono sia gli arresti domiciliari che il divieto di dimora in un determinato luogo. Dal punto di vista tecnico, il divieto di dimora è misura meno grave rispetto a quella degli arresti domiciliari poiché vi è una compressione della libertà personale decisamente inferiore. Nel primo caso, infatti, vi è solo un divieto che riguarda un preciso territorio, e rientra fra le misure “obbligatorie”. Nel secondo, trattasi di misura “custodiale” che impone all’indagato di non spostarsi dalla propria abitazione senza autorizzazione. E sempre con riferimento al caso Lucano, molto si è detto della sua “libertà” di rilasciare interviste o incontrare persone in casa. Anche sul punto la legge è chiara: è il giudice, nel suo provvedimento, a dover disporre eventuali limitazioni nella comunicazione con persone diverse da quelle con cui l’indagato coabita. Nel caso di Lucano, invece, nessuna limitazione è stata disposta né in termini di comunicazione, né di eventuali visite.
 
Perché il divieto di dimora a Lucano?
Veniamo, dunque, alla decisione dei giudici del Riesame. Questi – è evidente – hanno ritenuto comunque sussistenti delle esigenze cautelari. Contrariamente al gip, però, hanno statuito che la misura più idonea fosse quella del divieto di dimora a Riace e non gli arresti domiciliari. Tecnicamente, questa scelta può valutarsi come un risultato positivo per il collegio difensivo che è riuscito a convincere il Riesame dell’eccessività della misura disposta dal gip. Ma perché molti l’hanno ritenuta addirittura peggiore degli arresti domiciliari? Semplicemente, la valutazione del giudice tiene conto di parametri diversi da quelli utilizzati dal comune cittadino. Per il giudice, il principio ispiratore è quello del “minore sacrificio necessario”. Ossia, bisogna sempre scegliere la misura che, pur soddisfacendo a pieno le esigenze cautelari ravvisabili nel caso concreto, garantisca all’indagato la minore compressione possibile della sua libertà personale. E, come detto prima, il divieto di dimora è misura certamente meno afflittiva rispetto agli arresti domiciliari. Poi, scendendo nel caso specifico, per Lucano è certamente una decisione forse anche peggiore. Ma lì siamo nel campo della percezione soggettiva che si ricollega all’esigenza specifica del sindaco di poter rimanere “ancorato” al suo territorio.
 
Il divieto e la sospensione
Quello che invece noi crediamo – ma ora siamo nel puro campo delle ipotesi – è che i giudici abbiano ritenuto sufficiente il divieto di dimora perché, per un verso non comprime oltremodo la libertà personale di Lucano, per altro verso consente di evitare il pericolo di reiterazione del reato. Con il divieto di dimora a Riace, Lucano non può di fatto esercitare le sue funzioni di sindaco, anche in virtù della sospensione disposta dalla Prefettura di Reggio Calabria, ai sensi dell’articolo 8 del Decreto legislativo 235/2012 (legge Severino) che prevede il perdurare della sospensione nel caso in cui il divieto di dimora sia disposto nel luogo in cui si svolge il mandato elettorale. Un provvedimento, quello prefettizio, che sarebbe decaduto in caso di totale annullamento della misura cautelare, consentendo a Lucano di tornare da subito a svolgere le sue funzioni di sindaco.
In conclusione, quindi, la decisione del Riesame tecnicamente è favorevole a Mimmo Lucano. Ha attenuato la misura e gli ha restituito la libertà personale con una precisa limitazione. Che, però, nel caso specifico rappresenta un macigno pesantissimo. Ma queste sono considerazioni che prescindono dalla disamina di cui ci siamo occupati.

Commenti all'articolo

  • Di Cotica (---.---.---.114) 18 ottobre 2018 08:39

    Io mi chiedo, invece, il perché di questo accanimento giuridico nei confronti di Salvini. Il prisco che ha avuto il coraggio e la forza di imporre il buon senso nei confronti dell’ideologia e dell’accoglienza pelosa. Finitela di dire castronerie ed iniziate ad utilizzare tutte queste vostre energie buoniste che avete a favore degli italiani che non stanno bene (e ce ne sono tanti credetemi). Lasciate che al terzo mondo ci pensino quelli che hanno fatto (e stanno facendo) danni in tale ambito. Le vostre ideologie becere sono autolesionistiche e non portano da nessuna parte.

    • Di Doriana Goracci (---.---.---.60) 18 ottobre 2018 10:45
      Doriana Goracci
      signor Cotica io ho un nome e cognome e ci metto sempre la mia faccia in calce a un commento, figuriamoci a un post che non è un mio parere ma l’occasione di lettura di un articolo scritto da un signore che è quanto mai equilibrato nella stesura. Non ho bisogno di credere a lei signor Cotica, che ci sono tanti "italiani" in difficoltà, lo so anche meglio di lei perchè non passo le mie giornate sul computer, o immersa in ideologie e accoglienze pelose...Ho 68 anni e so perfettamente i miei limiti e le mie energie e ne ho ancora per rispondere a chi attenta alla democrazia e all’umanità, non ai provocatori come lei e altre Cotiche, per i prossimi che dovessero accodarsi alla prima Cotica...
      p.s. (La cotica o cotenna è la pelle del maiale. Viene usata in cucina come alimento, entra come ingrediente principale in alcuni piatti tradizionali italiani come i fagioli con le cotiche o la cassoeula. Usata nella cucina contadina, quando del maiale non si buttava niente, riscuote meno successo nell’alimentazione odierna, che presta attenzione all’apporto di calorie e ai grassi)
  • Di Cotica (---.---.---.114) 18 ottobre 2018 11:04

    Vedo che apprezza la cucina italiana. Bene! È giusto tramandare le usanze ed i gusti italici.

    Vedo purtroppo che la carne di maiale non è apprezzata dai tanti recenti ospiti che di cui incentivate (non si capisce come mai) gli arrivi con così tanta foga. Soggetti che con gli afflussi dei tempi passati avrebbero sostituito etnicamente in breve tempo la nostra disastrata repubblica. I colpevoli di questo stato di cose hanno nomi e cognomi (che ci siamo tra l’altro segnati bene) e dovranno essere portati al cospetto di un magistrato perché possano essere assoggettati alla giusta pena. Abbiamo solo iniziato adesso in quei di Riace. Quindi, signora cara è inutile che cerchi di giustificare certi comportamenti assurdamente anti italiani (e per di più autolesionistici) perché potrebbe essere accusata di favoreggiamento e di dover rispondere nelle opportune sedi.

  • Di alfredo izeta (nome non pseudonimo) (---.---.---.252) 18 ottobre 2018 11:41

    Sono perfettamente d’accordo con te quando dici che Domenico Lucano (indagato a Riace) e Matteo Salvini (indagato in Sicilia) devono essere giudicati entrambi dalla Magistratura senza coperture parlamentare e - se riconosciuti colpevoli, affermazione che spetta solo ai magistrati e non a te, a Doriana o a me - essere assoggettati alla giusta pena. Evita di parlare di comportamenti a tuo giudizio anti italiani e di paventare ridicole accuse si favoreggiamento che non ti fanno onore.
    Infine devo dirti che Doriana ha ragione: nascondersi dietro uno pseudonimo è segno di vigliaccheria e di cattivo gusto!

  • Di Doriana Goracci (---.---.---.60) 18 ottobre 2018 11:55
    Doriana Goracci
    dunque, con l’uso del plurale maiestatis, è passato al Noi, cotiche ovviamente, anzi con la C maiuscola come si è registrato. Ho registrato anche io le sue minacce niente affatto nascoste, che non mi sono nuove. In quanto alla cucina italiana, rimane per me la migliore, nei fatti includo, aldilà delle preferenze gastronomiche.
    Ma credo che a lei la sede a cui anela, per le persone come me, non è un tavolo di cucina...seppure può servire a fare un "macello".E’ l’ultima volta- per quello che mi riguarda - che le rispondo, perchè le cotiche mi sono indigeste, per giunta di prima mattina.
    • Di alfredo izeta (nome non pseudonimo) (---.---.---.252) 18 ottobre 2018 12:03

      Doriana, non dovresti neppure perder tempo a rispondere a parole senza costrutto che tendono solo a delegittimare - in modo peraltro becero e prevenuto - quanto tu scrivi. La prossima volta manda un bacione a cotica (secondo me da come scrive dovrebbe trattarsi di una donna....)

  • Di Cotica (---.---.---.197) 18 ottobre 2018 16:25

    Il reato è: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

    Segnatevelo bene.

    Non è una minaccia ma una constatazione di fatto.

    Poi ci sarebbero i reati collegati all’uso improprio di fondi pubblici. Ma quelli verranno poi in seguito e si interesserà la Corte dei conti.

  • Di Non facciamo ridere i polli (---.---.---.205) 18 ottobre 2018 17:34

    L’accusa a Salvini è una emerita baggianata strumentale dettata dall’ideologia di qualche magistrato più che dal buon senso, Salvini ha perfettamente ragione. Da quando e in che paese civile bloccare dei clandestini, ovunque si trovino, è reato?? Ma non facciamo ridere il mondo !!!

  • Di claudia (---.---.---.115) 18 ottobre 2018 18:49

    Grazie Doriana Goracci per aver condiviso articolo, che in effetti chiarisce molti punti. 



  • Di Diogene (---.---.---.243) 18 ottobre 2018 21:02

    Ve la suonate e ve la cantate. Contenti voi....

  • Di Diogene (---.---.---.243) 19 ottobre 2018 07:30

    Cittadino del mondo onesto però.

    Dei cittadini del mondo delinquenti non ce ne facciamo nulla.

    • Di Doriana Goracci (---.---.---.152) 19 ottobre 2018 07:40
      Doriana Goracci
      già se non fosse che Diogene in pieno giorno, con la lanterna accesa in mano, si aggirava proclamando: “Cerco l’uomo”... Lo rimproverava qualcuno di frequentare luoghi indecenti, e lui replicava: “Anche nelle cloache penetra il sole e resta puro”. A volte si abusa di un nome pensando che basti uno pseudonimo per dare valore a certe misere contestazioni, sugli ultimi o come in questo caso un primo cittadino che li difende. Buona Giornata, e continui pure a cercare i disonesti come meglio crede


  • Di Diogene (---.---.---.243) 19 ottobre 2018 08:27

    Non cerchi di girare attorno al problema facendo citazioni dotte (pratica molto diffusa tra i sinistri, fa fine e non impegna, nevvero?) Il problema è che non ne possiamo più di ingressi illegali in Italia, di soggetti che nella maggior parte dei casi vanno a delinquere od a prostituirsi contribuendo all’ulteriore degrado delle nostre periferie (ai parioli e Capalbio non vanno, chissà come mai) e gravano sulla fascia più povera della nostra società. La restante parte vive di assistenza pubblica pagata con i soldi del contribuente italiano drenando risorse al già scassato welfare state italiano gravando ulteriormente sulle fasce più deboli di cui sopra. E tutto questo per che cosa? Perché certi soggetti (peraltro da sempre minoritari in Italia) devono applicare le loro fallite ideologie terzomondiste e comunistoidi? Ma fatevi furbi!

    Ribadisco.

    Dei cittadini del mondo delinquenti non ce ne facciamo nulla. Ne abbiamo già abbastanza dei nostri.

    • Di Doriana Goracci (---.---.---.187) 19 ottobre 2018 09:26
      Doriana Goracci

      sor Diogene furbo io personalmente abito in un paese del Viterbese e non possiedo case a Capalbio, veramente non possiedo immobili di sorta in Europa ma con questo non mi prendo la patente da lei di sinistra, comunistoide che fa fine e non impegna, perchè nonb amo i "confini" ed essere confinita nelle definizioni, figuriamoci da lei. Quanto ai delinquenti il pesce puzza dalla testa quando si vuol far credere che uno andato a male è causa dei mal di pancia dei benpensanti e nullafacenti perchè io sto in pensione e nessuno mi paga per scrivere...comincio ad avere seri dubbi su certi interventi da casa, all’ombra dei Diogeni e delle Cotiche, Iene Ridens comprese.

  • Di Enzo Salvà (---.---.---.64) 19 ottobre 2018 11:15

    Antonio Marchi ha centrato il problema, (anche le leggi razziali erano “legalità”). Legalità e giustizia non vanno sempre, ahinoi, di pari passo,

    Per il resto, cari Cotiche e Diogeni, aprite gli occhi e svegliatevi, questa storia coinvolgerà sempre tutti coloro che “difendono” i diritti umani, serve ai tanti Salvini d’Italia che producono leggi proprio per attizzare il fuoco, qui i miei umili esempi:

    https://www.agoravox.it/Il-Governo-M5s-Lega-e-i-migranti.html

    https://www.agoravox.it/Decreto-Salvini-Sicurezza-e.html

    Mimmo Lucano ha creato un esempio di soccorso e di possibile integrazione, non è l’unico in Italia. Ma lui ha affrontato tanti problemi tutti insieme che riguardano i suoi stessi concittadini, il suo stesso Comune, lo spopolamento, l’emigrazione, la mancanza di braccia per un’economia che andava disfacendosi, impedire alla criminalità organizzata di infiltrarsi: ricordo che Lucano fu denunciato da un pregiudicato, condannato in via definitiva come ndranghetista e che un Ministro della Repubblica, Salvini, gli ha fatto da megafono........(Cotica, attenzione al grasso agli occhi, Diogene, accendi la luce)

    Il Governo ed il suo Ministro dell’Interno la cantano come gli pare tanto Cotiche e Diogeni sono orbi, pensano ai soldi ed ai tanti luoghi comuni riguardanti l’immigrazione e non sanno, non lo sapremo mai, quanto ci costa, ci è costato e continuerà a costarci “Hotel Libia”. E’ proprio l’abbandono che crea i problemi, non viceversa. Incapacità ed inefficienza sono volute da Salvini & Co che non possono permettersi di lasciare troppa pubblicità a ciò che dimostra di funzionare.

    Peraltro nell’accoglienza la UE ci ha aiutato in SOLDONI e ci aiuta ancora.

    Strana gente, non ha coscienza e non è nemmeno in grado di guardare nel suo stesso portafogli.

    Però quanto fa figo parlare di Radical Chic e Capalbio, di complotti vari, vuoi mettere la soddisfazione?

    Un Saluto,

    Es.

  • Di Capocollo (---.---.---.243) 19 ottobre 2018 13:58

    Soccorso rosso è sempre efficiente. Complimenti! Va bene, avete ragione voi! Tanto è inutile contraddirvi, lo sappiamo, le posizioni ideologiche sono per definizione inattaccabili e dogmatiche. La ragione non funziona con voi. Siete per certi versi assolutamente paragonabili agli integralisti cattolici (o mussulmani e via dicendo) per cui la ragione è solo da una parte e gli altri sono tutti infedeli (da bruciare in piazza o decapitare). Nessun problema, a casa vostra fate quel cavolo che vi garba. Però quando iniziate ad usare i soldi pubblici (pagati anche con le mie tasse) per mettere in pratica le vostre tesi ed iniziate ad interferire sul mio stile di vita e sulla mia sicurezza, non ci siamo più, superiamo il livello di sopportazione ed allora iniziamo a difenderci. E quindi ben vengano i vari Salvini e, meno male che ci sono! Avete una percezione distorta della realtà probabilmente perché frequentando soggetti che la pensano solo come voi vi autoinfluenzate a vicenda e siete convinti che il mondo sia solo quello che vivete voi. Il mondo è ben più vasto e vario. Imparate a rispettare ed ascoltare anche gli altri.

    • Di Doriana Goracci (---.---.---.187) 20 ottobre 2018 01:17
      Doriana Goracci

      ma guarda dalle cotica passiamo al capocollo, parte del maiale compresa tra la testa e il lombo per chi non lo sapesse. Le assicuro che per quanto mi riguarda tutto il mio rispetto -e compassione- per gli animali che non passano la giornata come certi umani camuffati

    • Di Doriana Goracci (---.---.---.187) 20 ottobre 2018 01:22
      Doriana Goracci

      dalla cotica al capocollo, per chi non lo sapesse e ancora ha la curiosità di leggere questo post con i commenti, è la parte del maiale compresa tra la testa e il lombo. Tutta la mia compassione e rispetto per gli animali, che non passano certo le giornate a camuffarsi come certi umani

  • Di Un italiano (---.---.---.243) 20 ottobre 2018 09:15

    Questi sono i vostri poveretti che scappano da guerre e carestie bisognosi di aiuto umanitario:

    http://www.secoloditalia.it/2018/10...

    Ma fateci il picare!

    • Di claudia (---.---.---.115) 20 ottobre 2018 10:00
      uno potrebbe postarle questo https://www.youreporter.it/video_im...

      ma il punto è che non c’è correlazione tra immigrazione e criminialità https://www.ilpost.it/2018/02/05/ra...;



    • Di Doriana Goracci (---.---.---.90) 20 ottobre 2018 10:26
      Doriana Goracci

      ma pensa da capocollo diventa un italiano sfoderando l’ultimo straordinario pezzo di cronaca nera compresa la pelle...dal Secolo d’ Italia E CHE NE è LA NOTIZIA DI OGGI PRESA DALL’ ANSA? Per DIFETTO DI ESTRADIZIONE la seconda Corte d’Appello di Milano ha dichiarato NON LUOGO A PROCEDERE per Marcello Dell’Utri e ha CANCELLATO LA CONDANNA inflitta in primo grado a 4 anni di carcere per una presunta FRODE FISCALE DA 43 MILIONI DI EURO e commessa tramite la compravendita di spazi pubblicitari televisivi. I giudici hanno accolto l’eccezione dell’avvocato Francesco Centonze, difensore dell’ex senatore che sta espiando in detenzione domiciliare la pena definitiva di 7 anni concorso esterno in associazione mafiosa.

  • Di Cotica (---.---.---.138) 20 ottobre 2018 10:39

    Come direbbe quel famoso politico.... E che c’azzecca con quello di cui stiamo parlando.

    @claudia. Vedi di postare dei link validi.

    • Di claudia (---.---.---.115) 20 ottobre 2018 11:00

      ahha! "vedi" certo, obbedisco. 


      i miei link sono pertinenti. si parla di accoglienza. lei posta un link sul fatto che una richiedente asilo ha commesso un reato. io le dico: non c’è correlazione tra aumento di immigrazione e criminalità. Solo che io porto dai generali e lei un caso. e anche se ne porta 100 quello che conta sono le cifre generali, non il suo orto e quello di suo cugino. 

      Secondo: la signora Doracci penso le stesse facendo un esempio di un italiano che ha commesso un crimine, un nome a caso, che visto che è il metodo che lei usa dovrebbe capirlo. 

      il punto è che gli uomini sono tutti uguali, mentre la stupidità, l’ignoranza, l’egoismo e la violenza sono trasversali. 

      qui non si stanno difendendo i "neri" o gli "asiatici". si ribadisce il diritto al movimento, il dovere di accoglienza... perché se un giorno sarà lei quello che scappa o che, semplicemente, vuole vivere altrove, sarebbe bello potesse farlo. 

      comunque buona giornata, per me la discussione è chiusa. 
  • Di Cotica (---.---.---.243) 20 ottobre 2018 14:34

    Non ha capito Signora Claudia, volevo solo dirLe che il secondo link non è valido, non porta a nessun sito valido. Provi anche Lei, grazie. Caspita come siete prevenuti.

  • Di Ceka (---.---.---.243) 20 ottobre 2018 15:46

    Fatevi una cultura.

    Il sistema di censura sovietico dalla presa del potere agli anni Trenta.

    di Fabrizio Rudi

    La censura di Stato sovietica non poté non rispecchiare l’evoluzione strutturale e ideologica del partito. La censura era, infatti, uno dei suoi comparti principali. Da strumento di argine al pericolo controrivoluzionario ai tempi di Lenin, quindi al servizio dello Stato, divenne, subito dopo la morte di questi, lo strumento prediletto da Stalin per l’imposizione del suo personale pensiero politico. Tutto questo senza alterare la sua funzione di controllo totale su ogni aspetto della vita individuale: quello culturale può considerarsi, forse, il più emblematico. Un’esperienza totalitaria, intesa come tipo ideale storico-politico, sembra trovare un suo elemento fondante in ciò che la storica Sheila Fitzpatrick ha definito come “cambiamento dinamico”: una sfida periodica, ma decisa, totale del sistema di valori socialmente accettato in un dato momento e contesto storico.1 Ciò è particolarmente vero per il PCUS, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, ai tempi di Stalin, dove detto sistema di valori, per volere del partito “può mutare radicalmente in un batter d’occhio ma, tra un mutamento e l’altro, rimane assolutamente immobile”. Una siffatta flessibilità non può essere espressa “se non con le parole del capo, senza cambiare una virgola”2.

    Il fondamento su cui si reggeva l’azione di partito di Stalin consisteva in un tipo di intervento sulla società che non si esita a definire “ingegneristico”3: il partito indirizzava i contenuti della cultura e delle arti nei ranghi di una ben identificabile linea ideologica, bandendo ogni possibilità di un dibattito sulle tematiche fondamentali delle varie discipline.4

    All’inaugurazione del Primo piano quinquennale, nel 1928, si ritenne indispensabile epurare la cultura sovietica di quell’elemento borghese che in buona parte aveva cercato di insinuarsi nel periodo della Nuova Politica Economica5: il personale degli organi di partito e di Stato6 e soprattutto l’intelligencija culturale ricevettero tutti in seguito a quest’evento una travolgente ondata di rinnovamento. La vecchia guardia bolscevica doveva cedere il posto a nuove reclute7, i “giovani comunisti”, creature dello stalinismo8. La spinta provenne, oltre che dal Comitato Centrale9 e dall’iniziativa personale di Stalin, anche dalle altre forze in campo, peraltro direttamente vincolate direttamente al PCUS: la RAPP10, cioè l’Associazione Russa degli Scrittori Proletari, l’Accademia comunista, l’Istituto dei Professori Rossi, e il Komsomol, l’Unione comunista della gioventù, organizzazione creata in seno al PCUS11. Il partito mirava al totale controllo della cultura, tramite il consolidamento delle “ortodossie culturali”, ossia gli strumenti dottrinali, ufficializzati dal partito, deputati a regolare e uniformare la vita culturale di quegli anni12. In molte situazioni, le ortodossie di maggiore rilevanza non avevano tanto stampo politico, quanto professionale; a livello nazionale essa fu affidata a coloro i quali si fossero distinti per una brillante carriera politica e professionale intrapresa durante la rivoluzione e la guerra civile; a livello locale si potevano affidare a professionisti distintisi per il medesimo motivo, ma in seguito ad un processo negoziale con l’amministrazione culturale locale di partito. Il 23 aprile 1932 il Comitato Centrale emanava una risoluzione che sanciva lo scioglimento di tutte le associazioni letterarie rivoluzionarie sorte fra il 1921 e il 1924, per la creazione di un’unica Unione degli Scrittori Sovietici13.

    Un tratto interessante della censura sovietica era il suo carattere “prescrittivo” o “creativo”: secondo un interessante paragone di Hermann Ermolaev, professore di Letteratura Russa all’Università di Princeton (California), la censura zarista era “puramente punitiva. Il censore imperiale poteva ordinare la rimozione di un testo offensivo, senza sollecitare l’autore ad aggiungere materiale consono alla visione filosofica e politica dello zar”. Al contrario i censori e gli editori sovietici “non restringevano il loro campo di azione alla mera eliminazione del materiale proibito; scrivevano inserzioni che riflettevano la posizione politico-ideologica del leader di Partito al potere, o invitavano il singolo autore a farlo”14. Le istituzioni deputate all’applicazione della censura si possono dividere entro due settori: le autorità del PCUS e del Sovnarkom (il Consiglio dei Commissari del Popolo) che costituivano il “cervello” del sistema e prendevano le decisioni di più alto livello, e l’amministrazione censoria di Stato, che fungeva da “braccio operativo”.

    Nel primo settore rientravano le strutture di partito, quindi la Segreteria generale del PCUS, il Politbjuro (l’Ufficio politico) del PCUS, la Sezione di Agitazione e Propaganda del PCUS di Mosca15; le strutture dell’NKVD (il Commissariato del Popolo per gli Affari Interni) e il suo “Primo Dipartimento”16, deputato alla salvaguardia delle informazioni segrete, che controllavano, tra le altre cose, i manoscritti degli scienziati iscritti a istituti di ricerca, e stabiliva in concreto gli oggetti della censura17.

    Nel secondo settore, invece, rientrava il livello amministrativo, gestito dalla Glavlit18. Esistevano poi altri organi amministrativi direttamente subordinati al Comitato Centrale, o nati addirittura in seno alla Glavlit. Tra i principali citiamo: il Goskomizdat, il Comitato di Stato per l’editoria la stampa e i libri dell’URSS, che controllava l’operato delle case editrici, il commercio librario, e gli impianti di stampa; il Goskino, il Comitato di Stato per la cinematografia dell’URSS19, che si occupa del controllo dell’operato delle case cinematografiche, gli impianti e la diffusione del relativo materiale; il Gosteleradio, il Comitato di Stato per le trasmissioni televisive e radiofoniche; la Glavrepertkom, organo creato in seno al Narkompros, (Commissariato del Popolo per l’Educazione) , deputato questa volta al controllo di rappresentazioni teatrali e cinematografiche, balletti, concerti sinfonici, mostre artistiche a contenuto mistico o provocatorio.

    A questo punto è utile sintetizzare in che modo il funzionamento e gli obiettivi di questo sistema di censura evolsero: i destini degli altri settori della vita culturale sovietica, di cui ci sarà in seguito modo di trattare, non si discostano molto da quello della vita letteraria.

    Uno dei primi decreti emanati dal governo rivoluzionario, subito dopo la presa di potere, fu il Decreto sulla stampa, del 1917, sulla cui base il contenuto di ben 120 periodici fu dichiarato controrivoluzionario nel giro di due mesi20. In esso si leggevano inoltre due clausole fondamentali: “la coercizione della stampa è ammessa solo nei limiti di un’assoluta necessità”; “la soppressione degli organi di stampa è di competenza esclusiva del più alto organo di stato, il Consiglio dei Commissari del Popolo”21.

    Tra i compiti della Čeka22, istituita il 20 dicembre 1917, ci fu quello di combattere la stampa controrivoluzionaria: a tale scopo, nel gennaio 1918, venne istituito il Tribunale Rivoluzionario della Stampa, il cui operato consisteva nel chiudere le case editrici, sequestrare i prodotti di stampa a carattere controrivoluzionario, ed in caso privare gli editori dei loro diritti politici. La principale funzione dell’editoria e della stampa era quindi l’edificazione rivoluzionaria, e per questa ragione, quindi, il sistema di censura applicato dalla Čeka requisiva grandi masse di pubblicazioni considerate dannose, e che dovevano essere necessariamente destinate al macero, oppure accumulate entro speciali magazzini, chiamati speckhrany23, collocati con le dovute misure di sicurezza entro quelli delle comuni librerie. Alla fine della guerra civile il Tribunale Rivoluzionario per la stampa fu abolito, e durante il periodo della NEP si assisté ad una relativa distensione del controllo ideologico sulla cultura, durante la quale fecero la loro comparsa anche case editrici private. La riaffermazione della stampa indipendente permise a quanti criticavano le iniziative politiche dei bolscevichi di dar voce al proprio dissenso. Ma con l’ascesa di Stalin alla Segreteria Generale del Partito, le cose cominciarono sin da subito a cambiare.

    Il 6 giugno 1922 il Sovnarkom, allo scopo di ripristinare e di “unire tutte le forme di censura della stampa”,24 emanò il decreto che istituiva una Direzione centrale per gli affari letterari e di pubblicazione presso il Commissariato del popolo all’Educazione della RSFSR, appunto la Glavlit. Ad essa, che aveva sede a Mosca, e che era decentrata come gli altri istituti in sezioni macroregionali25, un regolamento, approvato l’8 giugno, delegava i seguenti compiti: esame preventivo di tutte le opere sia manoscritte, sia a stampa, di tutte le edizioni periodiche e non periodiche, le fotografie, i disegni e tutte le altre stampe destinate alla pubblicazione o alla diffusione; concessione dell’autorizzazione alla pubblicazione per singole opere e organi di stampa; compilazione degli elenchi delle opere a stampa di cui è vietata la vendita e la diffusione; edizione di regolamenti, disposizioni e istruzioni relative alle questioni di stampa, vincolanti per tutti, gli organi di stampa, le case editrici, le tipografie, le biblioteche, le librerie26. La Glavlit vietava inoltre la pubblicazione di opere che diffondessero informazioni su segreti militari, notizie a contenuto antisovietico o sospettabili d’esserlo. Non soltanto, però, il segreto militare era l’unico ad esser gelosamente custodito e preservato dal pubblico dominio; anche gli affari di Stato dovevano ricevere un trattamento affine. Erano esentati dal lavoro di censura le pubblicazioni del Comitato Centrale, della Gosizdat27, del Glavpolitprosvet28, e dell’Accademia delle Scienze.

    Secondo un documento emesso dal Narkompros nell’agosto 1922, la Direzione Centrale della Glavlit presentava la struttura che segue: un comitato composto da un direttore, il suo delegato e due assistenti; una segreteria, composta da 40 funzionari; tre dipartimenti, ciascuno con il proprio direttore e segretario, articolati secondo quest’ordine: Dipartimento di Letteratura Russa, per il controllo dei periodici, delle pubblicazioni private e delle pubblicazioni del dipartimento, costituito da 39 funzionari; Dipartimento di Letteratura Straniera, per il controllo di libri e periodici importati, costituito da 16 funzionari; il Dipartimento di Amministrazione e Controllo, per la manutenzione dei dati registrati, l’organizzazione lavorativa, le finanze e l’istruzione degli “editori politici29” e degli ispettori30, e costituito da 8 ispettori e 5 istruttori31. Il direttore della Glavlit doveva essere eletto dopo approvazione del Narkompros, e due vicedirettori erano eletti in sinergia dal Narkompros, dal Consiglio Militare Rivoluzionario e dal GPU (la Direzione Politica di Stato, evoluzione della Čeka). Questo legame tra organo di controllo sulla diffusione della cultura e apparati di sicurezza legittimavano le procedure tramite le quali il GPU, con supporto della Glavlit, svolgeva il suo lavoro: bloccava la circolazione di opere letterarie già proscritte, sorvegliava le case editrici, controllava l’importazione di opere estere e confiscava i lavori proibiti già in circolazione32. I documenti relativi al profilo - dettagliato e compilato essenzialmente secondo il ben noto “criterio biografico” di valutazione33 - degli “editori politici” erano naturalmente segreti. L’Ufficio Centrale della Glavlit inoltre pubblicava un bollettino speciale destinato ai censori, contenente istruzioni sul loro lavoro.

    Gli speckhrany, i magazzini speciali cui si è fatto prima riferimento, accoglievano carichi di libri, solitamente di 200 pezzi, fatti passare per “doni della Glavlit”. Ciascun volume imballato riportava uno speciale contrassegno, stampato in prima o seconda di copertina, o sulla pagina del titolo, e un numero di progressione: un triangolo indicava che la pubblicazione era accessibile al pubblico senza problemi; un esagono invece indicava già che la pubblicazione doveva essere sottoposta ad un regime di controllo di base limitandone cioè la diffusione, e naturalmente le sorti di dette pubblicazioni peggioravano dacché venivano marchiati di due o tre esagoni: in questo caso la diffusione veniva ritenuta altamente dannosa34. Le pubblicazioni proibite accumulate negli speckhrany, nel primo anno in cui la Glavlit iniziò ad operare, non erano abbondanti, sebbene tra esse abbondassero quelle a carattere religioso, assieme a quelle a carattere politico, pubblicate durante la guerra civile. In una sua relazione del 1925 il direttore generale della Glavlit Pavel Lebedev-Pol’janskij ci fornisce un esempio di controllo generale sui prodotti letterari: su quasi 700 libri posti sotto controllo, circa 150 provenivano da case editrici private, e furono “corrette” in senso ideologico, le restanti, invece, provenivano da case editrici specializzate direttamente poste sotto il vaglio degli organi di partito; su di esse prevalse l’espunzione di passi relativi a informazioni sul segreto militare35.

    Un nuovo regolamento, del novembre 1926, che integrò le disposizioni contenute in quello del 1922 disciplinò le tipologie di pubblicazioni che gli speckhrany dovevano accumulare: quelle invendute e stampate prima della rivoluzione, quelle estere, a carattere scientifico e politico, e quelle depositate da altre istituzioni sempre a titolo di “magazzino speciale”.

    Il 6 giugno 1931 il Sovnarkom approvò un altro regolamento, che sancì un’intensificazione della cosiddetta “censura ulteriore”. Una volta che un’opera dal contenuto dichiarato antisovietico entrava in circolazione, il mandato di censura aveva efficacia retroattiva36: l’opera proibita veniva giudicata tale non dal momento in cui ne veniva bloccata la diffusione ma dal momento in cui veniva pubblicata. A partire da quell’anno fu riservato direttamente alla Glavlit il lavoro di controllo su trasmissioni radiofoniche, esibizioni teatrali e letture pubbliche, riservato in precedenza al Glavrepertkom: si arrivò a gestire parte dell’Ogiz, l’Associazione delle Case Editrici di Stato, le cui pubblicazioni erano necessariamente soggette a controllo preliminare, e a privare definitivamente le pubblicazioni del Comitato Centrale, della Gosizdat, del Glavpolitprosvet, dell’Accademia Comunista e dell’Accademia delle Scienze37 di ogni esenzione dalla censura goduti grazie al regolamento del 1922; nei documenti relativi ai lavori della Glavlit compare, per la prima volta, la formula Upolnomočennyj Glavlita (Plenipotenziario della Glavlit), che sostituì quella di Moskovskij gublit (Ufficio della Glavlit di Mosca). Il censore godeva quindi della facoltà di operare nelle vesti di delegato dello Stato: ognuno di essi doveva segnalarsi, in forma rigorosamente segreta, attraverso un codice cifrato di cinque, o, al massimo, sette cifre con, in aggiunta, una lettera dell’alfabeto38.

    I poteri della Glavlit si stavano definitivamente centralizzando39, tant’è vero che nella Circolare n. 9004 del 29 novembre 1932 si legge: “tutte le opere stampate, una volta corrette dalla relativa casa editrice, non importa secondo quali istruzioni, dovranno essere inoltrate per una seconda volta alla Glavlit […] e sottoposte ad esame per ottenere per permesso di circolazione40”.Dal 1933 il Narkompros perse la sua gestione della Glavlit, che dal 1936 venne totalmente subordinata alla Sezione Propaganda e Agitazione del Comitato Centrale41. Da strumento di controllo di Stato, la censura sovietica divenne inevitabilmente arma ideologica di Partito. Nel novembre di quell’anno il Sovnarkom unì le due cariche di direttore generale della Glavlit e di Plenipotenziario del Sovnarkom per la Salvaguardia del Segreto Militare42.

    L’ “archivio di Smolensk43” ci offre, tra le tante cose, anche informazioni utili per avere un’idea del livello a cui si era arrivato in quel decennio. I documenti riguardano tutti i ranghi della gerarchia censoria, dal direttore generale della Glavlit, fino al direttore delle Railit, gli Uffici di Censura provinciale.

    Documento giuda della censura sovietica, distribuito dalla sede moscovita della Glavlit alle sue sezioni regionali, era il cosiddetto Sekretnij perečen’, o semplicemente Perečen’44. I quadri della Glavlit cominciarono ad avvalersene allorché in seno al già menzionato Dipartimento dell’Amministrazione e del Controllo venne istituita, nel 1924, una Sezione Segreta, struttura non prevista dal regolamento della Glavlit del 1922. Il Perečen’ elencava tutti gli oggetti passibili di censura previsti dal regolamento costitutivo della Glavlit45. Ogni copia del Perečen’ era sottoposta ad un rigido regime d’uso: erano controllati il numero di copie inviate ad ogni sezione regionale, il numero di copie ricevute, il nome di chi le ha maneggiate (ed erano stabilite severe sanzioni penali per chi ne disperdesse una copia). I contenuti del Perečen’ erano in continuo cambiamento, e specialisti in “segreto di registrazione” provenienti dal Narkompros e dall’NKVD ne sostituivano periodicamente le copie, sostituendo quelle di vecchia edizione, destinati alle fiamme, con quelli aggiornati, tenendo all’oscuro di tutto ciò i censori stessi. Le lacune del Perečen’ venivano automaticamente colmate con risoluzioni e atti normativi di vario genere emanati dal Comitato Centrale o dalle summenzionate sezioni del NKVD46. Il segreto attorno al Perečen’ era assoluto: solo il direttore della Glavlit e il suo delegato potevano avervi familiarità.

    L’azione censoria negli anni Trenta di certo rincrudì alcuni suoi presupposti già formulati dopo la rivoluzione, tra cui la critica verso il regime sovietico, l’inattendibilità e la non ufficialità del contenuto politico e artistico, propaganda fascista, violenza o terrore; ma ne venne trovato uno più caratteristico di questi tempi, l’ambiguità del messaggio: la sua univocità era imperativo categorico, essendo il realismo socialista il solo metodo accettato per tutte le arti in Unione Sovietica.47.

  • Di Doriana Goracci (---.---.---.190) 30 settembre 2021 12:40
    Doriana Goracci

    Dopo 3 anni da questo mio articolo, è arrivata la sentenza del Tribunale di Locri, a dire poco sconcertante. Se qualcuno capisce il perchè, me lo spieghi.

    "L’ex sindaco di Riace, Domenico Lucano, é stato condannato a 13 anni e due mesi di reclusione nel processo «Xenia» che si è tenuto al tribunale di Locri sui presunti illeciti nella gestione dei migranti. La sentenza condanna Lucano a quasi il doppio degli anni di reclusione che erano stati chiesti dalla pubblica accusa (7 anni e 11 mesi). Lucano, noto per le politiche di accoglienza dei migranti che lo avevano reso famoso in tutto il mondo, era stato arrestato il 2 settembre 2016 nell’ambito di un’inchiesta della Guardia di Finanza in merito a presunte irregolarità nella gestione del sistema d’accoglienza dei migranti. I reati contestati dalla Procura di Locri erano di associazione per delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina."

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