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Commento di Ceka

su Dentro e fuori Riace: il caso di Domenico Mimmo Lucano


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Ceka 20 ottobre 2018 15:46

Fatevi una cultura.

Il sistema di censura sovietico dalla presa del potere agli anni Trenta.

di Fabrizio Rudi

La censura di Stato sovietica non poté non rispecchiare l’evoluzione strutturale e ideologica del partito. La censura era, infatti, uno dei suoi comparti principali. Da strumento di argine al pericolo controrivoluzionario ai tempi di Lenin, quindi al servizio dello Stato, divenne, subito dopo la morte di questi, lo strumento prediletto da Stalin per l’imposizione del suo personale pensiero politico. Tutto questo senza alterare la sua funzione di controllo totale su ogni aspetto della vita individuale: quello culturale può considerarsi, forse, il più emblematico. Un’esperienza totalitaria, intesa come tipo ideale storico-politico, sembra trovare un suo elemento fondante in ciò che la storica Sheila Fitzpatrick ha definito come “cambiamento dinamico”: una sfida periodica, ma decisa, totale del sistema di valori socialmente accettato in un dato momento e contesto storico.1 Ciò è particolarmente vero per il PCUS, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, ai tempi di Stalin, dove detto sistema di valori, per volere del partito “può mutare radicalmente in un batter d’occhio ma, tra un mutamento e l’altro, rimane assolutamente immobile”. Una siffatta flessibilità non può essere espressa “se non con le parole del capo, senza cambiare una virgola”2.

Il fondamento su cui si reggeva l’azione di partito di Stalin consisteva in un tipo di intervento sulla società che non si esita a definire “ingegneristico”3: il partito indirizzava i contenuti della cultura e delle arti nei ranghi di una ben identificabile linea ideologica, bandendo ogni possibilità di un dibattito sulle tematiche fondamentali delle varie discipline.4

All’inaugurazione del Primo piano quinquennale, nel 1928, si ritenne indispensabile epurare la cultura sovietica di quell’elemento borghese che in buona parte aveva cercato di insinuarsi nel periodo della Nuova Politica Economica5: il personale degli organi di partito e di Stato6 e soprattutto l’intelligencija culturale ricevettero tutti in seguito a quest’evento una travolgente ondata di rinnovamento. La vecchia guardia bolscevica doveva cedere il posto a nuove reclute7, i “giovani comunisti”, creature dello stalinismo8. La spinta provenne, oltre che dal Comitato Centrale9 e dall’iniziativa personale di Stalin, anche dalle altre forze in campo, peraltro direttamente vincolate direttamente al PCUS: la RAPP10, cioè l’Associazione Russa degli Scrittori Proletari, l’Accademia comunista, l’Istituto dei Professori Rossi, e il Komsomol, l’Unione comunista della gioventù, organizzazione creata in seno al PCUS11. Il partito mirava al totale controllo della cultura, tramite il consolidamento delle “ortodossie culturali”, ossia gli strumenti dottrinali, ufficializzati dal partito, deputati a regolare e uniformare la vita culturale di quegli anni12. In molte situazioni, le ortodossie di maggiore rilevanza non avevano tanto stampo politico, quanto professionale; a livello nazionale essa fu affidata a coloro i quali si fossero distinti per una brillante carriera politica e professionale intrapresa durante la rivoluzione e la guerra civile; a livello locale si potevano affidare a professionisti distintisi per il medesimo motivo, ma in seguito ad un processo negoziale con l’amministrazione culturale locale di partito. Il 23 aprile 1932 il Comitato Centrale emanava una risoluzione che sanciva lo scioglimento di tutte le associazioni letterarie rivoluzionarie sorte fra il 1921 e il 1924, per la creazione di un’unica Unione degli Scrittori Sovietici13.

Un tratto interessante della censura sovietica era il suo carattere “prescrittivo” o “creativo”: secondo un interessante paragone di Hermann Ermolaev, professore di Letteratura Russa all’Università di Princeton (California), la censura zarista era “puramente punitiva. Il censore imperiale poteva ordinare la rimozione di un testo offensivo, senza sollecitare l’autore ad aggiungere materiale consono alla visione filosofica e politica dello zar”. Al contrario i censori e gli editori sovietici “non restringevano il loro campo di azione alla mera eliminazione del materiale proibito; scrivevano inserzioni che riflettevano la posizione politico-ideologica del leader di Partito al potere, o invitavano il singolo autore a farlo”14. Le istituzioni deputate all’applicazione della censura si possono dividere entro due settori: le autorità del PCUS e del Sovnarkom (il Consiglio dei Commissari del Popolo) che costituivano il “cervello” del sistema e prendevano le decisioni di più alto livello, e l’amministrazione censoria di Stato, che fungeva da “braccio operativo”.

Nel primo settore rientravano le strutture di partito, quindi la Segreteria generale del PCUS, il Politbjuro (l’Ufficio politico) del PCUS, la Sezione di Agitazione e Propaganda del PCUS di Mosca15; le strutture dell’NKVD (il Commissariato del Popolo per gli Affari Interni) e il suo “Primo Dipartimento”16, deputato alla salvaguardia delle informazioni segrete, che controllavano, tra le altre cose, i manoscritti degli scienziati iscritti a istituti di ricerca, e stabiliva in concreto gli oggetti della censura17.

Nel secondo settore, invece, rientrava il livello amministrativo, gestito dalla Glavlit18. Esistevano poi altri organi amministrativi direttamente subordinati al Comitato Centrale, o nati addirittura in seno alla Glavlit. Tra i principali citiamo: il Goskomizdat, il Comitato di Stato per l’editoria la stampa e i libri dell’URSS, che controllava l’operato delle case editrici, il commercio librario, e gli impianti di stampa; il Goskino, il Comitato di Stato per la cinematografia dell’URSS19, che si occupa del controllo dell’operato delle case cinematografiche, gli impianti e la diffusione del relativo materiale; il Gosteleradio, il Comitato di Stato per le trasmissioni televisive e radiofoniche; la Glavrepertkom, organo creato in seno al Narkompros, (Commissariato del Popolo per l’Educazione) , deputato questa volta al controllo di rappresentazioni teatrali e cinematografiche, balletti, concerti sinfonici, mostre artistiche a contenuto mistico o provocatorio.

A questo punto è utile sintetizzare in che modo il funzionamento e gli obiettivi di questo sistema di censura evolsero: i destini degli altri settori della vita culturale sovietica, di cui ci sarà in seguito modo di trattare, non si discostano molto da quello della vita letteraria.

Uno dei primi decreti emanati dal governo rivoluzionario, subito dopo la presa di potere, fu il Decreto sulla stampa, del 1917, sulla cui base il contenuto di ben 120 periodici fu dichiarato controrivoluzionario nel giro di due mesi20. In esso si leggevano inoltre due clausole fondamentali: “la coercizione della stampa è ammessa solo nei limiti di un’assoluta necessità”; “la soppressione degli organi di stampa è di competenza esclusiva del più alto organo di stato, il Consiglio dei Commissari del Popolo”21.

Tra i compiti della Čeka22, istituita il 20 dicembre 1917, ci fu quello di combattere la stampa controrivoluzionaria: a tale scopo, nel gennaio 1918, venne istituito il Tribunale Rivoluzionario della Stampa, il cui operato consisteva nel chiudere le case editrici, sequestrare i prodotti di stampa a carattere controrivoluzionario, ed in caso privare gli editori dei loro diritti politici. La principale funzione dell’editoria e della stampa era quindi l’edificazione rivoluzionaria, e per questa ragione, quindi, il sistema di censura applicato dalla Čeka requisiva grandi masse di pubblicazioni considerate dannose, e che dovevano essere necessariamente destinate al macero, oppure accumulate entro speciali magazzini, chiamati speckhrany23, collocati con le dovute misure di sicurezza entro quelli delle comuni librerie. Alla fine della guerra civile il Tribunale Rivoluzionario per la stampa fu abolito, e durante il periodo della NEP si assisté ad una relativa distensione del controllo ideologico sulla cultura, durante la quale fecero la loro comparsa anche case editrici private. La riaffermazione della stampa indipendente permise a quanti criticavano le iniziative politiche dei bolscevichi di dar voce al proprio dissenso. Ma con l’ascesa di Stalin alla Segreteria Generale del Partito, le cose cominciarono sin da subito a cambiare.

Il 6 giugno 1922 il Sovnarkom, allo scopo di ripristinare e di “unire tutte le forme di censura della stampa”,24 emanò il decreto che istituiva una Direzione centrale per gli affari letterari e di pubblicazione presso il Commissariato del popolo all’Educazione della RSFSR, appunto la Glavlit. Ad essa, che aveva sede a Mosca, e che era decentrata come gli altri istituti in sezioni macroregionali25, un regolamento, approvato l’8 giugno, delegava i seguenti compiti: esame preventivo di tutte le opere sia manoscritte, sia a stampa, di tutte le edizioni periodiche e non periodiche, le fotografie, i disegni e tutte le altre stampe destinate alla pubblicazione o alla diffusione; concessione dell’autorizzazione alla pubblicazione per singole opere e organi di stampa; compilazione degli elenchi delle opere a stampa di cui è vietata la vendita e la diffusione; edizione di regolamenti, disposizioni e istruzioni relative alle questioni di stampa, vincolanti per tutti, gli organi di stampa, le case editrici, le tipografie, le biblioteche, le librerie26. La Glavlit vietava inoltre la pubblicazione di opere che diffondessero informazioni su segreti militari, notizie a contenuto antisovietico o sospettabili d’esserlo. Non soltanto, però, il segreto militare era l’unico ad esser gelosamente custodito e preservato dal pubblico dominio; anche gli affari di Stato dovevano ricevere un trattamento affine. Erano esentati dal lavoro di censura le pubblicazioni del Comitato Centrale, della Gosizdat27, del Glavpolitprosvet28, e dell’Accademia delle Scienze.

Secondo un documento emesso dal Narkompros nell’agosto 1922, la Direzione Centrale della Glavlit presentava la struttura che segue: un comitato composto da un direttore, il suo delegato e due assistenti; una segreteria, composta da 40 funzionari; tre dipartimenti, ciascuno con il proprio direttore e segretario, articolati secondo quest’ordine: Dipartimento di Letteratura Russa, per il controllo dei periodici, delle pubblicazioni private e delle pubblicazioni del dipartimento, costituito da 39 funzionari; Dipartimento di Letteratura Straniera, per il controllo di libri e periodici importati, costituito da 16 funzionari; il Dipartimento di Amministrazione e Controllo, per la manutenzione dei dati registrati, l’organizzazione lavorativa, le finanze e l’istruzione degli “editori politici29” e degli ispettori30, e costituito da 8 ispettori e 5 istruttori31. Il direttore della Glavlit doveva essere eletto dopo approvazione del Narkompros, e due vicedirettori erano eletti in sinergia dal Narkompros, dal Consiglio Militare Rivoluzionario e dal GPU (la Direzione Politica di Stato, evoluzione della Čeka). Questo legame tra organo di controllo sulla diffusione della cultura e apparati di sicurezza legittimavano le procedure tramite le quali il GPU, con supporto della Glavlit, svolgeva il suo lavoro: bloccava la circolazione di opere letterarie già proscritte, sorvegliava le case editrici, controllava l’importazione di opere estere e confiscava i lavori proibiti già in circolazione32. I documenti relativi al profilo - dettagliato e compilato essenzialmente secondo il ben noto “criterio biografico” di valutazione33 - degli “editori politici” erano naturalmente segreti. L’Ufficio Centrale della Glavlit inoltre pubblicava un bollettino speciale destinato ai censori, contenente istruzioni sul loro lavoro.

Gli speckhrany, i magazzini speciali cui si è fatto prima riferimento, accoglievano carichi di libri, solitamente di 200 pezzi, fatti passare per “doni della Glavlit”. Ciascun volume imballato riportava uno speciale contrassegno, stampato in prima o seconda di copertina, o sulla pagina del titolo, e un numero di progressione: un triangolo indicava che la pubblicazione era accessibile al pubblico senza problemi; un esagono invece indicava già che la pubblicazione doveva essere sottoposta ad un regime di controllo di base limitandone cioè la diffusione, e naturalmente le sorti di dette pubblicazioni peggioravano dacché venivano marchiati di due o tre esagoni: in questo caso la diffusione veniva ritenuta altamente dannosa34. Le pubblicazioni proibite accumulate negli speckhrany, nel primo anno in cui la Glavlit iniziò ad operare, non erano abbondanti, sebbene tra esse abbondassero quelle a carattere religioso, assieme a quelle a carattere politico, pubblicate durante la guerra civile. In una sua relazione del 1925 il direttore generale della Glavlit Pavel Lebedev-Pol’janskij ci fornisce un esempio di controllo generale sui prodotti letterari: su quasi 700 libri posti sotto controllo, circa 150 provenivano da case editrici private, e furono “corrette” in senso ideologico, le restanti, invece, provenivano da case editrici specializzate direttamente poste sotto il vaglio degli organi di partito; su di esse prevalse l’espunzione di passi relativi a informazioni sul segreto militare35.

Un nuovo regolamento, del novembre 1926, che integrò le disposizioni contenute in quello del 1922 disciplinò le tipologie di pubblicazioni che gli speckhrany dovevano accumulare: quelle invendute e stampate prima della rivoluzione, quelle estere, a carattere scientifico e politico, e quelle depositate da altre istituzioni sempre a titolo di “magazzino speciale”.

Il 6 giugno 1931 il Sovnarkom approvò un altro regolamento, che sancì un’intensificazione della cosiddetta “censura ulteriore”. Una volta che un’opera dal contenuto dichiarato antisovietico entrava in circolazione, il mandato di censura aveva efficacia retroattiva36: l’opera proibita veniva giudicata tale non dal momento in cui ne veniva bloccata la diffusione ma dal momento in cui veniva pubblicata. A partire da quell’anno fu riservato direttamente alla Glavlit il lavoro di controllo su trasmissioni radiofoniche, esibizioni teatrali e letture pubbliche, riservato in precedenza al Glavrepertkom: si arrivò a gestire parte dell’Ogiz, l’Associazione delle Case Editrici di Stato, le cui pubblicazioni erano necessariamente soggette a controllo preliminare, e a privare definitivamente le pubblicazioni del Comitato Centrale, della Gosizdat, del Glavpolitprosvet, dell’Accademia Comunista e dell’Accademia delle Scienze37 di ogni esenzione dalla censura goduti grazie al regolamento del 1922; nei documenti relativi ai lavori della Glavlit compare, per la prima volta, la formula Upolnomočennyj Glavlita (Plenipotenziario della Glavlit), che sostituì quella di Moskovskij gublit (Ufficio della Glavlit di Mosca). Il censore godeva quindi della facoltà di operare nelle vesti di delegato dello Stato: ognuno di essi doveva segnalarsi, in forma rigorosamente segreta, attraverso un codice cifrato di cinque, o, al massimo, sette cifre con, in aggiunta, una lettera dell’alfabeto38.

I poteri della Glavlit si stavano definitivamente centralizzando39, tant’è vero che nella Circolare n. 9004 del 29 novembre 1932 si legge: “tutte le opere stampate, una volta corrette dalla relativa casa editrice, non importa secondo quali istruzioni, dovranno essere inoltrate per una seconda volta alla Glavlit […] e sottoposte ad esame per ottenere per permesso di circolazione40”.Dal 1933 il Narkompros perse la sua gestione della Glavlit, che dal 1936 venne totalmente subordinata alla Sezione Propaganda e Agitazione del Comitato Centrale41. Da strumento di controllo di Stato, la censura sovietica divenne inevitabilmente arma ideologica di Partito. Nel novembre di quell’anno il Sovnarkom unì le due cariche di direttore generale della Glavlit e di Plenipotenziario del Sovnarkom per la Salvaguardia del Segreto Militare42.

L’ “archivio di Smolensk43” ci offre, tra le tante cose, anche informazioni utili per avere un’idea del livello a cui si era arrivato in quel decennio. I documenti riguardano tutti i ranghi della gerarchia censoria, dal direttore generale della Glavlit, fino al direttore delle Railit, gli Uffici di Censura provinciale.

Documento giuda della censura sovietica, distribuito dalla sede moscovita della Glavlit alle sue sezioni regionali, era il cosiddetto Sekretnij perečen’, o semplicemente Perečen’44. I quadri della Glavlit cominciarono ad avvalersene allorché in seno al già menzionato Dipartimento dell’Amministrazione e del Controllo venne istituita, nel 1924, una Sezione Segreta, struttura non prevista dal regolamento della Glavlit del 1922. Il Perečen’ elencava tutti gli oggetti passibili di censura previsti dal regolamento costitutivo della Glavlit45. Ogni copia del Perečen’ era sottoposta ad un rigido regime d’uso: erano controllati il numero di copie inviate ad ogni sezione regionale, il numero di copie ricevute, il nome di chi le ha maneggiate (ed erano stabilite severe sanzioni penali per chi ne disperdesse una copia). I contenuti del Perečen’ erano in continuo cambiamento, e specialisti in “segreto di registrazione” provenienti dal Narkompros e dall’NKVD ne sostituivano periodicamente le copie, sostituendo quelle di vecchia edizione, destinati alle fiamme, con quelli aggiornati, tenendo all’oscuro di tutto ciò i censori stessi. Le lacune del Perečen’ venivano automaticamente colmate con risoluzioni e atti normativi di vario genere emanati dal Comitato Centrale o dalle summenzionate sezioni del NKVD46. Il segreto attorno al Perečen’ era assoluto: solo il direttore della Glavlit e il suo delegato potevano avervi familiarità.

L’azione censoria negli anni Trenta di certo rincrudì alcuni suoi presupposti già formulati dopo la rivoluzione, tra cui la critica verso il regime sovietico, l’inattendibilità e la non ufficialità del contenuto politico e artistico, propaganda fascista, violenza o terrore; ma ne venne trovato uno più caratteristico di questi tempi, l’ambiguità del messaggio: la sua univocità era imperativo categorico, essendo il realismo socialista il solo metodo accettato per tutte le arti in Unione Sovietica.47.


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