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Dalla teoria alla pratica. Il cinema di Gianni Puccini e Massimo Mida

Il tempo non è sempre gentiluomo. Come spiegare altrimenti l’oblio che circonda la figura di Gianni Puccini, giornalista, critico, traduttore, sceneggiatore di grandissimo talento, divenuto (forse suo malgrado) regista di commedie di costume, ma anche di film d’impegno, oggi pressoché dimenticato?

Suo padre Mario fu un grande scrittore realista e i suoi fratelli, lo sceneggiatore e regista Massimo Milda e l’ispanista Dario Puccini, altri due grandi talentuosi.

Conseguita la laurea in Lettere, nel 1935 frequentò da allievo il nascente Centro Sperimentale di Cinematografia. Da qui l’amicizia e collaborazione con Rudolf Arnheim.

Inizia la sua carriera di critico nella rivista «Cinema», nata nel 1936, cercando di cambiare il corso del cinema italiano, allora in balìa dei telefoni bianchi, sia a livello critico sia, soprattutto, sul campo, con il passaggio alla sceneggiatura e alla regia. Oltre a lui, lo faranno Giuseppe De Santis, Carlo Lizzani, Michelangelo Antonioni, ma anche figure come Pietro Ingrao, Mario Alicata, Domenico Purificato.

L’incontro con Visconti avvenne in merito alla sceneggiatura di Ossessione, il film col quale il “nuovo” irrompe nel cinema italiano, il film che segna lo spartiacque fra cinema fascista e neorealismo.

E poi la vita, quella vera, la Resistenza, il carcere a Regina Coeli il 2 dicembre 1942, insieme al fratello Dario, la nomina a direttore di «Cinema» nel fatidico numero datato, significativamente, 25 luglio - 18 agosto 1943, quando ancora era in carcere. Il secondo arresto nel marzo 1944.

La liberazione e ancora l’attività di critico. Le sceneggiature per i film dell’amico De Santis, fra i quali il capolavoro Riso amaro. Finalmente il passaggio alla regia, antica passione, che gli regalerà però molte amarezze per la difficoltà di realizzare i progetti a cui teneva ma anche le gioie per film destinati a rimanere come L’impiegato, L’attico e I sette fratelli Cervi, la sua ultima opera, la più sentita. Il film forse della svolta.

Ma il 5 dicembre del 1968 Puccini muore improvvisamente a soli cinquantaquattro anni e, come spesso è accaduto nel cinema italiano, alla morte prematura si è aggiunto il silenzio (colpevole) della critica. 



Uno spettacolo che si terrà stasera alla Cineteca Nazionale, ricorderà Gianni Puccini e il fratello Massimo Mida. Seguirà la proiezione del film Morire per vivere (Cinema Trevi - Vicolo del puttarello, 25 Roma).

Questi, fratello del regista Gianni (il suo vero nome è infatti Massimo Puccini; Mida era il cognome della nonna), si laureò in giurisprudenza e si diplomò in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia e, durante gli anni della guerra, prestò servizio presso il Centro Cinematografico dell’Aereonautica. Iniziò a svolgere attività giornalistica in qualità di critico cinematografico su «Unione Sarda», «Paese Sera», «Cinema», «Bianco e Nero».

Esordì come sceneggiatore collaborando con Roberto Rossellini (Un pilota ritorna, 1942) e negli anni successivi partecipò al rinnovamento del cinema italiano del dopoguerra, collaborando alla stesura di copioni per film importanti come Paisà, Luci del varietà, Achtung! Banditi! e Europa ’51.

Importante fu anche la sua attività di documentarista. Realizzò cortometraggi su Mafai, Greco, Carrà, Di Vittorio, De Brosses. Fu anche regista televisivo. Secondo Roberto Poppi, risulta «molto meno interessante il suo approccio col lungometraggio a soggetto, che si esaurisce con alcune prove dichiaratamente commerciali, a esclusione de Il fratello, commosso omaggio al ricordo e ai suoi non sempre facili rapporti col fratello Gianni».

A nostro avviso in queste parole è riscontrabile un’eccessiva severità: impossibile non divertirsi con intelligenza nel film a episodi Bianco, rosso, giallo, rosa o non farsi “stordire” dal curioso spy movie psichedelico LSD - Inferno per pochi dollari.

Massimo Mida si spense a Roma nel 1992. 

 

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