Dalla Lega all’allarme neonazista: non è folklore
L’ attuale situazione politica presenta, secondo alcuni analisti, qualche analogia con il passato: 1994, la discesa in campo di Berlusconi e poi la sua condivisione con Bossi e Fini di un progetto politico. Eccetera.
In realtà il personaggio clou su cui dovremmo focalizzare l’attenzione è Matteo Salvini, il politico che ha portato la Lega lontana dall’accozzaglia demenziale di druidi del dio Po e guerrieri padani con l’elmo che, al più, erano arrivati a costruirsi in garage un finto carro armato per occupare “militarmente” piazza San Marco. Insomma, dei tristi clown da circo Barnum de noantri.
Sotto la solerte guida di Salvini e gli input politici di Massimiliano (Max) Ferrari - espulso nel 2006 dalla Lega Nord del bossiano “cerchio magico”, e rientrato nel partito nel 2010 - la Lega, che ha depennato dal nome il riferimento al Nord, si è cucita addosso una dimensione internazionale.
«Appena rientrato nei ranghi del movimento padano - lo scriveva già tre anni fa Giovanni Savino, docente italiano alla Università Pedagogica di Mosca - Ferrari si è gettato in un'instancabile attività filo-russa, non limitandosi ad articoli su La Padania, ma anche collaborando con la redazione italiana di Voce della Russia e lanciando una versione russa del proprio blog. L'idea del giornalista varesotto è di includere il Nord Italia in un progetto più ampio dell'Eurasia dei popoli, adottando le idee di Dugin e di Jean Thiriart».
Questa adesione all’ideologia di Dugin (ne ho approfondita qui la rilevanza politica internazionale), portatrice di una reazione antimoderna dalle coloriture prettamente heideggeriane, segna la differenza con la “vecchia” Lega Nord altrettanto anti-illuminista (ricordate Irene Pivetti che sfoggiava con orgoglio la croce di Vandea?), ma ideologicamente fragile e strutturalmente legata, senza molte speranze di poter andare oltre, al territorio padano.
Quella era una formazione costretta ad andare al rimorchio della destra “moderata” dei vari Berlusconi, Buttiglione, Fini e compagnia bella. Una destra di conservatori, indubbiamente violenti (ci ricordiamo bene gli inutili massacri della scuola Diaz di Genova o la tortura, ormai sancita da organismi internazionali, praticata a Bolzaneto), ma - appunto - non più che conservatori: una destra che non rispondeva a istanze antisistema, ma che usava legittimamente le funzioni democratiche del sistema, marginalizzando gli estremisti fino all’irrilevanza politica (si veda, ad esempio, la parabola di Francesco Storace).
Con l’adesione all’ideologia di Dugin le cose cambiano radicalmente.
La proposizione teorica del filosofo russo può essere riassunta nella proposta di superamento della "modernità" (liberalismo e sistema democratico) non già per evoluzione verso forme meno razionalistiche e più umane dell'attualità, ma con un acrobatico ritorno al passato: «ci si può ispirare alla pre-modernità: nella tradizione, nella religione, nel sacro».
Come? Vale la pena di soppesare con attenzione le parole del più duginiano dei politici americani, quel Steve Bannon, ex consigliere speciale del presidente Trump, silurato non a caso da una reazione interna, di “sistema”, che definì “leninista” il suo progetto di azzeramento, indistintamente, sia del partito democratico che di quello repubblicano, oltre che, naturalmente, della stampa libera: «Lenin wanted to destroy the state, and that’s my goal too». Lenin voleva distruggere lo stato, e quello è anche il mio obiettivo.
È, chiaramente, una prospettiva di demolizione del sistema delle democrazie parlamentari moderne, ripristinate in Europa dopo la sconfitta del nazifascismo e del collasso dei regimi di stampo sovietico. Prospettiva che va definita appunto come progetto reazionario “anti-sistema”.
Il paragone tra la Lega Nord del passato e la Lega del 2017 non è quindi sostenibile proprio perché non coglie le differenze fra le diverse impostazioni politico-ideologiche delle due forme del movimento. Contemporaneamente diventa fallace il paragone fra l'unione di centrodestra del passato e quella che si va formando oggi.
Se la Lega Nord di Bossi aveva i limiti già detti, la Lega di Salvini ha invece respiro internazionale che si appoggia sulle spalle larghe di Vladimir Putin e trova sostegno nei vari leader dell’estrema destra europea, da Marine Le Pen a Viktor Orbàn, Geert Wilders, Frauke Petry e così via. Oltre che i polmoni filosofici di Alexandr Dugin.
In altri termini la Lega ha subìto una vera e propria mutazione antropologica, quella mutazione che la sinistra invece non ha saputo fare, non agganciandosi all’antropologia insita nella teorizzazione di Massimo Fagioli, diametralmente opposta a quella, di impronta heideggeriana, di Dugin.
C’è riuscita assorbendo alcune istanze della vecchia Lega Nord come l’esaltazione del tradizionalismo delle radici, il Blut und Boden, il “sangue e suolo” di tanta retorica d’altri tempi, inserito in un contesto ideologico dichiaratamente eurasiatico.
«Alcuni decenni or sono - scriveva ancora Savino, citando Il Talebano think tank leghista - Jean Thiriart elaborò la teoria geostorica dell’Eurasia. Il geopolitico belga era convinto che la strada da seguire fosse quella di unire le terre comprese tra Lisbona e Vladivostok in un’unica nazione, uno spazio continentale che prende ragione della sua esistenza dal momento della caduta dell’URSS (...) Un grande territorio i cui tutti i popoli saranno padroni di decidere seguendo le loro tradizioni come la loro cultura millenaria. Mille patrie in un'unica nazione, quella europea. Vogliamo costruire un’Europa dei popoli federata ad una grande Russia».
Per intendersi Jean Thiriart pur proveniendo da simpatie giovanili di sinistra - proprio come Salvini che da giovane aveva fondato i “Comunisti padani” - approdò negli anni ’20 al Fichte Bund, un'associazione nazionalbolscevica, per poi combattere nelle Waffen SS durante la guerra e negli anni ’60 fondare, insieme ad alcuni esponenti dell’OAS, l’organizzazione paramilitare francese contraria alla decolonizzazione dell’Algeria, il movimento di estrema destra Jeune Europe di cui sono stati membri anche Mario Borghezio (rieletto al Parlamento Europeo con i voti di Casa Pound) e Claudio Mutti, ex militante di Ordine Nuovo e, dopo la conversione all’islàm, divenuto direttore della rivista Eurasia.
Salvini ha sposato quindi un progetto politico che affonda le sue radici in valori propri del tradizionalismo politico e religioso pre-illuministico, ma che a monte suggerisce un'ipotesi di alleanza, in senso anticapitalista, di chiara origine nazional-bolscevica (oggi diremmo rossobruna), ben chiarita da Il Talebano: «riunire intorno a sé un elettorato nuovo, eterogeneo, inattuale che includa una destra della resistenza, identitaria, sociale, attenta alla questione morale e antropologica, e una sinistra rivoluzionaria, nazionale e anticapitalista, sindacalista e antimperialista attenta ai rapporti di forza (...) con l’obiettivo primario di superare la dicotomia destra-sinistra, perfettamente organica al sistema dominante, intorno ad un soggetto politico trasversale e di avanguardia».
Né destra né sinistra, ma un soggetto politico anti-sistema. Questa Lega potrebbe tentare il sorpasso sulla destra “moderata” di Forza Italia - i sondaggi più recenti danno le due formazioni pressoché alla pari - e tentare di appropriarsi della leadership, esattamente come Trump ha fatto in America con il sostegno di Bannon e dell’Alt-Right (xenofoba, suprematista e neonazista) lasciando di stucco l’apparato tradizionale del conservatorismo repubblicano.
Salvini potrebbe arrivare a proporsi di abbattere leninisticamente "lo stato" come voleva fare Bannon?
Impossibile a dirsi, almeno per ora, ma la manifesta simpatia verso i movimenti neofascisti e neonazisti (che sicuramente si muovono in un’ottica antisistema) sembra indiscutibile. Al punto che anche il vecchio leader, Bossi, cerca di mettere dei paletti: «Quei voti la Lega non deve cercarli». Per sintetizzare il suo pensiero rivolgendosi a Salvini con un secco «sei un nazionalista fascista».
La Lega invece, con ogni probabilità, cercherà proprio di rastrellarne il più possibile di quei voti, i voti dei tanti movimenti dell’estrema destra che sempre più spesso si fanno notare per la spudorata baldanza che ostentano nell’esposizioni di simboli neofascisti o neonazisti alla faccia della repubblica “nata dalla Resistenza”, perché vuole presentarsi alle prossime elezioni con il sacco pieno e da lì pretendere poi di candidarsi alla guida della coalizione di centrodestra e del paese.
Se ci riuscirà la tenuta del sistema democratico sarà messa a dura prova.
Se invece il centrodestra vincerà le elezioni, ma sarà l’ala berlusconiana ad avere la maggioranza, la mia opinione - per quel che vale - è che Salvini sarà scaricato a favore di una Grossa Coalizione FI-PD che, vista la situazione, ci toccherà perfino ringraziare di esistere.
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