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Da cavernicoli a cavaioli: cave, cemento e malaffare in Campania - Reportage (2a parte)

Un reportage in due puntate per documentare le cave, il cemento, il baratto di un territorio e la muta compiacenza in provincia di Caserta. (qui la prima parte)

Cementificio Moccia

Gli affari per il cementificio Moccia, in questo periodo, non godono di sana e robusta costituzione (il top degli affari lo raggiunse con la vendita di cemento per il progetto della TAV). A parte la crisi del mercato edilizio, le cave Moccia non possono più estrarre (continua ad alto regime solo il lavoro di produzione di cemento e non di estrazione), cavano per lo più su gradoni già formati, dato che hanno l’obbligo di riqualificare le proprie cave (riqualificazione attuata con metodi discutibili, su gradoni di vari livelli piantano alberi talmente piccoli che lasciano l’impatto visivo disintegrato, dunque sarebbe stato meglio, in queste condizioni, lasciar fare alla ricostruzione naturale, che si stava riformando). Per questo motivo i vertici della società hanno chiesto nuove montagne, lontane dalla zona di San Clemente, ma sempre in Provincia di Caserta: nel comune di Pietravairano. Qui l’amministrazione comunale si oppone con forza, proponendo una vitalità politica, di salvaguardia territoriale e dei cittadini. La decisione, dopo la resistenza della comunità di Pietravairano, è passata al Consiglio dei Ministri, che dovrà valutare se assecondare la proposta d’insediamento di Moccia, anche a dispetto del rifiuto dell’amministrazione comunale. Per anni il cementificio ha fatto esplodere mine in montagne a ridosso di abitazioni, che si son deteriorate proprio a causa di quest’attività. Lungo le strade del centro cittadino di San Clemente molte volte son giunti detriti di queste esplosioni ed i danni percepibili sulle cose, ma intuibili negl’organismi di esseri viventi, si ritrovano nell’aria e nel terreno. Metalli pesanti sono andati a corrodere tetti di abitazioni, carrozzerie d’auto, ma sono riscontrabili anche su qualsiasi soglia di marmo.

Tornando alla crisi del mercato edilizio in Regione Campania, è chiaro che in questo momento i cementifici stanno vendendo il materiale fuori il territorio ed addirittura all’estero, data l’estensione della crisi nazionale dell’edilizia. In questa maniera viene sconfessato un vecchio piano cave, che obbliga una proporzione tra quanto viene estratto - prodotto e rivenduto in zona. Saltato quest’equilibrio non si potrebbe più né cavare, né produrre.  

 

Salute cavata e cittadini insicuri

I dati inerente alle malattie, causate dall’attività d’estrazione e di lavorazione del cemento, non sono reperibili, perché non c’è mai stata una ricerca dotata di continuità. Le analisi dell’ARPAC[1], legate alle polveri sottili PM 10, non sono rassicuranti, dato che i valori sono sempre altissimi, con riscontro di metalli pesanti sia in atmosfera che, per deposito e caduta, nel terreno. I riscontri più continuativi li custodiscono senza dubbio i medici di base, che hanno riscontrato patologie tumorali, necessitanti però di una più approfondita ricerca, anche storica, di casi clinici. I dati dell’APAT, ente ormai confluito nell’ISPRA[2] , hanno rilevato eccessi nelle polveri presenti in atmosfera ed hanno riportato sempre i dati alle amministrazioni comunali. I paradossi sono ritracciabili anche nelle misurazioni del PM 10[3], affidate a macchinari funzionanti a corrente alternata. Nel 2008 fu istallata una centralina mai entrata in funzione dinanzi il cementificio Moccia. Nello stesso anno il comitato cittadino, guidato dalla tenacia di Giovanna Maietta,anche dopo alcuni casi di ammalati e morti tumorali nella zona a contatto con le cave, sollecitò l’ARPAC affinché fossero fatti rilevamenti. Questi dimostrarono che nei pressi del cementificio, in 15 giorni, fu superato ben due volte il limite consentito dalle normative. Considerando che durante un anno il superamento è permesso 35 volte, si capisce la gravità della situazione. Tutto ciò però avrebbe bisogno del conforto di numeri certi, dato che le normative sull’inquinamento specificano che per ogni indagine c’è la necessità di un monitoraggio continuo per tutto l’anno: le istituzioni, anche in questo caso, dovrebbero attivare centraline ormai dimenticate. I dati, seppur sporadici, dimostrano la presenza di mercurio sia nell’atmosfera, che nel terreno. Questa è la causa delle combustioni che avvengono nei cementifici. Per quanto riguarda le polveri sottili invece sono da ricondurre alle attività d’estrazione.  

 

Borboni: salto nel futuro

Le cave dismesse e le impressionanti orme lasciate dall’uomo su quella che era un’imponenza naturale e paesaggistica di monti ormai sventrati, hanno avuto, come abbiamo già scritto, piani più o meno insulsi di recupero. Addirittura una proposta di qualche anno fa della Cementir era legata alla volontà di dipingere i gradoni di verde, una forma d’arte estrema, lontana da quella che è stata l’unica riqualificazione ad oggi esistente. Dobbiamo fare una giravolta temporale per trovare un esempio di cava riqualificata. Solo i Borboni, dopo aver cavato per costruire la Reggia di Caserta, al cospetto di un dissesto, pensarono di rimodellare la voragine con quello che ora è il Bagno di Venere.

 

I cavaioli e la magistratura

Volendo estenuare il concetto, è facile risottolineare il danno ambientale, di diritto e di dovere monitorato, presumibilmente, dall’autorità regionale. Nella metà degli anni ottanta, le competenze inerenti alle attività estrattive passarono dallo Stato centrale al Governo regionale. Dunque la Regione Campania avrebbe dovuto (come la L.R. 54/1985 sancisce) concedere progetti di attività estrattiva coordinati a quelli di recupero ambientale. Poi il controllo di queste operosità fu trasferito ai settori provinciali del genio civile. Naturalmente tutto è andato al di là dei parametri stabiliti e le sanzioni, che avrebbero dovuto colpire i cavaioli fuori legge, non sono state attuate. L’abusivismo doveva esser contrastato con chiusure, in parte avvenute, di cave che poi dovevano essere recuperate: passaggio mai avvenuto. Senza tralasciare la mancata conservazione della risorsa non rinnovabile, come è quella mineraria, ed un canone al metro cubo da pagare per l’estrazione: anche questi parametri non hanno avuto funzionalità trasparente. Le istituzioni non son state però sempre a guardare. La magistratura da qualche anno è in una continua veglia sulle malefatte di alcuni cavaioli, che non si rassegnano alla fine delle torture sui monti. Nel Dicembre del 2004 avvenne l’operazione Olimpo, voluta dal Pm Donato Ceglie, che portò la Guardia di Finanza ad arrestare alcuni cavaioli, bloccandone le attività. L’indagine mise anche i blocchi ai due cementifici, ma tutto durò ben poco ed anche gli arrestati sono stati poi tutti prosciolti. Ciò che rimane dell’operazione sono i sequestri di alcune cave, che non hanno più l’autorizzazione a cavare, perché dichiarate abusive dalla magistratura. Oltre ai due cementifici, sono cinque i proprietari di cave che hanno operato nell’estrazione e fino al 2004 erano tutti in attività, in un lavoro forsennato di distruzione. Da allora fortunatamente tre sono state dichiarate illegali, seppur la tenacia di tanto in tanto fa commettere infrazioni a cavaioli nostalgici, controllati continuamente dalla Guardia Forestale. Prima di questi provvedimenti erano sette gl’impianti che cavavano e che inquietavano la vita quotidiana di cittadini che vedevano sfrecciare sotto i propri balconi tir enormi, che si alternavano in operazioni di carico e di scarico, distruggendo i davanzali dei balconi, rendendo pesante ogni tipo di passeggiata, condite dalle scellerate esplosioni di mine mal dosate, che facevano rompere anche i vetri nelle abitazioni.

Il paesaggio ed i beni architettonici rammodernati con spruzzi di cemento?

Il danno non è solo per la salute all’ambiente ed ai cittadini, ma anche ai monumenti storici del territorio, che, a causa delle polveri, si deteriorano, dovendo pur assestare le vibrazioni provocate dagli scoppi delle mine nelle cave.

A tal proposito fu proposta al Parlamento europeo, a Stavros Dimas, nel 2008 Commissario Europeo per l’Ambiente, un’interrogazione circa le autorizzazioni concesse agl’impianti Moccia e Cementir, ma nonostante le interpellanze, le coscienze ambientali, le ovvietà del buon senso, le sventure salutistiche e paesaggistiche, la politica ha continuato a non contrastare un fenomeno così palesemente distruttivo. Il presidente di Terra nostra, altro valoroso comitato cittadino, Pasquale Costagliola, mi ha raccontato le difficoltà incontrare nel difendere un bene che dovrebbe essere patrimonio dell’Unesco, l’acquedotto Carolino Ponti della Valle, che non ha tutele in merito, perché neanche più perimetrato dalla Sopraintendenza come territorio a vincolo paesaggistico.   

 

Sono possibili soluzioni poco demagogiche?

L’amore per il cemento ha rosicchiato la rassicurante imponenza di paesaggi ormai deturpati, ma ancora da salvare. Ai bambini, che guardano ingenuamente i monti mangiati dei loro orizzonti, viene raccontata una storia ormai diventata leggenda nei genitori di questa provincia:” un esercito di topi sta rosicchiando le montagne dal basso, per riuscirne a conquistare la vetta”. I miti potrebbero liberarsi dalla trasformazione del reale e la soluzione per la salvezza dei paesaggi, della risorsa mineraria non rinnovabile, per la salute delle persone, per la salvaguardia dei monumenti, potrebbe essere oltre che nella delocalizzazione, anche nella civilizzazione della gestione rifiuti. Una parte dell’industria, che produce manufatto di cemento, già si rivolge al centro di riciclo di Vedelago, in Provincia di Treviso. Questa centrale, divenuta utopica in una realtà cieca, dal secco non riciclabile (parte di rifiuti che le persone sbagliano a classificare e che non sono quindi rielaborabili), che in metodi obsoleti viene accantonato in discarica e bruciato, in questa linea invece viene macinato, così da realizzare granulato plastico e sabbia sintetica, seguendo normative UE. Il prodotto di quest’azione, oltre alle imprese dei manufatti in cemento, viene rivenduto ad aziende del settore per lo stampaggio di materiale plastico. Invece di rendere paesaggi immondizia, si potrebbe iniziare a rendere l’immondizia cemento, per quel poco che serve, seppur l’enorme produzione di secco non riciclabile permetterebbe d’interrompere le selvagge estrazioni. Le associazioni ed i comitati cittadini son lasciati soli, emarginati da circuiti che l’ingabbiano in una prigione fatta di un ambientalismo lontano da interessi reali. Naturalmente non è così, le associazioni sono fatte da persone che non hanno a cuore alcun ismo, ma solo la salvaguardia del territorio e della salute dei propri figli. I programmi dei partiti sono pieni di promesse tese a risolvere la piaga delle cave, ma restano del tutto teorici, perché poi il tutto viene motivato con la tutela d’interessi per il bene comune. Un bene comune che si riduce però a pochi elementi della società, sempre più deturpata e divorata nella sua preziosità. La storia c’ha insegnato che l’evoluzione può piantare macerie sul respiro dell’umanità. In questo territorio l’evoluzione della specie ha portato umani cavernicoli a diventare “umani” cavaioli. Ritornare a considerare il territorio, i monti, l’ossigeno, i polmoni delle prossime generazioni come interesse imprescindibile per tutti, farebbe trasformare la demagogia in reale programma e le soluzioni in politica pubblica.    

 



[1] Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania

[2] Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale

[3] Polveri, fumi presenti in atmosfera a seguito di erosioni, di incendi, di esplosioni. Superando i limiti vanno ad intaccare l’apparato respiratorio.  

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.170) 20 aprile 2011 15:40

    ULTIME NOTIZIE DA PIETRAVAIRANO
    notizia del 15/4/2011

    Eravamo rimasti in attesa di essere convocati a Roma dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ricordiamo che la Conferenza dei Servizi si era chiusa con la vittoria del Comune di Pietravairano perchè quest’ultimo aveva posto il veto sul parere urbanistico (l’area è zona agricola e per costruire un cementificio è necessaria una deroga al Piano Regolatore che il Comune ha sempre negato). Il legale di Moccia riteneva che il parere del comune fosse superabile dall’intervento della Presidenza del Consiglio perchè rientrava tra i casi previsti dalla legge in cui quest’organo può intervenire. A darci ragione ci fu il TAR Campania con una bizzarra sentenza che imponeva la riapertura della Conferenza e l’attivazione dell’intervento della Presidenza del Consiglio. Questo ente ci risponde il 13 aprile sostenendo che il comune ha posti due veti:
    1) Paesaggistico: il parere negativo espresso dal comune è stato messo in discussione dalla Sovraintendenza ai beni culturali. Il comune in base alle norme vigenti all’INIZIO della Conferenza è competente in maniera esclusiva, la Sovraintrendenza invece ha rilasciato parere favorevole in base alle norme vigenti alla FINE della Conferenza. Questa diatriba può essere ragionevolmente risolta dalla Presidenza del Consiglio, che in merito potrebbe acquire pareri legali in merito e poi decidere,
    2) urbanistico. il parere negativo del Comune NON RIENTRA TRA LE MATERIE DI COMPETENZA DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI. Ciò vuol dire che questo parere non può essere scavalcato, quindi in soldoni MOCCIA NON PUO’ DELOCALIZZARE A PIETRAVAIRANO.
    Stante la situazione è anche inutile verificare per la Presidenza del Consiglio la controversia sul parere paesaggistico in quanto la Conferenza ha acquisito (in maniera discutibile) il parere favorevole della Sovraintenza. Ciò vuol dire che anche se avesse ragione la Sovraintenza (ne dubito) ciò non aiuterebbe Moccia perchè bloccato in ogni caso dal vincolo urbanistico. Nel caso in cui si dovesse affrontare la questione paesaggistica non avremmo nulla da perdere, come Comune di Pietravairano, ma tutto da guadagnare perchè male che vada continuerebbero a darci torto mentre se va bene si blocca Moccia ANCHE sotto l’aspetto paesaggistico.
    Cosa vuol dire tutto questo? VUOL DIRE CHE OGGI MOCCIA è SCONFITTO E CHE NON PUO’ DELOCALIZZARE.
    Sicuramente cercherà di impugnare questo e altri atti ma la sua strada è molto in salita. A noi toccherà festeggiare ma con misura perchè dobbiamo proseguire con le azioni legali, già in corso, con il ricorso su VIA e VAS, con l’impugnazione di una serie di autorizzazioni assurde pro Moccia e puntare ad ottenere nuovi vincoli con il territorio (come il Parco del Matese, delle Acque, la difesa del vincolo della Vaccareccia ecc.) che possano chiudere definitivamente la nostra area ad ogni atrtività non gradita (oggi le cave, domani chissà).
    Pubblicato da red. prov. “Alto Casertano-Matesino & d”

    SPERIAMO BENE...

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