Citizen Journalism - L’informazione prima di tutto

Il giornalismo partecipativo sta diventando in tutto il mondo la nuova frontiera, la sfida, dei nuovi media. Giornalismo fatto dal “basso”, dai territori, verificato e integrato dagli stessi lettori che diventano parte dell’informazione e non solo soggetti passivi. È un nuovo modo di fare la notizia, di renderla pubblica, di diffonderla e di verificare che non vi siano manipolazioni dell’informazione. Il citizen journalism, pur essendo figlio del mondo dei blogger, è altro. È un modus collettivo di produrre notizie e fruire dell’informazione. E fa paura.
Il giornalismo partecipativo sta diventando in tutto il mondo la nuova frontiera, la sfida, dei nuovi media. Giornalismo fatto dal “basso”, dai territori, verificato e integrato dagli stessi lettori che diventano parte dell’informazione e non solo soggetti passivi. È un nuovo modo di fare la notizia, di renderla pubblica, di diffonderla e di verificare che non vi siano manipolazioni dell’informazione. Il citizen journalism, pur essendo figlio del mondo dei blogger, è altro. È un modus collettivo di produrre notizie e fruire dell’informazione. E fa paura. Soprattutto in un Paese come il nostro dove il sistema informativo è congelato, e televisioni e giornali sono nelle mani di pochi soggetti politici e imprenditoriali. Il giornalismo partecipativo è ormai una realtà in espansione in tutto il mondo: dagli Usa alla Corea, dalla Francia al Brasile, dove le antiche reti delle radio comunitarie si sono trasferite sul web ibridandosi con il mondo dei blogger. Come al solito, in Italia, siamo in ritardo.
I primi esperimenti di citizen journalism hanno faticato, e non poco, a conquistarsi proprie nicchie di pubblico. Da Dazebao.org a Arcoiris.tv fino all’esplosione silenziosa di Agoravox.it e dei tanti media territoriali che stanno diventando sempre più numerosi: il fenomeno è diventato una realtà in piena espansione. Ormai sono molti i soggetti “alternativi” che fanno informazione. A volte si pongono da filtro verso chi cerca di manipolare le notizie. È successo, ad esempio, poche settimane fa, quando l’intero sistema ufficiale dell’informazione ha cercato di imporre una versione “aggiustata” di un discorso di Di Pietro: una versione che raccontava un attacco al limite del vilipendio verso il presidente della Repubblica. Ma in piazza, quel giorno, c’erano troppe telecamere e troppe penne, e i media partecipativi hanno smascherato la “velina” ufficiale. Il meccanismo del cosiddetto “ministero virtuale della propaganda” si è rotto, e addirittura la magistratura, che era intervenuta per mettere sotto accusa Di Pietro, ha preso atto dell’incredibile bufala mediatica che era stata orchestrata e ha archiviato il tutto. Anche i numeri stanno dando ragione a questo modo di fare informazione. Una buona parte dei quotidiani italiani, infatti, non si sogna minimamente di avvicinarsi alle decina di migliaia di lettori che un portale di citizen journalism conquista ogni giorno. E anche il giornalismo tradizionale si interroga su quello che sta succedendo sulla Rete. C’è chi lo sottovaluta, chi lo denigra e chi invece si mette in gioco. E questo, al potere mediatico, fa ancora più paura. Perché tante penne liberate dai vincoli produttivi e politici che soffocano il nostro sistema informativo sono un fatto destabilizzante.
dallo speciale CJ di Notizie Verdi
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